Borrell: chi è costui?

di Anceo Agostini –

Il 10 ottobre 2022 l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea Josep Borrell pronuncia il discorso d’apertura alla conferenza annuale degli ambasciatori della UE. Nella sua orazione l’Alto rappresentante espone la sua preoccupazione per la grande crisi che mina la prosperità europea un tempo “basata su Cina e Russia – energia e mercato” e ora sconvolta dalla defezione di Russia e Cina perché “la gente non ne è consapevole, ma il fatto che Russia e Cina non siano più quelle che erano per il nostro sviluppo economico richiederà una forte ristrutturazione della nostra economia”. L’introduzione termina con una nota ottimistica purché “la cooperazione con l’amministrazione Biden è eccellente, e le relazioni transatlantiche non sono mai state così buone come oggi, (compresa) la nostra cooperazione con gli Stati Uniti e con il mio amico Tony Blinken (segretario di Stato Usa): siamo in una relazione fantastica e cooperiamo molto”, e per la consapevolezza dello scampato pericolo “cosa sarebbe successo se, al posto di Biden, ci fosse stato Trump o qualcuno come lui alla Casa Bianca?”. Seguono alcune constatazioni poco confortanti sulle capacità del suo apparato di prevedere gli avvenimenti: “In primo luogo, non credevamo che la guerra sarebbe arrivata… In secondo luogo, la profonda competizione tra Stati Uniti e Cina. Non è stata una sorpresa. Ma l’escalation della tensione a Taiwan, sì, non era in programma… La terza questione è stata la crisi alimentare ed energetica mondiale. Era prevedibile, era stata prevista, ma non con la gravità che ha assunto”.
Dopo essersi lamentato della mancanza di informazioni da parte dei presidi diplomatici e di essere costretto ad apprendere le notizie dalla stampa, Borrell conclude con un’arringa “Prendete più iniziativa. Siate pronti a essere audaci. Qualsiasi cosa facciamo, ci sono decisioni che infrangono tabù. Abbiamo infranto un tabù sulla guerra ucraina, usando il Fondo europeo per la pace per comprare armi”.
Se il tono e il testo dell’intervento si riferissero all’omelia domenicale di un parroco di campagna degli anni ’50 del secolo scorso, non avrei nulla da eccepire, ma il fatto è che i parrocchiani a cui si rivolge l’Alto rappresentante sono gli ambasciatori del SEAE (Servizio europeo per l’azione esterna ), del mastodontico marchingegno diplomatico europeo che conta 7000 dipendenti con rappresentanze in quasi tutti i Paesi dell’ONU e presso le principali istituzioni internazionali, supportato anche dal servizio di intelligence (si fa per dire) europea SitCen, con un esborso annuale per le tasche dei cittadini europei di circa 3 miliardi di euro.
Considerato che la sua lamentazione circa l’inettitudine del dicastero europeo avviene quando l’Alto rappresentante ha già consumato 3/5 del suo mandato non sarebbe onesto colpevolizzare la Mogherini, che l’aveva preceduto nella carica, bensì intenderla come la constatazione del bilancio fallimentare della sua attività.
Tanto più perché Borrell, sia per età che per studi ed esperienza politica, parrebbe essere un animale politico di ben altra stazza.
Nasce, Josep Borrell, in un paesotto montano della Catalogna nel 1947 in una famiglia di modeste condizioni economiche. Il padre possiede una piccola panetteria e fin dall’infanzia Josep aiuta nell’azienda di famiglia occupandosi delle consegne del pane in groppa ad un’asinello nei paesetti dei Pirenei catalani.
A dieci anni lascia la scuola primaria e, coadiuvato dalla mamma e da un’insegnante in pensione, prosegue gli studi da autodidatta sostenendo da privatista a ogni scadenza gli esami statali. Intraprende quindi gli studi di perito industriale a Barcellona, ma nel 1965 si trasferisce a Madrid dove si iscrive a Ingegneria aeronautica all’Istituto politecnico (UPM), nel 1969 consegue la specializzazione di ingegnere aeronautico e quasi contemporaneamente si laurea in Economia, sempre a Madrid presso l’università Computense (UCM). Successivamente, dopo un campus estivo in un kibbutz in Israele (dove conoscerà la sua futura moglie, la sociologa francese Carolina Mayeur), completa il suo curriculum accademico con un dottorato in Economia presso l’UCM, un master in Economia dell’energia presso l’Istituto francese del petrolio (IFP) a Parigi (1971-1972), e un altro post-laurea in Ricerca operativa presso l’Università di Stanford a Palo Alto, in California (1974-1975). Studi finanziati dalla Fondazione Juan March e dal Programma Fulbright (americano). Anche se la biografia ufficiale depositata a Bruxelles, rispetto a quelle diffuse su internet, fa slittare di un paio d’anni la seconda laurea, una scorsa alla cronologia (due lauree con indirizzi di studio non affini conseguite a soli 22 anni!) ci suggerirebbe che l’Alto rappresentante se non è un Pico della Mirandola è comunque una persona dalla cultura poliedrica, tanto da fargli riconoscere il titolo del “socialista più colto di Spagna”.
E’ curioso notare che nelle varie biografie dedicate all’Alto rappresentante mancano completamente informazioni sulle convinzioni politiche del giovane studente Borrell in quel periodo di storia europea estremamente travagliato.
Questa lacuna è tanto più evidente perchè la Spagna era ancora sotto il regime franchista, l’ordinamento scolastico era regolato dalla riforma del 1949 che prevedeva precisi orientamenti ideologici e richiedeva da parte di docenti e studenti una manifesta militanza falangista; ed è proprio dalla natia e inquieta Catalogna che erano partite le manifestazioni studentesche, che si sarebbero diffuse in tutta la Spagna: Madrid, Siviglia, Oviedo, Malaga, Valencia, Valladolid, Saragozza, Bilbao, Granada, Pamplona, Santiago, spesso appoggiate dai docenti. Il governo e la polizia spagnola intervennero con pesanti repressioni, arresti, licenziamenti e chiusure di Facoltà che non lasciarono indifferenti l’opinione pubblica internazionale e spinsero i premi Nobel Jacques Monod e André Lwoff a rifiutare la laurea “honoris causa” dall’Università di Madrid in segno di condanna.
E’ curioso anche che l’adesione del futuro Alto rappresentante al PSOE (Partido Socialista Obrero Español) coincide casualmente con il suo stage a Stanford, con l’uscita del partito dalla clandestinità e il segretariato di Felipe González, e infine con la morte del Caudillo. Nella seconda metà degli anni ’70 inizia la sua inarrestabile carriera politica, consigliere comunale a Madrid, consigliere provinciale, deputato; ma è con i governi di Felipe González che incomincia a ricoprire importanti cariche nell’esecutivo: segretario generale per il Bilancio e la Spesa pubblica, segretario di Stato per la Finanza, ministro dei Lavori pubblici e del Trasporto per poi proseguire come leader dell’opposizione durante il primo governo Aznar fino a battere nel 1998 il segretario generale del PSOE Joaquín Almunia alle primarie del partito per l’elezione del candidato premier alle successive elezioni generali. Ma qui interviene il primo inciampo legato a una frode che vedeva coinvolti due suoi stretti collaboratori e sua moglie, Borrell preferisce rinunciare. Quando nel 2019 Borrell, diventato nel frattempo ministro degli Esteri del governo di Pedro Sanchez, si presenta a Bruxelles come candidato alla carica di Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea non è uno sconosciuto, dal 2002 era stato rappresentante del Parlamento spagnolo nella Convenzione europea, dal 2004 al 2007 aveva ricoperto la carica di presidente del Parlamento europeo. Nel frattempo dal 2010 aveva ricoperto la carica di presidente dell’ Istituto Universitario Europeo (IUE) di Firenze, da cui sarebbe stato costretto a dimettersi nel 2012 a causa di un conflitto di interessi tra il suo ruolo accademico (immediatamente dopo la sua nomina si era affrettato a introdurre nell’istituto la Climate Policy Research Unit) e la sua vicepresidenza nell’International Advisory Board di Abengoa, una multinazionale spagnola del settore della protezione dell’ambiente e delle energie alternative, e per non aver dichiarato la relativa retribuzione di 300mila euro annui al momento del conferimento della carica.
Questa circostanza insieme ad un’altra marachella fiscale che gli era costata nel 2018 una multa di 30mila euro per “informazioni privilegiate sull’emittente” (insider trading) da parte della Comisión Nacional del Mercado de Valores (CNMV), legata a un’operazione finanziaria mentre occupava l’alta posizione all’interno della multinazionale Abengoa, furono oggetto degli usuali “esami” di ammissione all’incarico da parte dell’Assemblea Parlamentare e della Commissione Giuridica Europea, Borrell spiego’ che si trattava di una somma “muy, muy pequeña”. In tale audizione anche le sue spiegazioni in merito ad un eventuale conflitto di interessi a causa delle sue partecipazioni nelle società Bayer, Iberdrola e BBVA furono considerate esaustive e Borrell ottenne il nulla osta alla nomina.
Pare che ne’ in tale occasione, ne’ nelle precedenti alchimie partitiche europee per la sua candidatura, non siano state minimamente considerate le “qualità” diplomatiche dell’illustre personaggio.
Mentre nel corso del suo breve incarico come Ministro degli Esteri spagnolo nel 2018 era riuscito a guadagnarsi l’accusa di razzista per aver definito il processo di integrazione e indipendenza degli Stati Uniti e il genocidio delle popolazioni indigene con la frase “l’unica cosa che hanno fatto è stata uccidere quattro indiani”, l’attività nella politica estera europea gli avrebbero consentito di allargare la cassa di risonanza delle sue gaffe ed evidenziare l’infimo livello della diplomazia europea.
Il 9 gennaio 2020 la correzione postuma di comunicato stampa del neodesignato portavoce di Borrell (Peter Stano, ex portavoce del ministero degli Esteri slovacco) che condannava nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania definendo tali territori “occupati o contesi” suscita reazioni negative in Israele.
Il 7 febbraio 2020 sulla stampa europea trapela l’affermazione di Borrell che definisce i giovani malati della “sindrome di Greta”. La dichiarazione scatena una bufera. L’Alto rappresentante e tutto l’esecutivo UE sono costretti a ribadire il massimo sostegno al Green deal targato von der Leyen e guidato dalla Thunberg.
Il 24 settembre 2020 rivolgendosi all’Ucraina invita Zelenskiy a riformare il Paese e precisa che “l’Unione Europea non è un ente di beneficenza o un bancomat”. Lo stesso giorno, riferendosi ai risultati delle recenti elezioni presidenziali in Bielorussia, comunica che Lukashenko “non ha alcuna legittimità democratica”.
La visita ufficiale di Borrell a Mosca del 5 febbraio 2021 è stata bollata dai colleghi della UE e dai media europei come un fallimento, una umiliazione sia per l’Europa che, per l’Alto commissario che non ha retto il confronto con il ministro degli Esteri russo Lavrov. Decine di parlamentari europei hanno chiesto le sue dimissioni. In realtà, considerato il momento scelto per l’incontro, gli argomenti all’ordine del giorno, tra i quali la richiesta di liberazione di Navalny e i “diritti umani” occupavano in modo ingombrante i primi posti e visto il dilettantismo di Borrell il risultato non poteva essere diverso. Se da un lato l’incontro è stato la cartina di tornasole che ha messo a nudo la debolezza dell’apparato diplomatico europeo, dall’altro è servito a giustificare formalmente l’abbandono definitivo dei rapporti diplomatici per il passaggio a quelli sanzionatori. L’incompetenza del cerimoniale diplomatico della Ue, sarebbe emersa due mesi dopo con la “danza delle poltrone” della von der Leyen ad Ankara.
Dopo la spiacevole avventura di Mosca, l’Alto commissario, scrollatosi di dosso il fardello della diplomazia, pare si trovi finalmente a suo agio e completamente disinibito nell’esternare il proprio pensiero.
Alla vigilia dell’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina è fin lieto di annunciare il primo pacchetto di sanzioni contro la Russia “Niente più shopping a Milano, feste a Saint Tropez, diamanti ad Anversa. Questo è il primo passo. Siamo uniti”. Nell’aprile successivo, il XXIII summit Cina-Ue, definito da Borrell “un dialogo tra sordi” ha segnato un ulteriore progresso nell’allontanamento tra i due partner economici.
L’11 aprile 2022 in risposta alla dichiarazione del capo della diplomazia europea “Normalmente le guerre si vincono o si perdono in battaglia” il ministro degli esteri russo, Lavrov ha ribattuto :”Quando il capo della diplomazia, di un Paese o un’organizzazione, dice che uno specifico conflitto può essere risolto solo con mezzi militari, significa che o ha accumulato qualcosa di personale, o ha sbagliato a parlare o ha parlato d’impulso”.
Nel settembre 2022 durante una conferenza interparlamentare del Parlamento europeo a Praga Borrell pronuncia una frase offensiva per Mosca “Al momento non abbiamo un piano concreto come vincere la Russia fascista e il suo regime fascista”, il portavoce del Cremlino Peskov reagisce constatando “Con tali dichiarazioni Borrell si squalifica completamente come diplomatico. Certamente d’ora in poi nessun suo giudizio sulla Russia e sui rapporti con la Russia non potrà avere alcuna rilevanza”.
Risale all’ottobre 2022, nel contesto dell’inaugurazione del nuovo programma di studi dell’Accademia diplomatica europea, la famosa parabola del “giardino e della giungla” che illustra con dovizia la Weltanschauung del prelato europeo. Questa volta le reazioni arrivano dal sud: il ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti ha stigmatizzato le osservazioni di Borrell come “inappropriate e discriminatorie” e che “contribuiscono a un peggioramento del clima di intolleranza e discriminazione in tutto il mondo“, mentre il vice primo ministro del Qatar, Hamad al-Kawari ha constatato “I nostalgici del colonialismo riaffiorano come mostri”.
Termino l’elenco con la recente (maggio 2023) ammissione del massimo diplomatico europeo durante un’intervista all’Istituto Universitario Europeo di Firenze “Questo non è il momento di conversazioni diplomatiche sulla pace”… “È il momento di sostenere militarmente la guerra. Mi sento un diplomatico, ma mi sento anche un ministro della difesa dell’Unione Europea, perché passo una parte importante del mio tempo a parlare di armi”.
Il tandem Ursula-Josep è riuscito in pochi anni a recidere sistematicamente i rapporti dell’Europa con Russia, Cina, mondo Arabo, Paesi africani e sudamericani. E non è successo per la mancanza di professionalità del gatto e della volpe, entrambi clienti dell’osteria di Stanford, anzi. Anche la recente designazione di Di Maio a Inviato dell’Unione Europea per il Golfo motivata da Borrell “in quanto Luigi Di Maio ha il necessario profilo politico a livello internazionale per questo ruolo” e considerata dalla Lega “Un insulto all’Italia” va intesa nel contesto di vanificare all’origine gli sforzi europei e soprattutto italiani in questa importante aera geopolitica.
L’ incompetenza è del think tank europeo che e’ completamente vuoto, perché il cervello è da un’altra parte. Magari oltreoceano.