Yemen. Gli interessi incrociati alimentano la guerra dimenticata

di Giorgio Buro

A distanza di nove anni dal primo proiettile, la guerra civile in Yemen ha prodotto, per cause dirette o indirette, più di 300mila vittime e 4 milioni di rifugiati.
È il bilancio, questo, di una delle più gravi crisi umanitarie contemporanee, uno scontro la cui asimmetria si è incomprensibilmente riflessa anche sul piano mediatico, a tal punto da far salire il conflitto agli onori della – scarsa – cronaca come una delle tante guerre “dimenticate”.
Oggi, a pochi giorni dall’ingresso nel decimo anno di combattimenti, gli interessi incrociati che gravitano intorno al Paese rischiano di compromettere i tentativi di pacificazione. Per comprendere l’origine della crescente tensione, bisogna fare un passo indietro.
A cavallo tra il 2014 e il 2015, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti formarono una coalizione con altri otto Stati per fermare l’avanzata degli Houthi, il movimento armato musulmano a prevalenza sciita che in poco tempo aveva conquistato la capitale Sana’a, costringendo alla fuga il presidente Abdrabbuh Mansur Hadi; la coalizione, supportata dalla comunità internazionale, avviò un’azione su larga scala contro i ribelli.
Il successivo duello per il controllo e il consolidamento dell’area ha trasformato quella che doveva essere un’operazione speciale per ripristinare il governo di Hadi in una guerra per procura, uno colluttazione tra più attori sedotti dall’occasione di esercitare la propria influenza su una zona fondamentale dal punto di vista commerciale ed energetico (lo Yemen si colloca nell’estremità orientale della Penisola Araba ed è un territorio storicamente strategico grazie alla presenza dello stretto di Bāb el-Mandeb, che connette il Mar Rosso con il Golfo di Aden e con l’Oceano Indiano).
Gli stessi protagonisti della coalizione, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sembrano ora sul punto di fronteggiarsi: dopo alcuni mesi di tensione e reciproci sospetti, le due potenze hanno iniziato a supportare gruppi di combattenti rivali, destando negli osservatori internazionali il timore che il livello dello scontro possa alzarsi ulteriormente. La partita si gioca anche su altri fronti: i continui negoziati fra Arabia Saudita e i leader degli Houthi; la preoccupazione per Dubai, che rischia di perdere il suo status di hub centrale per l’economia mediorientale e, infine, la gestione dei rapporti con l’Iran.
Le prossime settimane saranno dunque cruciali; nel frattempo, secondo quanto dichiarato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel comunicato stampa del 6 settembre, l’inviato speciale del segretario generale per lo Yemen, Hans Grundberg, ha concluso una visita ad Abu Dhabi, dove ha incontrato alti funzionari degli Emirati e una delegazione yemenita nel tentativo di favorire un accordo per il definitivo cessate il fuoco.
A seguire con attenzione l’evoluzione delle trattative ci sono le organizzazioni umanitarie, che ormai da anni denunciano le condizioni disumane cui la popolazione yemenita è sottoposta: l’80 per cento dei cittadini non ha accesso costante a cibo, acqua e medicine; coloro che non sono riusciti a lasciare il Paese, inoltre, assistono impotenti a una violenza endemica, fatta di abusi sessuali, spose bambine, traffico di esseri umani e sfruttamento del lavoro minorile.