Conflitto Israele-Hamas: lo sguardo alternativo del filosofo delle religioni Tudor Petcu

di Nicola Comparato –

Hamas, designato come gruppo terroristico da Stati Uniti e Unione Europea, è al centro di tensioni crescenti con Israele, culminate in recenti dichiarazioni su una tregua e uno scambio di ostaggi. Per fornire una prospettiva alternativa su questa complessa situazione, intervisteremo il professor Tudor Petcu, esperto di filosofia delle religioni presso l’Università di Bucarest. Pur non essendo un esperto di geopolitica, il suo background accademico offre un’interessante prospettiva su questioni interconnesse tra filosofia, religioni e attualità.

– Professor Petcu, considerando la complessità del conflitto tra Israele e Hamas, come la filosofia delle religioni può contribuire a una migliore comprensione delle dinamiche culturali e storiche sottostanti?
In genere, la religione avrebbe dovuto essere uno strumento favorevole alla pace, ma purtroppo la religione stessa è diventate una ragione per diversi conflitti politici e militari. Per questo trovo molto gradito e interessante il modo in cui Lei ha fatto questa domanda, avendo fatto riferimento alla filisofia delle religioni perché la religione sarà portata alla sua vera luce nella presenza responsabile della filosofia che significa amore per la saggezza. La filosofia sta incoraggiando i dibattiti pubblici ma soprattutto la valutazione razionale di una situazione, e come diceva il filosofo Giorgio Agamben “qualsiasi conflitto potrebbe essere superato se la mente responsabile facesse sentire la sua presenza nel campo conflittuale”. Nel caso del conflitto tra Israele e Hamas un approccio etico-fenomenologico ben strutturato sarebbe di un grandissimo aiuto perché sarebbe in grado di spiegare in maniera accurata cosa significa in termini pratici il rispetto per la dignità umana e la responsabilità per l’alterità“.

– Alla luce delle dichiarazioni recenti sullo scambio di ostaggi, qual è la sua opinione sulle possibili implicazioni umanitarie e politiche per la regione?
Una implicazione sarebbe più che necessaria ma credo che si debba necessariamente tenere conto della sensibilità identitaria che sta caratterizzando entrambe le popolazioni. In altre parole, non si può trattare in modo violento con un movimento terrorista, perché un terrorista dirà sempre di avere ragione. Per questo, il modo di rapportarsi a una tale situazione dev’essere molto responsabile e diplomatico“.

– Data la sua esperienza nel campo delle religioni, come potrebbero le differenze religiose influenzare la percezione e la gestione del conflitto tra le comunità coinvolte?
Come dicevo, ogni religione, alla luce dell’amore per il Verbo di Dio, dovrebbe essere strumento per una “lotta” per la pace, ma tenendo conto che quasi ogni religione ha pretese di universalità, una pace duratura è da considerare come un sogno proibito. In parole povere, il dialogo interreligioso dovrebbe rinunciare al suo significato di ideologia umanistica e trasformarsi veramente in un movimento pratico, uno strumento favorevole al vivere insieme, nonostante le differenze“.

– Riguardo alle dichiarazioni del direttore del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, sul ritardo nell’inizio della tregua, come valuta la gestione logistica di accordi così delicati?
È molto difficile parlare di una gestione logistica in una tale situazione, ed è molto chiaro che soprattutto le grandi potenze, dovranno trattare in una maniera molto delicata la situazione perché altrimenti potremmo avere a che fare con una vera e propria guerra su più fronti, e in questo senso non potrei dimenticarmi della cosìddetta alleanza tra Russia e Iran il cui sostegno per la Palestina è grandissimo. Non vorrei pensare a una guerra tra il mondo occidentale e quello russo-islamico, per questo adesso la coscienza europea dovrà essere responsabile più che mai“.

– Pensa che l’aspetto religioso abbia un ruolo significativo nelle trattative tra Israele e Hamas, specialmente considerando il contesto storico?
Certamente, l’aspetto religioso gioca e giocherà sempre un ruolo significativo, ma come ho scritto in precedenza, spero che un giorno la religione stessa, sia quella cristiana che quella islamica, mettano in pratica l’amore per il Verbo di Dio, rinunciando ad essere una motivazione per i confilitti alla luce della difesa della cosìddetta verità o superiorità“.