Arzerbaijan. Giù il manat e su i prezzi: l’errore di puntare tutto su petrolio e gas

di Giuliano Bifolchi

Sharifov grandeIl 2015 è finito per l’Azerbaijan con una netta svalutazione della moneta, il Manat, ed il 2016 è iniziato anche peggio, con un innalzamento record dei prezzi e con una crisi economica tale da provocare proteste di piazza in differenti regione del paese.
Così lo Stato caucasico, che si era distinto negli ultimi anni per il suo ruolo a livello regionale e nel mercato energetico mondiale e per la promozione di importanti eventi culturali, politici, economici e sportivi di primo piano (tra cui gli European Games del 2015 e la prossima edizione del Gran Premio di F1), si trova a dover affrontare una delle crisi economiche più difficili degli ultimi dieci anni. Le rendite petrolifere, infatti, non sono sufficienti a coprire le spese dell’Azerbaigian a causa del crollo dei prezzi del petrolio, cosa che si è tradotta per Baku nella svalutazione della moneta, che ha perso tra il 35 e il 40% di potere di acquisto nei confronti del dollaro.
I primi ad accorgersi di questa crisi sono stati proprio i cittadini, i quali sono scesi in piazza nei distretti di Fizuli, Aqsu, Aqcabardi, Siyazan e Lankaran per protestare contro la politica economica ed interna del governo; a Siyazan, secondo quanto riferito da Radio Free Liberty, la marcia dei dimostranti ha visto il dispiego delle unità militari e l’arresto di almeno due dei protestanti, mentre a Lankaran la polizia ha fermato due attivisti locali dell’opposizione. Nel distretto di Aqsu invece le autorità locali sono riuscite ad entrare in dialogo con i dimostranti, secondo quanto afferma lo stesso vice presidente del distretto Rasim Novruzov, ed hanno raggiunto l’accordo di pensare a delle misure per contrastare il costo elevato della farina.
La farina e molti altri beni primari come ppatate, uova, pomodori, banane, carne e vino sono divenuti quasi inaccessibili per la popolazione (vedi grafico in figura – fonte RFE/LR). La disperazione ha portato Alik Navruzov, 63enne impiegato presso la scuola di Neftchala in qualità di manutentore, ad immolarsi col fuoco lo scorso 7 gennaio di fronte al suo luogo di lavoro, quale forma di protesta per la caduta del manat e l’aumento dei prezzi, divenuti per lui insostenibili.

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Il malcontento nella popolazione per come è stata gestita l’economia del Paese è palpabile. Lo scorso febbraio il manat aveva subito una svalutazione ma il Governo di Baku aveva rassicurato gli investitori nazionali ed esteri e la popolazione che la crisi economica sarebbe stata arginata e che sarebbero rimasti inalterati i finanziamenti dei programmi di natura sociale. Lo stesso ministro delle Finanze azerbaigiano Samir Sharifov, lo scorso 6 maggio 2015, durante il 48mo incontro annuale del Consiglio dei Dirigenti della Banca di Sviluppo Asiatico, aveva sottolineato come per affrontare la crisi iniziale del paese il governo avrebbe puntato tutto sulla diversificazione economica con l’intento di rendere l’Azerbaigian meno dipendente dalle rendite petrolifere. Diversificazione economica promossa continuamente anche dal presidente Ilham Aliyev, che sembra tuttavia non aver dato i frutti sperati oppure essere stata garantita solo parzialmente: secondo quanto dichiarato da Elnur Soltanov, professore della ADA University di Baku, incontrato in ottobre in Azerbaigian, “Parlando del progetto di diversificazione dell’economia e dell’implementazione del settore non petrolifero posso affermare che c’è ancora molto lavoro da fare in Azerbaigian, per poter permettere che la loro incidenza possa controbilanciare quella del petrolio e del gas naturale sul nostro Pil e sulla nostra crescita.”
Le conseguenze del non aver ottimizzato le rendite petrolifere e di non aver puntato maggiormente sul settore non petrolifero sono oggigiorno visibili ed è doveroso aggiungere anche il fallimento del sistema bancario nazionale per quel che riguarda i prestiti verso i privati: secondo quanto riportato da Radio Free Europe, molti cittadini azerbaigiani hanno contratto debiti per prestiti in dollari e con la svalutazione della moneta attualmente si trovano a dover fronteggiare pagamenti non sostenibili anche per cifre molto piccole come 2-3 mila dollari.
Ovviamente la crisi che il paese sta affrontando è quella che ha investito tutti i paesi produttori ed esportatori di petrolio e, seppur con numerosi problemi, appare evidente il grande lavoro che Baku ha cercato di fare a livello sociale ed amministrativo negli ultimi anni con l’intento di fornire maggiori servizi e supporto ai cittadini. Fiore all’occhiello del paese è il sistema ASAN, il quale ha permesso un maggior collegamento a livello di servizi, ovvero burocratico ed amministrativo nel rapporto tra cittadino ed istituzioni. Si tratta tuttavia di un’innovazione che rimane marginale se si pensa a quanto poteva essere fatto con le rendite monetarie accatastate nella State Oil Fund of Azerbaigian (SOFAZ).
È anche vero che per far fronte alla crisi il governo, su proposta dello stesso presidente Aliyev, sta valutando un piano di azione per aiutare i cittadini maggiormente colpiti dalla crisi; lo scorso 6 gennaio il ministro del Lavoro e del Welfare, Salim Muslimov, ha affermato che il suo ministero sta lavorando per trovare la via per innalzare i pagamenti dell’assistenza sociale e dovrebbe presentare delle proposte a fine mese. Inoltre il suo ministero sta monitorando i prezzi di sei regioni (Baku, Sumgait, Mingachevir, Ganca, Lankaran, Tovuz e Agsu) con l’intento di comprendere quanto possano essere innalzati i pagamenti previdenziali.
Il 5 gennaio il Ministero degli Esteri ha invece annunciato che Baku sta valutando la possibilità di effettuare tagli tra lo staff ministeriale ed i costi delle ambasciate all’estero, ma ha negato quanto riportato da alcuni giornali nazionali in merito alla chiusura delle ambasciate in America Latina.
A queste iniziative però bisogna controbilanciare il continuo aumento della spesa nel campo militare, la quale da anni registra una continua crescita ed una forte incidenza sul Pil nazionale: secondo quanto previsto dal Ministero delle Finanze lo scorso autunno, il paese dovrebbe aumentare il volume di spesa nel settore difesa per il 2016 del 3.3% rispetto alle previsioni di budget 2015 e del 4.4% rispetto alle previsioni del budget implementato del 2015. Nel 2016 le spese totali per la difesa e la sicurezza, per la gestione e il mantenimento delle agenzie legislative e giudiziarie e per l’ufficio del procuratore saranno pari al 18.3% del totale volume delle spese del budget statale. Tale ammontare sembra esagerato e sproporzionato se viene rapportato alle difficoltà a cui andrà contro l’Azerbaigian nei prossimi anni, come preannunciato dallo stesso Sharifov, ed evidenzia la tendenza di Baku a continuare la sua politica degli armamenti connessa al conflitto del Nagorno-Karabakh a scapito di uno sforzo maggiore per il benessere sociale e della popolazione.
Infatti, la scorsa settimana, il ministro delle Finanze azerbaigiano ha presentato la revisione del budget statale 2016 da cui si evince una perdita nelle entrate statali dell’11.6% rispetto allo scorso anno, ed un rallentamento della crescita economica attestata all’1% nel 2015 rispetto al 2.8% nel 2014, ben al disotto delle previsioni. Le entrate previste per il 2016 saranno pari a 14.6 miliardi di manat (9.3 miliardi di dollari), cifra inferiore ai 19.4 miliardi dell’anno precedente, e le uscite ammonteranno ad un totale di 16.3 miliardi di manat, valore inferiore ai 21.1 miliardi del 2015 per un totale di deficit di questo anno pari al 2.9% del Pil. Per Sharifov l’obiettivo statale è quello di risanare l’economia e riprendere la crescita nel periodo 2016-2019, visto dal ministro come un lasso di tempo di difficoltà e di maggiore austerità.

Nella prima foto: il ministro delle Finanze Samir Sharifov.