Via libera di Damasco: gli inviati Onu potranno verificare chi ha usato le armi chimiche in Siria

di Guido Keller –

siria armi chimiche grandeL’Onu ha fatto sapere oggi di aver trovato un accordo con la Siria per indagare sul presunto uso di armi chimiche e che Ake Sellstrom, capo del team di esperti Onu in materia, e Angela Kane, Alto rappresentante delle Nazioni Unite per il disarmo, si sono già recati a Damasco dove hanno incontrato il vice-premier ed il ministro degli Esteri. A quanto riferito dai due inviati, “gli incontri sono stati intensi e produttivi e hanno portato ad un accordo su come procedere”.
La questione delle armi chimiche siriane è di primaria importanza, se si pensa che il paese mediorientale ne detiene il maggior arsenale al mondo e che, come ha più volte paventato Israele, se queste dovessero cadere in mani sbagliate, potrebbero essere impiegate in modo catastrofico.
I primi a parlare dell’impiego di armi chimiche in Siria erano stati ad aprile gli inglesi, i quali avevano informato che un’operazione segreta britannica aveva raccolto prove dell’uso di armi chimiche in Siria, prelevando un campione di terreno e tanto era bastato per far scaturire un’isteria globalizzata in funzione anti-regime.
La cosa era stata ripresa a distanza di pochi gironi dalla Francia, gli stessi paesi che da lì a qualche mese avrebbero poi spinto per avere il via libera di Bruxelles per vendere armi agli insorti, qaedisti compresi, aprendo così la strada al supporto ad al-Assad da parte dei miliziani libanesi di Hezbollah e dei pasdaran iraniani.
Una decina di giorni dopo era stato lo stesso segretario di Stato americano, John Kerry, che ne aveva parlato con Netanyahu, ad invitare tutti alla prudenza, perché se anche vi erano le prove dell’uso di armi chimiche, non si sapeva con certezza chi le aveva impiegate e contro chi.
Ed anche Obama, che si era riferito all’impiego delle armi chimiche da parte del regime come ad una “linea rossa” il cui superamento non sarebbe stato tollerato,  in occasione della conferenza dei primi cento giorni aveva ammesso: “Ci sono prove che siano state usate armi chimiche in Siria, ma non sappiamo dove, come, quando e chi le abbia usate”.
L’ex Procuratore del Tribunale penale internazionale ed attuale membro della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei Diritti umani in Siria, Carla Del Ponte, aveva poi spiegato in maggio che “I nostri ispettori sono stati nei Paesi vicini a intervistare vittime, medici e negli ospedali da campo. In base ai loro resoconti della scorsa settimana ci sono sospetti forti e concreti, ma non prove inconfutabili, dell’uso di gas sarin”; tuttavia ad “oltrepassare la linea rossa” indicata dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, “sono stati i ribelli, l’opposizione, non le autorità del governo siriano”.
Certi dell’impiego di armi chimiche da parte dei ribelli sono i russi e lo stesso Putin al G8 nord-irlandese di giugno era stato chiaro nel dire agli occidentali di stare lontani dalla sua zona di influenza nel Mediterraneo, anche perché era in possesso delle prove dell’impiego di armi chimiche da parte dei ribelli.
L’annuncio ufficiale è arrivato poco dopo, il 9 luglio scorso: la Russia ha le prove sull’uso di armi chimiche da parte dei ribelli siriani, durante un’operazione nel villaggio di Khan al-Assal, nella provincia settentrionale di Aleppo. Così l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha annunciato che gli esperti di Mosca hanno raccolto nel villaggio alcuni campioni che provano l’uso di armi ‘proibite’, in particolare gas nervino ‘sarin’, da parte degli oppositori del regime di Bashar al-Assad, il 19 marzo scorso.
Ora la palla passa nuovamente alle Nazioni Unite, ma è certo che se alla presenza di cospicui gruppi qaedisti fra gli insorti, come nel caso di Jabat al-Nusra, si dovesse aggiungere anche l’accusa dell’impiego di armi chimiche, l’opposizione al regime di Bashar al-Assad potrebbe perdere ampie porzioni di consenso nell’opinione pubblica mondiale.