Cop28: un fiasco preannunciato?

di C. Alessandro Mauceri

Sono in corso a Dubai i lavori della COP28, la Conferenza delle Parti sulle emissioni di CO2. E i leader mondiali appaio sempre più divisi sul sulle misure da adottare per ridurre le emissioni di CO2. Il primo colpo è arrivato prima ancora dell’inizio dei lavori: il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ha deciso di non recarsi di persona alla Cop28. Secondo il programma ufficiale, in questi giorni Biden è impegnato in un incontro bilaterale con il presidente della Repubblica dell’Angola, Joao Manuel Gonçalves Lourenço. Poi parteciperà all’accensione di un enorme albero di Natale. Quindi andrà in Colorado per promuovere gli investimenti americani nell’eolico. Assente ingiustificata anche la vicepresidente USA, Kamala Harris. A rappresentare gli Stati Uniti d’America a Dubai ci sarà l’inviato speciale per il clima John Kerry.
Già lo scorso anno la presenza di Biden alla COP in Egitto (la 27esima) era stata molto limitata: solo una breve sosta per promuovere l’Inflation Reduction Act. Secondo gli analisti, dietro la decisione di non volare a Dubai c’è la certezza che da questo vertice non uscirà nulla di concreto. 
Una sensazione confermata dalla gaffe dell’ospite di casa, il sultano al-Jaber. Appena iniziati i lavori ha usato parole discutibili: prima ha dichiarato che non c’è “alcuna scienza” che indichi che sia necessaria un’eliminazione graduale dei combustibili fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Poi, ha affermato che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili non consentirebbe lo sviluppo sostenibile “a meno che non si voglia riportare il mondo nelle caverne”. Secondo alcuni le parole usate da al-Jaber sono la risposta alle dichiarazioni rilasciate il 21 novembre durante un evento online da Mary Robinson, presidente del Gruppo degli Anziani ed ex inviato speciale delle Nazioni Unite per i Cambiamenti climatici.
In realtà si tratta di affermazioni, quelle del sultano, che non hanno sorpreso nessuno. Già non erano mancate critiche sulla decisione di avergli conferito l’incarico di dirigere la COP28: strano far dirigere i lavori sulla riduzione di emissioni di CO2 alla persona che è amministratore delegato della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, Adnoc. In molti hanno parlato di un grave conflitto di interessi. Una situazione che aveva lasciato poche speranze sull’esito degli incontri.
Ora che i lavori per ridurre le emissioni di CO2 sono iniziati, le prospettive sono tutt’altro che rosee. L’unica proposta concreta fatta finora è quella di ridurre le emissioni di anidride carbonica ricorrendo al nucleare. Una ventina di Paesi, guidati da Stati Uniti e Francia, hanno presentato un piano che mira a triplicare la capacità installata globale di energia atomica entro metà secolo, rispetto ai livelli del 2020. Secondo i proponenti, il programma consentirebbe di rispettare l’impegno di limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5°C. Dati diversi da quelli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia che, nella sua roadmap per emissioni nette zero, prevede un raddoppio.
Ma non basta. Oggi l’energia prodotta con il nucleare fornisce circa il 5% del mix elettrico globale. Rendere concreti questi impegni comporterebbe investimenti considerevoli. Ma soprattutto tempi lunghi: costruire una centrale nucleare non è né facile né veloce.
Non sono questi i soli limiti legati a questa fonte energetica. Se da un lato è vero che il ricorso al nucleare riduce le emissioni di CO2, dall’altro aumenta i rischi legati alle radiazioni e agli incidenti che potrebbero verificarsi. Anche nel caso di “piccoli reattori modulari e altri reattori avanzati per la produzione di energia”, come previsto dai Paesi firmatari. Il Belgio, Paese non firmatario, ma molto interessato allo sviluppo dell’atomo (anche in considerazione dei rischi che corre visto che molte delle centrali nucleari francesi sono a pochi chilometri dal confine), ha annunciato che ospiterà il primo vertice mondiale sul nucleare.
Poco chiara in questo settore la posizione dell’Italia. La premier Giorgia Meloni è apparsa essere favorevole al nucleare: nei mesi scorsi sono stati stanziati fondi considerevoli per questo scopo. Il governo ha deciso di riaprire il discorso sul nucleare, chiuso dopo il referendum popolare degli anni Ottanta a seguito del disastro di Chernobyl. Lo ha fatto inserendo il nucleare al centro della strategia italiana per la transizione del nuovo PNIEC e creando la Piattaforma per un Nucleare Sostenibile. Al tempo stesso però l’Italia non ha aderito alla dichiarazione sul nucleare alla COP28. “Su queste questioni bisogna essere sempre molto pragmatici e non ideologici: io non ho preclusioni su nessuna tecnologia che possa essere sicura e che possa aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica”, ha detto la Meloni a Dubai. “Non sono certa che oggi cominciando da capo sul tema del nucleare l’Italia non si troverebbe indietro, ma se ci sono evidenze del fatto che noi si possa invece avere un approccio con un risultato positivo sono sempre disposta a parlarne”. La presidente del Consiglio ha poi fatto un accenno alla fusione nucleare definendola la “grande sfida italiana”. “La fusione nucleare potrebbe essere la soluzione domani di tutti i problemi energetici, ed è una di quelle tecnologie sulla quali l’Italia è più avanti di altre”, ha detto la premier.  
Forse sarà proprio questo il filo conduttore che caratterizzerà la COP28 di Dubai. Ormai l’idea di poter ridurre le emissioni di CO2 legate al consumo di combustibili fossili appare preistoria. Finiti anche i tempi della compensazione: alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno promesso di versare somme considerevoli ai Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici causati dall’aumento di emissioni di CO2, ma sono fondi insufficienti a compensare i danni prodotti.
L’unica cosa certa è uno scenario privo di idee condivise e rispettate. Quello che è apparso subito chiaro a Dubai è che ognuno farà come gli pare. Poco importa se questo non servirà a fornire risposte immediate. O se danneggerà gli altri. E se rischia di riportare il pianeta al “mondo delle caverne”. Non per aver rinunciato al petrolio e ai combustibili fossili. Ma per non aver voluto seguire tutti la stessa strada e aver preferito tornare indietro al sogno nucleare.