Bangladesh. Msf, ‘ un milione di visite mediche ai rifugiati Rohingya. Ecco cosa abbiamo visto’

di Sara Maresca *

In Bangladesh le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno effettuato un milione di consultazioni mediche per i rifugiati Rohingya e le comunità locali nel distretto di Cox’s Bazar, tra agosto 2017 e dicembre 2018. Sono oltre 700.000 i Rohingya fuggiti dalle violenze in Myanmar che hanno trovato rifugio in Bangladesh, dove si sono uniti ai tanti che avevano già abbandonato il Paese in precedenza. Oggi circa un milione di rifugiati Rohingya vive in campi e insediamenti di fortuna, in condizioni estremamente precarie e senza alcuna certezza per il futuro.
Nell’area, MSF fornisce cure mediche, assistenza psicologica e vaccinazioni grazie al lavoro di oltre 2.000 operatori e oltre 1.000 volontari in 4 ospedali, 5 strutture mediche di base, 8 punti sanitari e un centro di risposta alle epidemie allestiti da MSF. Ma molte emergenze rimangono, dai rischi di epidemie alle difficoltà di fornire cure materno-infantili.
“Siamo riusciti a raggiungere 1 milione di viste grazie alla fiducia che la comunità Rohingya ha riposto nei medici e infermieri di MSF. Meno quantificabili, ma altrettanto fondamentali, sono anche la promozione della salute, la prevenzione primaria e la gestione dell’igiene, attività fondamentali che miglioriamo la qualità della vita nei campi in termini di salute pubblica e dignità individuale” dichiara Giulia Maistrelli, ostetrica di MSF, appena tornata dal Bangladesh dopo una missione di 9 mesi.
Ancora oggi i Rohingya restano confinati nei campi e la maggior parte della popolazione di rifugiati ha scarso accesso all’acqua pulita, alle latrine, all’istruzione, alle opportunità di lavoro e all’assistenza sanitaria. Uno studio retrospettivo sulla mortalità condotto da MSF a dicembre 2017 ha rivelato che almeno 6.700 Rohingya sono stati uccisi in Myanmar nel primo mese dopo lo scoppio delle violenze, tra loro 730 bambini al di sotto dei 5 anni.

Cinque considerazioni dopo aver raggiunto 1 milione di visite. Intervista a Jessica Patti, coordinatrice dello staff medico di MSF a Cox’s Bazar

– I principali problemi medici sono legati alle precarie condizioni di vita?
Le scarse condizioni igieniche in cui i rifugiati Rohingya sono costretti a vivere sono la causa principale delle patologie che abbiamo curato. Quasi il 9% delle visite effettuate (92.766) ha riguardato casi di diarrea acquosa acuta, in maggioranza per bambini al di sotto dei 5 anni, che sono particolarmente vulnerabili a questa condizione e possono morirne se non vengono curati. Se i casi più gravi richiedono il ricovero in ospedale, la maggior parte dei pazienti può tornare a casa dopo un trattamento di re-idratazione.
La diarrea è legata al sovraffollamento e alle precarie condizioni di vita nei campi. Spesso i rifugiati vivono in piccoli ripari temporanei di plastica e bambù, insieme a molti membri della loro famiglia. L’accesso all’acqua potabile e la disponibilità di latrine pulite sono fattori chiave per prevenire la diarrea, così come le attività di promozione della salute volte a migliorare le pratiche igieniche di base.
Tra le altre patologie dovute alle condizioni precarie ci sono infezioni dell’apparato respiratorio, malattie della pelle, alcuni tipi di febbre con origini sconosciute, difficili da diagnosticare quando i servizi di laboratorio non sono ampiamente disponibili.
Le persone nei campi hanno bisogno di più spazio. Questo permetterebbe di ridurre la diffusione di alcune infezioni virali. La semplice pratica di lavarsi le mani con acqua e sapone aiuterebbe a prevenire molte delle malattie della pelle che trattiamo, come funghi e scabbia. Ma quando vivi in un campo rifugiati, dove l’acqua pulita scarseggia, anche lavarsi le mani non è facile. Per questo, le attività di potabilizzazione dell’acqua e la realizzazione di servizi igienici sono state una parte importante del lavoro di MSF. Finora le nostre équipe hanno distribuito 87,8 milioni di litri di acqua pulita nei campi“.

Nonostante le campagne di vaccinazione, il rischio di epidemie rimane?
Nei primi mesi dell’emergenza, le organizzazioni mediche e il Ministero della Salute del Bangladesh hanno affrontato diverse epidemie, segno della bassa copertura vaccinale e del limitato accesso dei rifugiati Rohingya alle vaccinazioni di routine nello Stato di Rakhine, in Myanmar. Da agosto 2017, le équipe di MSF hanno curato 6.547 persone colpite da difterite e 4.885 casi di morbillo. Pur rappresentando solo l’1% del totale delle nostre visite, la risposta immediata alle epidemie è stata fondamentale per fermarne la diffusione. Da allora, abbiamo anche condotto numerose campagne di vaccinazione per difterite, morbillo e colera.
Nelle emergenze che coinvolgono uno spostamento di massa delle popolazioni, la prima cosa che si tenta di fare è vaccinare contro il morbillo, una malattia molto frequente. Rispondere alla difterite è stato più impegnativo, perché sono epidemie più rare e gran parte del nostro staff medico ha dovuto imparare da zero ad affrontarle. Oggi le persone nei campi sono più protette in caso di nuove epidemie e i nostri team continuano a fare vaccinazioni di routine, ma i rischi rimangono. Nelle ultime settimane, per esempio, abbiamo curato diverse centinaia di casi di varicella, una malattia poco comune in Asia meridionale, che può provocare complicazioni per le donne incinte e i pazienti già affetti da altre malattie“.

– Con un futuro così incerto, l’assistenza psicologica diventa cruciale?
La maggior parte dei Rohingya ha vissuto esperienze traumatiche. Molti hanno subito o assistito a violenze, o hanno perso familiari e amici. Molti vorrebbero tornare a casa, ma sanno che non sarà possibile e si sentono senza speranza. Fin dall’inizio delle nostre attività, l’assistenza psicologica è stata una priorità. A oggi le consultazioni psicologiche rappresentano il 4,7% (49.401) delle nostre visite totali.
Le attività di salute mentale per molte persone sono del tutto sconosciute e talvolta sono stigmatizzate a livello sociale. Per questo, abbiamo lavorato per far conoscere le nostre attività e creare un clima di fiducia e dobbiamo continuare in questa direzione. I nostri team effettuano sessioni individuali e di gruppo, fanno attività di stimolo psico-sociale per i bambini malnutriti e trattano persone affette da disturbi psichiatrici. Tutto questo sembra avere effetti positivi: i tassi di abbandono delle sedute sono bassi e c’è un buon numero di pazienti che vengono dimessi, il che implica un miglioramento nelle condizioni psicologiche delle persone“.

– Malattie croniche e cure materne restano ancora parzialmente scoperte?
Le malattie croniche, come il diabete e l’ipertensione, sono piuttosto comuni tra i nostri pazienti, soprattutto quelli più anziani. Ma queste malattie non trovano un’adeguata risposta. Quando riceviamo pazienti con malattie croniche, li stabilizziamo e li indirizziamo ad altre organizzazioni mediche che forniscono trattamenti a lungo termine. Tra i bambini, c’è un’alta prevalenza di talassemia, una malattia congenita difficile da curare che richiede trasfusioni di sangue.
A differenza di altri contesti nei quali MSF opera, i parti rappresentano una piccola percentuale delle nostre attività: le nostre équipe hanno assistito solo 2.192 nascite. Questo perché la maggior parte delle donne decide di non partorire in ospedale. Di solito partoriscono a casa, aiutate da levatrici tradizionali come facevano in Myanmar. Ma quando la propria casa è un riparo di fortuna in un campo sovraffollato, il parto a casa è una situazione pericolosa che vorremmo contribuire a cambiare. Le donne che decidono di venire in ospedale, arrivano spesso troppo tardi, senza aver cercato alcuna assistenza preparto. Le visite prenatali sono state soltanto il 3,36% (35.392) delle nostre visite totali. Di conseguenza, il nostro staff medico vede spesso donne colpite da pre-eclampsia, eclampsia, travagli prolungati e complicanze placentari“.

– Da una situazione di emergenza ad una crisi prolungata?
All’inizio della nostra risposta di emergenza, abbiamo trattato persone per ferite dovute alle violenze in Myanmar e le cure mediche più richieste erano quella di base. Oggi, gli episodi di violenza di cui curiamo le conseguenze avvengono principalmente nelle comunità o all’interno del nucleo familiare. I bisogni principali riguardano assistenza medica secondaria, compresa la cura di malattie non trasmissibili. Come all’inizio dell’emergenza, anche se adesso per ragioni diverse, le violenze sessuali restano un aspetto cruciale da affrontare. Sono ancora tante le donne che arrivano presso le nostre strutture con infezioni contratte sessualmente e non curate per lungo tempo.
La presenza continua di MSF nel distretto di Cox’s Bazar sta anche portando ad un incremento nel numero delle visite mediche tra i membri della comunità locale, soprattutto nelle strutture mediche che non sono localizzate all’interno dei campi“.

* Ufficio stampa di Medici Senza Frontiere.