Armenia. La protesta mette in luce l’instabilità del paese

di Giuliano Bifolchi –

erevan elettric grandeContinua in Armenia la protesta contro l’aumento del prezzo dell’elettricità, una tensione sociale che ha portato il paese caucasico al centro del ciclone mediatico per l’eccessivo uso di violenza da parte della polizia di Yerevan contro i manifestanti ed ai danni dei giornalisti.
La motivazione di questa protesta è data dall’aumento del prezzo dell’elettricità del 16,7% a partire dal 1 agosto in un Paese di 3.2 milioni di abitanti già duramente colpito dagli effetti della crisi economica che ha investito la Federazione Russa dopo il crollo del prezzo del petrolio.
Ancora oggi i manifestanti affollano Marshal Baghramyan Avenue come forma di protesta definita illegale dai rappresentanti del governo armeno: il primo ministro Hovik Abrahamyan ha infatti accusato le persone che hanno preso parte alle manifestazioni di aver violato la Costituzione del paese ed ha dichiarato l’intenzione di proseguire il processo di innalzamento del prezzo dell’elettricità.
I manifestanti, il cui slogan è “No to Plunder” diffuso dal punto di vista mediatico grazie all’utilizzo di #ElectricYerevan su Twitter, avevano avuto un confronto con la polizia lo scorso lunedì durante la loro marcia verso il palazzo presidenziale, dove avrebbero voluto chiedere al presidente armeno Serzh Sargsyan di fermare l’innalzamento del prezzo, terminata con il loro arrivo a Marshal Baghramyan Avenue prima dell’intervento delle forze dell’ordine le quali, utilizzando i cannoni ad acqua e la forza, hanno disperso la folla nella mattinata di martedì (Armenia police disperse crowd protesting rise in power prices).
Human Rights Watch ha richiesto un’inchiesta per l’utilizzo dell’eccessiva forza da parte della polizia di Yerevan, accusata di aver utilizzato indiscriminatamente i cannoni ad acqua, aver distrutto l’equipaggiamento dei giornalisti presenti e abusato del loro potere durante gli arresti. Singolare invece il poco interesse ed il low profile di organizzazioni in difesa dei diritti umani come Amnesty International, di solito tra le prime a scagliarsi contro governi che reagiscono violentemente alle dimostrazioni di piazza.
L’aumento dei prezzi dell’elettricità avverrà il primo di agosto e sarà pari al 16,7%; la compagnia di distribuzione elettrica del paese, posseduta dalla holding russa Inter RAO, ha richiesto l’innalzamento delle tariffe per poter compensare la forte svalutazione della moneta nazionale (il dram) provocando la rabbia della popolazione armena, il cui stipendio medio è attestato sui 200 dollari mensili.
E’ interessante evidenziare come il paese caucasico afflitto dalla crisi economica e dipendente dalla Federazione Russa per quel che concerne la fornitura di energia elettrica continui a concentrare però una cospicua parte del proprio Pil nazionale in favore del settore della Difesa per poter sostenere il conflitto “congelato” con il vicino Azerbaigian in merito al Nagorno-Karabakh. Analizzando il report Global Militarisation Index 2014, pubblicato dal Bonn International Center for Conversion (basato sui dati relativi al 2013), è possibile evidenziare come l’Armenia sia il terzo paese al mondo dopo Israele e Singapore con il maggiore livello di militarizzazione e con una spesa militare pari al 4% del Pil nazionale.
Secondo i dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), l’Armenia nel periodo 2001 – 2012 ha avuto una spesa militare pari a 3,591miliardi di dollari ed è passata dalla spesa annua di 159 milioni di dollari nel 2001, ossia il 3,1% del PIL, a 408 milioni nel 2012 (3,8% del PIL) fino ad arrivare a 451 milioni di dollari nel 2013, ossia il 4% del PIL.
Dal punto di vista economico il paese caucasico registra per il periodo 2015-2016 una crescita del 3,1%, secondo le stime di The Economist, con un decremento dell’inflazione scesa dal 5.8% del 2013 al 3.2% del 2014, ma deve far fronte a diverse sfide rappresentate in primis dal deficit del budget nazionale pari a -1.7% del PIL guidato da un ammontare delle spese di 3.01 miliardi di dollari superiore agli introiti (2.825 miliardi di dollari), dal tasso di disoccupazione del 15.9% (2013), da un debito pubblico del 42,4%, da una netta differenza tra le importazioni (4.02 miliardi di dollari) rispetto alle esportazioni (1.75 miliardi di dollari), e da un debito esterno di 7.493 miliardi di dollari.
Ai dati si deve aggiungere anche la sorprendente decisione da parte del governo di Yerevan di far entrare il paese nell’Unione Doganale, cosa che ha definitivamente inserito l’Armenia all’interno dell’orbita della Russia permettendo al Cremlino di consolidare la propria presenza riuscendo a mantenere non solo influenza politica ed economica ma anche militare grazie alle base di Gyumri e quindi causando un allontanamento dello stato armeno dall’occidente, elementi che pongono ulteriori dubbi ed incertezze sul futuro e la stabilità.

Nella foto: Erevan. Distribuzione (e furto) dell’energia elettrica. Foto Ng.