Usa. Resta in vigore l’Indian Child Welfare Act del 1978

di Alberto Galvi

Con una sentenza la Corte Suprema statunitense ha preservato il sistema che privilegia le famiglie dei bambini indiani d’America e dei nativi dell’Alaska nei procedimenti di affidamento e adozione, respingendo un ampio attacco da parte degli Stati a guida repubblicana e delle famiglie bianche che sostenevano che il principio fosse basato sulla razza.
Il tribunale ha lasciato in vigore l’Indian Child Welfare Act del 1978, che è stato emanato per affrontare le preoccupazioni secondo cui i bambini indiani d’America e i nativi dell’Alaska venivano separati dalle loro famiglie e troppo spesso collocati in case di famiglie bianche. Prima che fosse emanato l’Indian Child Welfare Act, tra il 25 per cento e il 35 per cento dei bambini indiani d’America e dei nativi dell’Alaska veniva prelevato dalle proprie case e affidato a famiglie adottive o a istituti, nel tentativo di assimilarli. I leader tribali hanno sostenuto l’Indian Child Welfare Act come mezzo per preservare le loro famiglie, tradizioni e culture. Il Congresso aveva approvato la legge in risposta all’allarmante ritmo con cui i bambini indiani d’America come i Navajo, Cherokee, White Earth Band of Ojibwe e Ysleta del Sur Pueblo ecc, e nativi dell’Alaska come i Inupiat, Yupik, Aleut, Tlingit, Haida, Eyak e Tsimshian ecc. venivano portati via dalle loro case da agenzie pubbliche e private.
La legge richiede agli Stati di informare le tribù di cercare un collocamento presso la famiglia allargata del bambino, i membri della tribù del bambino o di altre famiglie di indiani d’America o di nativi dell’Alaska. Alla Corte suprema avevano chiesto di difendere la legge più di tre quarti delle 574 tribù riconosciute a livello federale e quasi due dozzine di procuratori generali di Stato di tutto lo spettro politico.