Un’analisi del potenziale antagonismo dei paesi Brics

di Massimo Ortolani * –

La recente decisione di ampliamento dei BRICS a 11 paesi membri, dagli attuali 5, ha generato opinioni controverse sull’impatto geostrategico che ne potrebbe conseguire in merito alle modalità con le quali intenderebbero riformare la governance globale. E ciò anche a seguito dell’accresciuta assertività della politica dell’India di Modi, in particolare dell’ultimo G20, che sembra assumersi un ruolo via via crescente, quale ago della bilancia nella competizione dualistica tra USA e Cina. E’ comunque assodato che i Brics intendono fortemente sostenere il loro supporto alle istanze di contestazione del sud globalizzato verso il nord globale. In particolare, come si legge al punto 5) delle risultanze del vertice di Johannesburg, per contribuire a: “una maggiore rappresentanza dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo, nelle organizzazioni internazionali e nei consessi multilaterali in cui svolgono un ruolo importante”. Ma, per meglio comprendere in termini di maggiore concretezza potenziale la portata antinomica di questo come degli altri numerosi impegni dei BRICS, è opportuno esaminare più in dettaglio gli elementi istituzionali saliente ed i principali fattori economico-finanziari che delineano il quadro geopolitico e geoeconomico entro il quale essi possono sfidare l’occidente con comportamenti geostrategici.
L’insieme dei dati numerici presenti nel prospetto sottoriportato fornisce elementi circostanziali che inducono a ritenere affievolita la capacità di deterrenza antagonistica esercitabile prospetticamente dal gruppo dei BRICS in ambito geoeconomico.
–   In primo luogo per la contemporanea partecipazione di 7 degli 11 Brics allargati anche al gruppo dei G20. La compattezza di Cina e Russia deve in tal caso confrontarsi con l’avversione per l’unitaleralismo russo-sinico di chi sta dimostrando di privilegiare l’appartenenza al gruppo per ragioni di natura più commerciale e finanziaria che di condivisione ideologica, come il gigante indiano in primis; o l’Arabia S. che non si è certamente staccata da uno storico rapporto con USA, come anche Brasile ed Argentina. Mentre 2 dei 4 paesi residui (Etiopia ed Egitto) beneficeranno di una indiretta, ma autorevole rappresentanza presso il G20, come membri dell’Unione Africana.
–       Inoltre tale stato di decomposizione, sul piano geoeconomico, dei Brics allargati risulta avvalorato anche dalla loro partecipazione ad una molteplicità di accordi di partenariato, cooperazione e di libero scambio. Condizione che comporta di attenersi a vincolanti impegni e condizionalità, sul piano del commercio e degli investimenti, da condividere con una molteplicità di altri paesi non Brics aderenti agli stessi partenariati. Questo potrebbe apparire come un fattore di marginale rilevanza, ma non lo è, se solo si pensa al Rcep ed alle mire cinesi nell’indo-pacifico, mentre altri principali  paesi membri del Rcep: Australia, Indonesia, e Corea del Sud sono membri G20, e Giappone del G7. Una differenziazione che, sotto questo profilo, non si registra tra i 12 paesi del Mercosur che, però, ha in via di sottoscrizione un accordo di partenariato commerciale e di investimento con la UE. In cui si prevede ad es. il sostegno alla lotta alla deforestazione anche per il miglioramento delle condizioni di sopravvivenza degli abitanti dell’Amazzonia. Un esempio di come questi accordi riflettano inevitabilmente i valori cui si ispirano le priorità geopolitiche e geoeconomiche dei governi delle nazioni partners.
–    Altri fattori di natura istituzionale potrebbero invece fare propendere per un irrigidimento dell’unilateralismo all’interno dei Brics allargati, riconducibile alla prevalenza di regimi autoritari al loro interno: 7 su 11. Ma si ha motivo di ritenere, a seguito di vicende più o meno recenti, che sull’unilateralismo prevarrà l’opportunismo transazionista di ogni paese membro. Che spiega l’avvicinamento per ragioni commerciali dell’India alla Russia, la speranza dell’Iran, nemico degli USA, di potersi nel tempo avvalere – come anche Mosca – di aiuti indiretti degli altri membri per ridurre il peso delle sanzioni, il desiderio dell’Egitto di riuscire a realizzare i piani di investimento necessari a sollevare la sua economia, infine l’obiettivo dell’Arabia S., e degli Emirati, di continuare ad ampliare i loro gradi di libertà sul piano geoeconomico, agendo anche in veste di finanziatori al fine di creare o rinsaldare nuove alleanze regionali e bilaterali. Da considerare che Argentina ed Etiopia stanno entrambe affrontando gravi crisi valutarie. Mentre gli Emirati Arabi, nel corso dell’ultimo decennio, sono diventati il quarto investitore globale nel continente africano, dopo Cina, Europa e Stati Uniti.  
–      Un fattore, invece, di fecondità per il potenziamento della compattezza e della deterrenza antagonistica dei Brics allargati è certamente costituito dal fatto che 9 degli 11, ad eccezione di India e Russia, abbiano aderito alla Belt&Road. Una situazione, questa, che contribuirà in futuro ad aggrovigliare ulteriormente la matassa delle relazioni economiche e politiche internazionali, una volta che gran parte dei 40 paesi che hanno espresso desiderio di unirsi ai Brics risultino anch’essi vincolati ai dettami di accordi di libero scambio e di partenariato economico con paesi G20 o G7, come nel caso dell’atteso accordo UE-Mercosur.
–        Merita infine di essere citata quell’importante area di potenziale antagonismo strategico, esercitabile anche con azioni di sharp power diplomatico su paesi membri o candidati, e mirante all’asservimento a finalità geopolitiche, da parte dei membri Brics, della disponibilità di metalli e minerali critici indispensabili per la transizione energetica. Infatti, in un contesto regolatorio in cui è da tempo carente un ruolo assertivo del WTO, non si può escludere a priori che accordi tra i membri per la determinazione, anche temporale, di prezzi o di restrizioni all’esportazione, ovvero di controllo e selezione sugli investitori esteri, o di applicazioni ad hoc di tasse e royalties, possa in futuro emergere come un serio rischio di collusione oligopolistica, da affrontare da parte dei paesi del G7. Laddove invece i Brics hanno già trovato uno spazio di pacifica condivisione ideologica è quello della contestazione, alle modalità operative dei poteri finanziari forti dell’occidente riconducibili al FMI e alla Banca Mondiale; e anche di  riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E’ innegabile che la percentuale di voto esprimibile al FMI dal complesso dei paesi G7, superiore al 41%, appare più che doppia del c.a. 18%  in capo ai Brics allargati. Si tratta di una avversione verso queste istituzioni di Bretton Woods legittimata dalle annose critiche per l’ imposizione di pesanti di condizionalità ai paesi debitori del sud globale, e dai troppi anni della loro leadership in capo a  cittadini dell’Occidente industrializzato.
  In opposizione a ciò è risultata la costituzione, e relativa localizzazione in Cina, dei due organismi finanziari dei Brics: la New Development Bank (NDB) e il Contingent Reserve Arrangement (CRA). Come si può notare il capitale di controllo della NDB risulta equamente suddiviso tra i 5 attuali paesi Brics indipendentemente dal loro peso geostrategico. Ma l’eventuale partecipazione anche dell’Arabia S. potrebbe contribuire ad erodere la pesante influenza geopolitica sulla banca oggi esercitabile dal blocco russo-sinico. Peraltro i prestiti della NDB per progetti in taluni paesi potrebbero risultare aggiuntivi rispetto a quelli connessi ai grandi investimenti infrastrutturali in corso nell’ambito della B&R. Un finanziamento, quello cinese, in passato oggetto di acute critiche e in primis riconducibili allo slogan della “debt-trap”. Anche se l’esistenza e l’incidenza effettiva della trappola del debito  è tuttora oggetto di controverse interpretazioni e va valutata con attenzione paese per paese. Ma è stato criticato soprattutto per il fatto che si tratterebbe di un debito nascosto, non riportato nei bilanci che i paesi sono tenuti a rivelare al FMI durante i negoziati di ristrutturazione.  In ogni caso l’insieme delle controversie sui macrofinanziamenti ai paesi emergenti rappresenta l’area di maggiore contendibilità geostrategica tra Cina e FMI, sia per l’esigenza di rendere ad un tempo economicamente compatibili i termini di ristrutturazione del debito estero nazionale, compreso quello verso il Club di Parigi, sia per evitare operazioni finanziarie da free riders, per avvantaggiarsi in vario modo dei rimborsi debitori a scapito di altri creditori. Una questione, dunque, di tale rilevanza da essere divenuta oggetto del punto 29) delle dichiarazioni del summit di Johannesburg, laddove si avanza richiesta di affrontare la tematica del debito dei paesi emergenti “con la partecipazione di creditori bilaterali ufficiali, creditori privati e banche multilaterali di sviluppo, in linea con il principio dell’azione congiunta e dell’equa ripartizione degli oneri”.   Ma ci si permette di osservare che una risposta a queste criticità da parte dei G7 non dovrebbe limitarsi ad una revisione di mission e modalità operative di FMI e BM, nella misura in cui potesse essere rafforzata/complimentata, da interventi a “dono”  ai paesi del Sud globale da parte della UE. Che dovrebbe potere concertarne l’ideazione in forma unitaria, per i risvolti di diplomazia economica e politica, ed organizzando e gestendo a tale fine parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo messi a disposizione dei singoli stati membri. Per ragioni di sintesi espositiva si tralascia di affrontare adeguatamente la tematica dei difficili percorsi operativi che i Brics dovrebbero affrontare per potersi avvalere di una valuta comune, nel contrasto al signoraggio del dollaro. D’altra parte la fattibilità tecnica di scambi intra-Brics già oggi consente di porre in essere relazioni commerciali in valuta locale – anche in modalità countertrade – ed entro plafond valutari gestibili anche in netting valutario. (Da tenere presente, al riguardo, che una delle valute maggiormente candidabili a tale ruolo – lo yuan cinese – è proprio in questi giorni oggetto di forti speculazioni al  ribasso). Da quanto sinora indicato, si può in conclusione desumere che non è tuttora giustificabile la previsione di una immediata e pericolosa confrontazione geopolitica tra G7 e Brics, in ragione del fattore di permeabilità geostrategica, ovverosia dell“iper-lateralismo” su cui tale antagonismo dovrebbe poggiare. Conclusione che dovrebbe valere anche per il medio-periodo. In cui le variabili in gioco diverrebbero, solo per citarne alcune: 1) la reazione degli USA e della UE in interventi di avvicinamento geoeconomico al Sud globale, (ved.il progetto di connettività Imec ad es), le politiche del futuro presidente USA e della UE postelezioni, l’esito della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, l’incognita della crisi economico-finanziaria in Cina, le stesse accresciute difficoltà di coordinamento strategico connesse ad ogni ulteriore aumento della numerosità dei paesi Brics in dipendenza dagli opportunismi geopolitici e geoeconomici temporalmente cogenti (iper-lateralismo).

* Analista geoeconomico.