Turchia: verso le elezioni politiche del 14 maggio

di Carmine Stabile

La Turchia è uno stato dell’Asia centro-occidentale che si articola in due regioni peninsulari: la Tracia, ossia la parte di Turchia europea, e l’Anatolia, detta anche Asia Minore. Occupa una fondamentale funzione di ponte tra l’Europa e il mondo islamico, tra l’occidente e l’oriente, nonché riveste un ruolo cardine per la causa d’integrazione euro-mediterranea. È una repubblica presidenziale, ossia presenta quella forma di governo rientrante nelle categorie di democrazia rappresentativa, all’interno del quale il potere esecutivo è incentrato nella figura del presidente che incarna il ruolo di capo dello Stato e del governo.
Nel sistema elettorale turco il presidente della Repubblica viene eletto attraverso un sistema a due turni, e in vista del 14 maggio gli scenari elettorali che potrebbero manifestarsi sono due: il primo vede la designazione diretta al primo turno del candidato che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi, mentre il secondo potrebbe presentarsi qualora non si dovesse raggiungere il quorum e dunque verrebbe adoperato un secondo turno al quale avrebbero accesso i due candidati che hanno totalizzato più voti al primo turno.
La soglia di sbarramento del sistema elettorale della Grande Assemblea Costituente, fissata dalla Costituzione turca, è elevatissima, dal momento in cui il suolo turco è suddiviso in 87 distretti elettorali i quali coincidono con 81 province, fatta eccezione per 4 province quali Ankara e Istanbul, divise in 3 distretti ciascuna, Smirne e Bursa, suddivise in 2 distretti ciascuna.
Il palazzo presidenziale turco (Cumhurbaşkanlığı Külliyesi), situato ad Ankara, è alla ricerca del suo tredicesimo condottiero, dove alla data odierna vede al timone l’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, politico islamico-conservatore presidente dal 28 agosto 2014. Erdoğan è alla ricerca del terzo mandato sostenuto da forze islamiste e dai partiti di destra nazionalista tra cui l’AKP, “Partito della giustizia e dello sviluppo” di stampo conservatore, da lui stesso fondato nell’agosto del 2001 e al governo dal 2002; quindi da MHP, BBP, YRP e HÜDA PAR facenti tutti parte della coalizione Cumhur İttifakı.
Non di poco calibro ubicato in opposizione, il principale sfidante di Erdoğan è Kemal Kilicdaroglu, leader del partito CHP ossia il Partito Popolare Repubblicano rappresentante la forza politica laica e socialdemocratica del Paese, appoggiato dalla coalizione Millet İttifakı, presieduta da un’alleanza composta da sei partiti d’opposizione quali CHP di sinistra, İYİ Party e DP di destra, Saadet Partisi di costituzione islamista, Gelecek Parti e DEVA partiti di formazione liberal conservatori.
Con la coalizione Ata İttifakı si trovano Sinan Ogan, sorretto da due partiti di destra quali Zafer Partisi e Adalet Partisi.
In ultima istanza Muharrem İnce, vecchio avversario politico di Erdoğan nelle elezioni politiche del 2018, al vertice del Memleket Partisi.
In questo accesso confronto l’ago della bilancia potrà essere determinate sulla questione terremoto la quale ha evidenziato delle faglie nel sistema interno della politica di Erdoğan, portando in luce debolezze sul piano dell’organizzazione in situazioni disastrose e della pianificazione urbana facenti parte del sistema iper-centralizzato. Sul fronte estero Erdoğan si è rivelato un baluardo risolutivo vestendo i panni di mediatore nell’attuale conflitto russo-ucraino, ottenendo esiti importati nei risvolti di questo conflitto, come ad esempio l’accordo sancito il 22 luglio 2022 per il passaggio sicuro di decine di milioni di tonnellate di grano nel mar Nero, sancito con il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres.
Nonostante la visione sfocata sui fatti inerenti la politica interna, Erdoğan dovrà essere in grado di gestire il potere per mandare avanti il progetto di una Turchia conservatrice, scacciando lo spettro di un possibile ballottaggio che porterebbe per la prima volta ad oltranza le elezioni anatoliche.