CINA. Ancora proteste per le fabbriche tossiche

Notizie Geopolitiche –

cina“Noi vogliamo sopravvivere, via il Px da Kunming”.  Questo si leggeva sui cartelli comparsi a inizio maggio durante le proteste di piazza contro la costruzione di un nuovo impianto chimico, che dovrebbe sorgere ad Anning, a circa 50 chilometri da Kunming, secondo gli abitanti della regione dello Yunnan, dannoso per la gente e per l’ambiente. Il Paraxilene (Px), è un derivato del benzene impiegato nella produzione della plastica, potenzialmente cancerogeno e dannoso per il sistema nervoso centrale.  
La prima conseguenza di queste manifestazioni fu l’intervento del sindaco con la rassicurazione, durante una conferenza stampa, che non si sarebbe costruito l’impianto senza il benestare dell’intera popolazione. Ora però, a distanza di pochi giorni, i cittadini scendono di nuovo per strada contro la raffineria. A differenza della prima manifestazione, però, questa volta la polizia non si è fatta trovare impreparata e anziché seguire il corteo in maniera pacifica, sarebbe scesa in strada con l’intento di disperdere i manifestanti e ci sarebbero stati scontri. In poche ore si sono diffuse le fotografie dei manifestanti circondati dalle forze dell’ordine. Senza però lasciarsi scoraggiare, i manifestanti hanno proseguito pacificamente mostrando i propri cartelli al grido di “Via la raffineria!”. Voci non confermate parlano di alcuni arresti e di persone allontanate dal luogo delle proteste.
Lo spirito ambientalista della popolazione cinese non si ferma al Px: di questi giorni la notizia di una manifestazione avvenuta nel centro finanziario di Shanghai contro la costruzione di una nuova fabbrica di batterie al litio che dovrebbe sorgere nella metropoli asiatica. È già la terza manifestazione organizzata da quando si è diffusa la notizia che nel distretto di Songjiang, nel cuore del centro economico, sarà costruito questo nuovo impianto. Il mese scorso un corteo di auto, contrassegnate da nastri verdi, aveva voluto richiamare l’attenzione dei cittadini verso il rischio di vedere ulteriormente inquinate l’acqua e l’aria. Le ripetute proteste e le oltre diecimila firme raccolte, hanno spinto i funzionari verso un ridimensionamento della capacità produttiva, ma senza riuscire a rassicurare del tutto i cittadini. Sempre maggiori sono le preoccupazioni ambientali, che portano a veri scontri con la polizia.
Nell’agosto dello scorso anno a Qidong è stato bloccato il progetto per gasdotto di rifiuti di scarico dopo che migliaia di persone hanno manifestato.
Nel 2009 un giornalista pubblicò una mappa con ben 459 “villaggi del cancro”: a febbraio di quest’anno l’ammissione del governo in merito all’esistenza. Questo tipo di cancro, un tempo raro, è diventato per l’80% la causa di morte nella Cina urbana.
La maggior parte delle fabbriche è costruita sui fiumi Yangtzè, Giallo e Hai, e oltre il 40% di questi è inquinato. Chi vive lungo questi corsi d’acqua, dove si trovano i villaggi del cancro, utilizza quotidianamente quest’acqua sia per cucinare sia per lavarsi, respira un’aria piena di polveri sottili e coltiva verdure in terreni contaminati, tra scarti industriali.
Il governo ha inoltre ammesso che sono utilizzati prodotti chimici, tossici e nocivi, che abitualmente sarebbero vietati nel mondo occidentale.
In Cina non esiste nessuna legge che imponga di dichiarare quali e quanti siano gli inquinanti che vengono liberati nelle acque, nell’aria e nei terreni. L’unico modo per portare tutto alla luce del sole è di scendere in piazza, in modo che il governo non possa proteggere in maniera indiscriminata le aziende.
Dal 2011 il numero delle proteste ambientali sarebbe aumentato di oltre il 130%.