Corea del Nord. Dopo il missile che ha sorvolato il Giappone il disco rotto del Consiglio Onu

di Guido Keller

“Il presidente Trump ha ribadito che gli Stati Uniti sono pronti al 100 per cento a sostenere il Giappone”. Lo ha riferito il premier giapponese Shinzo Abe dopo essersi sentito al telefono con Donald Trump a seguito del missile che due giorni fa ha sorvolato l’isola di Hokkaido, nel nord del paese, gesto che in altre situazioni sarebbe stato paragonabile ad una dichiarazione di guerra.
Tuttavia da Pechino continuano ad arrivare voci di trattative ufficiose fra gli Usa e la Corea del Nord, e da parte di tutti si spinge per proseguire la via diplomatica, unica alternativa ad un’escalation dagli esiti imprevedibili.
Abe ha spiegato che con Trump “Siamo arrivati al consenso sulla necessità di aumentare la pressione sulla Corea del Nord”, ma il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non ha dato l’atteso via libera a nuove sanzioni verso la Corea del Nord, limitandosi a chiedere al regime di Kim Jong-un di abbandonare armi e programma nucleare, compresi i test missilistici, per giungere a “una penisola denuclearizzata”.
Difatti il problema non può essere ridotto a quella che appaiono come colpi di testa del giovane leader nordcoreano: la Corea del Nord e la Corea del Sud sono due paesi ufficialmente ancora in guerra in quanto non è stata firmata la pace del conflitto dei primi anni Cinquanta, e proprio nella parte alleata della penisola gli Usa hanno basi, armi nucleari e un esercito di 38mila uomini; inoltre da sempre si svolgono esercitazioni su larga scala che vedono coinvolti gli Usa, la Corea del Sud e di tanto in tanto il Giappone.
E mentre oggi il presidente Usa Trump ha fatto volare ed esercitare i bombardieri fra le due Coree per mantenere sotto pressione il regime nordcoreano e l’agenzia ufficiale Kcna ha “minacciato” Tokyo che per la sua alleanza con gli Usa si sarebbe avviato all’”autodistruzione”, il vice ministro della Difesa sudcoreano Suh Choo-suk ha voluto battere sul ferro e ha detto che “C’è la possibilità di provocazioni strategiche, inclusi lanci di missili balistici aggiuntivi e un sesto test nucleare”.
Resta il fatto che la risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu di ieri, il “condanniamo fortemente”, appare come un disco rotto, un gesto di circostanza che segue lanci di missili ormai settimanali da parte del regime di Pyongyang. E lì il regime continua nella sua dialettica da guerra rivolta all’esterno ma anche all’interno per giustificare ad un popolo costretto in alcune parti rurali alla fame le ingenti spese militari.
Kim Jong-un, che per il lancio della gittata di 2.700 km ha espresso soddisfazione e ha parlato di “piena riuscita” del test, ha già detto che prima di prendere altre decisioni “osserverà il comportamento degli Usa”. La realtà è tuttavia quella di una Corea del Nord sempre più isolata, anche dalla storica alleata Cina, e di un regime che per sopravvivere deve mostrare continuamente i muscoli. Di certo non è l’immagine di un piccolo Davide contro Golia.