A cinque anni da Fukushima nulla è cambiato

di C. Alessandro Mauceri –

fukushimaIl quinto anniversario del disastro nella centrale nucleare di Fukushima è passato un po’ in sordina. Sembra quasi che la gente e, soprattutto, i governi vogliano dimenticare le conseguenze di uno dei peggiori incidenti nucleari della storia.
A distanza di cinque anni dal disastro e nonostante i depistaggi della Tepco e le coperture del governo giapponese, i livelli di contaminazione da radiazioni continuano ad essere elevatissimi: “Dopo cinque anni è ancora allarme: i livelli di radioattività risultano ancora 35 volte superiori alla norma”. A dirlo sono gli esperti di Green Cross, Ong ambientalista che ha effettuato i campionamenti nella prefettura di Fukushima per valutare gli attuali rischi per l’uomo e l’ambiente.
Dati confermati anche da un rapporto di Greenpeace: a Fukushima le case sono ancora contaminate, eppure la popolazione riceve forti pressioni per tornarci. “Questo è inaccettabile, ha detto Valerio Rossi Albertini, ricercatore del Cnr e membro del comitato scientifico di Green Cross, perché bisogna almeno lasciare ai cittadini la possibilità di decidere. Togliere l’indennizzo costringe di fatto molte famiglie indigenti a tornare in un ambiente pericoloso e nocivo, reso tale dalla colpevole leggerezza dei vertici della Tepco. Tanto più che, ad aggravare la situazione, concorre anche l’acqua di raffreddamento radioattiva rilasciata a più riprese dalla centrale di Fukushima nell’ambiente circostante”.
Cinque anni non sono bastati perché il sito della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi tornasse a dei livelli di radioattività normali. Così come non sono stati sufficienti per far capire alla gente che questo modo di produrre energia comporta rischi troppo alti per essere accettabili.
Non solo in Giappone: in tutto il mondo. Nel marzo 2011, l’anno del disastro di Fukushima, le centrali nucleari attive nel globo erano 442. E gran parte di loro si trova in Europa.
Dopo l’incidente nucleare molti paesi europei ed esteri promisero di chiudere le proprie centrali nucleari. Oggi sappiamo che queste promesse non sono state mantenute.
Dopo Fukushima, Angela Merkel promise di smantellare le centrali nucleari attive in Germania. Oggi, sono sette ad operare ancora a pieno regime. Per questo motivo i Verdi tedeschi hanno commissionato uno studio ad esperti indipendenti su alcune di queste centrali. Come quella di Cattenom, nella Mosella, dove sono state riscontrate diverse anomalie “alcuni sistemi di sicurezza non lavorano gli uni indipendentemente degli altri”. Secondo i ricercatori Cattenom è “come un’automobile i cui freni non funzionassero più”.
Lo stesso è avvenuto in Francia. Da molti decenni Parigi ha concentrato la propria produzione di energia elettrica sul nucleare. Subito dopo il disastro negli impianti della Tepco, Hollande promise che avrebbe chiuso molte centrali (diverse sono ormai obsolete) entro la fine del suo mandato, nel 2017. Ad oggi, però, poco o niente è stato fatto e il livello di rischio di molte centrali francesi sta salendo in modo preoccupante, lo dimostrano i casi, sempre più frequenti, di malfunzionamento. L’estate scorsa, nella centrale nucleare di Bugey, non lontano da Lione, sono state rilevate perdite al circuito di raffreddamento del reattore numero 2, per questo sono stati effettuati dei test e i risultati non sono stati incoraggianti: “I tubi hanno mostrato uno spessore residuo che non permette di resistere garantendo un livello di sicurezza sismica medio-alto”, ha detto l’Asn (Autorité de Sûreté Nucléaire). L’Edf, però, ha deciso di continuare ad usare il reattore affermando che “non terranno ad un terremoto, ma non c’è pericolo, le probabilità sono nulle”.
Poche settimane fa sono emersi grossi problemi a Beaumont-Hague (impianto nel quale finiscono anche parte delle scorie nucleari delle vecchie centrali italiane), a causa della corrosione degli evaporatori più rapida di quella prevista durante la loro progettazione.
Il quotidiano francese 20 Minutes ha tracciato una mappa dei rischi legati ai cinquantotto reattori nucleari esistenti sul territorio francese. Secondo Yves Marignac, esperto indipendente ascoltato dal quotidiano francese, “anche se si stilasse una classifica dei reattori secondo il loro grado di sicurezza, nulla ci assicura che una catastrofe simile a quella di Fukushima non possa prodursi sul sito giudicato più affidabile”.
Ma il giudizio più pesante non è stato emesso da un giornale francese o da Greenpeace o da un altro gruppo ambientalista, la valutazione più dura è stata fatta dal presidente dell’Autorità francese per la Sicurezza Nucleare, Pierre-Franck Chevet: “Un incidente come quello di Fukushima potrebbe accadere anche in Europa, non so dire quante probabilità ci siano, ma dobbiamo partire dal principio che è possibile”. Per Chevet siamo di fronte a un “contesto particolarmente preoccupante in materia di sicurezza nucleare”; questo per tre motivi: “Innanzitutto, il mantenimento in servizio di centrali vecchie di quarant’anni risulta tecnicamente molto complicato”, in secondo luogo “gli standard di sicurezza sono aumentati, mentre il parco industriale nucleare è stato edificato negli anni ottanta”, ultimo ma non meno importante, “le condizioni finanziarie degli attori del settore”. Molte delle società (e lo stesso Cea, il Commissariato per l’energia atomica) versano in condizioni di difficoltà economica e di bilancio e non sono in grado di effettuare i lavori di messa in sicurezza necessari.
Ma i rischi non provengono solo dalle centrali francesi. In Belgio, nell’area che ospita impianti nucleari più densamente abitata del continente (in un raggio di 70 km da poche centrali, abitano 9 milioni di persone), negli ultimi anni, sono stati numerosi gli “incidenti”. L’ultimo, poche settimane fa, presso la centrale di Tihange, a pochi chilometri da Liegi (il reattore è stato spento per permettere controlli). Eppure anche il Belgio, nel 2003, aveva approvato una legge che prevedeva l’uscita dal nucleare a partire dal 2015. Oggi, il paese produce il 60% della propria elettricità da energia atomica e la gran parte proprio nei reattori più vecchi (i quattro della centrale di Doel e i tre di quella di Tihange). Riorganizzare tutto il settore avrebbe costi rilevanti, per questo, in “mancanza di alternative”, i belgi hanno deciso di prolungare la vita degli impianti esistenti almeno fino al 2025 e ciò nonostante i rischi che tali centrali comportano: nel 2012, durante un controllo di routine si scoprì che il reattore 3 di Doel (entrato in funzione nel lontano 1982) e quello 2 di Tihange (risalente al 1983), mostravano all’esame ultrasonico dei loro vessel, ben 8.000 discontinuità nell’acciaio a Doel e 2.100 a Tihange. In altre parole i contenitori destinati a contenere acqua di raffreddamento (che può raggiungere anche centinaia di gradi di temperatura e decine di atmosfere di pressione), si stavano deteriorando. Ciò nonostante l’ente di controllo nucleare belga, la Fanc, nel 2013, autorizzò la riaccensione delle due unità. Nel 2014, la Fanc fermò di nuovo i reattori e ordinò nuovi esami ad ultrasuoni, chiese anche il parere ad alcuni tra i maggiori esperti mondiali: i test effettuati dimostrarono che la situazione era peggiorata, eppure, a novembre del 2015, l’impianto tornò pienamente operativo.
Molte delle centrali nucleari attualmente attive in Europa sono troppo vecchie, alcune di loro risalgono a molti decenni fa, questo significa che si basano su strutture e tecnologie ormai obsolete e, soprattutto, che l’usura degli impianti ha raggiunto un livello tale da richiedere interventi radicali o, in alternativa, lo spegnimento definitivo dei reattori, interventi entrambi estremamente costosi.
È questo il motivo che ha spinto diversi paesi europei a continuare ad utilizzare questi impianti: la maggior parte dei governi non ha i soldi per fare a meno del nucleare. Un recente documento della Commissione europea citato dalla Reuters parla di un “buco” di 118 miliardi di euro, per far fronte ai costi di smantellamento, infatti, l’Ue ha stanziato circa 150,1 miliardi di euro, ma le stime prevedono una spesa complessiva intorno ai 268,3 miliardi. Secondo la Reuters, solo il Regno Unito dispone di fondi sufficienti per coprire queste spese (63 miliardi di euro), nessun altro, a cominciare dalla Francia, dove mancherebbero ben 23 miliardi di euro dei 74,1 miliardi previsti. Situazione analoga in Germania, dove nonostante le rassicurazioni del governo, mancano 7.7 miliardi per coprire i 38 necessari. E così in molti altri paesi che, in passato, hanno imperniato la propria produzione energetica sul nucleare.
Molti di questi stati oggi non hanno i soldi per fare a meno di questa fonte di energia, e questo anche quando i rischi che certi impianti comportano sono più elevati del normale, pericolo che riguarda non solo i paesi che decidono di utilizzare il nucleare, ma tutto il territorio circostante. Recentemente la Germania ha chiesto ufficialmente alla Francia di chiudere la centrale di Fessenheim, in Alsazia, i cui impianti risalgono al ’77 e che è situata in una zona sismica: nella centrale si sono già verificati di recente incidenti per i quali Berlino ha accusato Parigi di aver minimizzato i danni. Anche la Svizzera ha sporto denuncia contro la centrale francese del Bugey, che si trova a soli 70 km da Ginevra, per la “messa in pericolo della vita altrui e inquinamento delle acque” e lo stesso ha fatto il Lussemburgo, che ha chiesto la chiusura della centrale di Cattenom in Mosella, la quale non rispetterebbe le norme di sicurezza stabilite dopo Fukushima. Secondo l’associazione Greenpeace, delle cinque centrali “da chiudere prioritariamente”, due risultano non distanti dal confine con l’Italia: Tricastin e Bugey.
Il fatto è che, in cinque anni, i governi non hanno imparato niente da Fukushima: attualmente il numero di centrali attive nel mondo è esattamente lo stesso di cinque anni fa. Anzi sono molte quelle nuove in costruzione (ben 66 – fonte Iaea -Pris International Atomic Energy Agency – Power Reactor Information System). Perfino il Giappone, dopo aver dichiarato di voler rinunciare al nucleare, ha cambiato idea e sono tornate in esercizio alcune delle centrali che erano state disattivate dopo Fukushima.
Nel 2003 una società tedesca, la Gesellschaft für Anlagen- und Reaktorsicherheit (Grs – Società per la sicurezza dei reattori atomici), realizzò uno studio sull’affidabilità delle centrali nucleari in Germania in cui, tra l’altro, si parlava della “Probabilità come indice di sicurezza”. Dopo oltre un decennio, gli esperti non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo su quale sia questa “probabilità”.
Non è possibile calcolare in modo attendibile l’ammontare dei danni causati dagli incidenti avvenuti nel recente passato. Secondo alcuni, solo l’incidente di Fukushima ha avuto un costo superiore ai 200 miliardi di dollari, ma questa somma tiene conto solo della spesa per ricostruzione, non considera le centinaia di morti e malati (si stima che ad oggi ammontino a circa novantamila), né tiene conto del danno causato all’ambiente, incluso quello marino (si pensi cosa accadrebbe in Europa, dove alcune delle centrali nucleari utilizzano l’acqua del Reno per il raffreddamento).
Una sola cosa è certa: proprio il fatto che questi danni sono incalcolabili, è sufficiente a rendere inaccettabile il continuare a produrre energia elettrica con il nucleare.