Brasile. Il Tribunale supremo elettorale invalida la candidatura di Lula

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Nonostante a metà agosto avesse firmato la candidatura, come gli avevano chiesto le migliaia di sostenitori che avevano manifestato davanti al carcere, difficilmente Luiz Inacio Lula da Silva potrà correre alle presidenziali del 7 ottobre.
Ben quattro giudici su sette del Tribunale supremo elettorale hanno infatti invalidato la candidatura dell’ex presidente brasiliano, condannato a 12 anni di reclusione per corruzione, ma comunque il grande inquisitore di Lula, il giudice Sergio Moro, ha deciso di posticipare l’interrogatorio dell’ex presidente su altre accuse di corruzione a dopo ottobre al fine di non rendere la cosa strumentalizzabile in un’eventuale campagna elettorale: potrebbero infatti esserci colpi di scena, anche perché due giudici del Tribunale supremo elettorale non si sono ancora espressi.
Lula è stato condannato in quanto ritenuto colpevole in merito all’affaire Petrobras, la compagnia di Stato brasiliana del petrolio. Nella fattispecie l’ex presidente, che ha guidato il paese dal 2003 e al 2010, è stato trovato colpevole di essersi intascato una tangente di complessivamente 1,2 milioni di dollari dall’azienda di costruzioni Oas, denaro poi usato per la costruzione di una villa a tre piani nella città costiera di Guaruja. Con la firma di Lula la Oas ha ottenuto cntratti dalla compagnia petrolifera Petrobras.
Già per salvare Lula dal processo, la ex presidente brasiliana Dilma Rousseff aveva tentato di nominare il suo predecessore ministro della Casa Civil (capo di Gabinetto, durato 1 giorno) e quindi di fargli avere l’immunità, ma poi nello stesso scandalo era rimasta impigliata lei stessa anche perché i dialoghi erano intercettati. L’iniziativa, poi sospesa dal giudice federale Itagiba Catta Preta Neto, era costata alla Rousseff una denuncia per intralcio alla giustizia.
Rousseff poi era stata accusata di aver truccato i conti dello Stato al fine di far vedere in campagna elettorale un andamento dell’economia che non c’era, per cui era stata processata e dimessa dal suo incarico.
Nel settembre 2017 Lula era stato individuato dal pubblico ministero federale Sergio Moro quale numero uno della tangentopoli del paese latinoamericano, “il grande generale che comandò la realizzazione e la pratica dei reati, oltre a coordinarne il funzionamento ed eventualmente deciderne la paralisi”. Precisando che Lula era stato accusato in base a “reati specifici” e non per il suo ruolo presidenziale, Moro aveva affermato che gli esecutivi di Lula erano stati “governi della tangentocrazia”.