Caso Regeni. La professoressa Maha Abdel Raman pronta a collaborare con gli inquirenti italiani

di Vanessa Tomassini – 

Sono passati esattamente 21 mesi da quel 3 febbraio 2016, quando al Cairo veniva ritrovato il corpo martoriato del ricercatore italiano, Giulio Regeni. Ancora oggi giustizia non è stata fatta. La vicenda è stata contornata dalle false notizie e soprattutto da un comportamento omertoso da parte del Cairo, ma non solo. Regeni si stava occupando di una ricerca di economia-sociale che riguardava i lavoratori, i sindacati governativi e non governativi, tra i quali anche (ma non solo) quelli degli ambulanti.
Oltre al Governo di al-Sisi infatti c’è un’altra persona al centro delle indagini, la professoressa dell’Università di Cambridge, Maha Mahfouz Abdel Rahman. La docente tutor che aveva incaricato il giovane ricercatore sull’indagine al Cairo la quale, convocata a giugno dagli inquirenti romani, dopo aver più volte posticipato l’appuntamento presso un ufficio di polizia a Cambridge, non si sarebbe mai presentata.
Anche di fronte al dolore della madre di Regeni che gli chiedeva se non sapesse che fosse pericoloso mandarlo giù, la ex tutor non ha mai dato risposte concrete. Dopo tanti silenzi e menzogne, ora sembra che ci si trovi di fronte ad una svolta.
Come hanno riportato alcuni media nazionali ed egiziani, il 23 ottobre scorso sarebbe stata notificata all’autorità giudiziaria inglese un’informativa del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco che hanno richiesto la convocazione davanti ad un giudice anglosassone della professoressa Maha Abdel Rahman, ma anche dei suoi studenti, che tra il 2012 e il 2015 sono stati inviati in Egitto. Nel frattempo, dopo le accuse mosse in un docu-film di Repubblica, il prestigioso ateneo britannico ha fatto sapere la disponibilità della docente a “collaborare appieno con gli inquirenti italiani”. Anche il capo dei Ros, il generale Mario Mori, in una recente intervista su Radio 24 aveva affermato, convinto che Regeni “era inconsapevole [del pericolo n.d.r.], ma chi lo ha mandato nella bocca del leone, la professoressa, non poteva non saperlo”. Ad ogni modo sembra chiaro che le cause e i perpetratori dell’assassinio, visti i segni di tortura e la coperta militare ritrovata vicino al corpo, siano da ricercarsi nell’ambito politico-militare. Possibile che la professoressa abbia qualcosa a che vedere con la Fratellanza Musulmana e che il povero Giulio ne abbia fatto le spese? La tortura infatti, come già spiegato dal nostro giornale e più ampiamente da Human Rights Watch, è uno strumento frequentemente utilizzato dalle forze di sicurezza egiziane di al-Sisi, per perseguire i nemici politici.
Intanto sui canali social gli italiani continuano a chiedere verità per Giulio Regeni e le risposte da pretendere dal Cairo sono davvero tante. Viste le altre nefandezze di cui al-Sisi è chiamato a rispondere in queste ore, soprattutto riguardo alla strage di Derna in Libia, è auspicabile che Alfano, ministro degli Esteri italiano, porga sul banco del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite anche questa vicenda altrimenti, a forza di scendere a compromessi con i criminali, si rischia di passare per complici.