Davutoglu, il “Kissinger turco”

di Armando Donninelli

Ahmet Davutoglu è un accademico e politico turco che ha avuto un ruolo fondamentale nel plasmare la politica estera turca degli ultimi venti anni, ciò tanto a livello teorico come a livello pratico.
All’inizio degli anni 2000, dopo alcune esperienze all’estero, è docente di Relazioni Internazionali all’Università di Beykent, presso Istanbul. In tale periodo pubblica un libro, di circa 600 pagine, intitolato “Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia”.
Questo testo non è molto conosciuto all’estero, tuttavia ha un’importanza fondamentale per comprendere la politica estera di Ankara da quel periodo fino ai giorni nostri e, probabilmente, anche dei prossimi anni. Difatti proprio dall’inizio del millennio è iniziata l’ascesa politica e diplomatica di Davutoglu che, in maniera coerente, ha ispirato la sua azione al contenuto del suo libro, lasciando in tale ambito una traccia profonda e duratura.
Nel suo scritto Davutoglu teorizzò come la Turchia dovesse ambire ad un ruolo di leadership regionale e, in virtù di ciò, avere un posizione di grande prestigio a livello globale. L’autore fa derivare tutto ciò, oltre che dalla posizione geografica della Turchia, dai forti legami culturali religiosi e storici con i paesi delle aree limitrofe, vale a dire Balcani, Medio Oriente, Caucaso e Asia Centrale. Questi forti legami, suggerisce lo studioso Davutoglu, andrebbero rinsaldati con iniziative specifiche prese da Ankara.
Tale auspicio venne messo in pratica in modo metodico. Da quel momento difatti l’esecutivo turco aumentò considerevolmente il suo impegno per preservare l’eredità ottomana nei Balcani, ad esempio finanziando opere di restauro, per valorizzare le affinità linguistiche in Asia Centrale e nel Caucaso, oltre a varie iniziative per rinsaldare i legami con i paesi delle aree geografiche citate precedentemente. Ciò anche con interventi di carattere umanitario e di aiuti allo sviluppo in cui Ankara, oggettivamente, si impegnò molto con delle agenzie controllate dal governo.
Parallelamente a tutto questo, la carriera e il prestigio di Davutoglu erano in piena ascesa. Nel 2003 Recep Tayyp Erdogan divenne primo ministro della Turchia e nominò Davutoglu suo principale consigliere in politica estera. Da tale posizione, colui che era stato fino a quel momento un accademico poco conosciuto al di fuori del suo ambiente, divenne, in sostanza, il principale artefice della politica estera di Ankara. Grazie a lui la Turchia riuscì ad ottenere, in tempi brevi, un ruolo centrale nella politica del Medio Oriente, fu difatti Davutoglu che gestì la fondamentale posizione turca nella Seconda Guerra del Golfo che si svolgeva proprio ai suoi confini. Nel 2007 ottenne una certa notorietà internazionale ponendo dei limiti all’azione degli USA nel Nord dell’Iraq ove, non a caso, è presente una consistente comunità curda che Ankara considera potenzialmente destabilizzante del sua assetto interno.
Nel 2009 viene nominato ministro degli Affari esteri, da tale posizione cercò di instaurare buoni rapporti con tutti i paesi limitrofi, compresi quelli con cui in passato vi erano stati screzi di vario tipo. Anche in ciò ebbe successo, trasformando Ankara in un punto di riferimento regionale, in coerenza con le sua teorie e con il suo precedente operato. Alcuni osservatori a tal riguardo coniarono la definizione “Zero problemi con i vicini”, ad indicare quello che secondo loro era uno dei capisaldi della politica estera turca sotto la gestione di Davutoglu.
Venne oramai riconosciuto a livello internazionale come il principale teorico e realizzatore del rinnovato protagonismo turco in politica estera. Proprio per tali motivazioni, nel 2011, la prestigiosa rivista Foreign Policy lo inserì tra i cento principali pensatori a livello internazionale.
Accanto ai successi emersero però anche dei fallimenti, in particolare nel fase terminale del suo incarico, cioè nel 2014. Proprio in quell’anno difatti fu eletto presidente dell’Egitto Abdel Fatah al-Sisi, da qui iniziarono tutta una serie di tensioni tra i due paesi che, al contrario, erano state eccellenti fino a quando erano al governo al Cairo i Fratelli Musulmani. Ciò senza dimenticare la scarsa collaborazione fornita dalla Turchia ai paesi occidentali nella lotta all’ISIS, da motivare probabilmente con la volontà di non favorire, anche indirettamente, i curdi nel loro progetto di costruire un proprio stato.
Questi insuccessi, assieme ai frequenti tentativi di Davutoglu nel cercare di trovare una forma di coordinamento con i paesi in passato sotto il controllo ottomano o, più in generale, islamici, lo portarono ad essere visto con un certo sospetto in Occidente. Si temeva, in sostanza, che l’obbiettivo della sua politica fosse creare una grande alleanza neo ottomana o, in alternativa pan islamica, e allontanare la Turchia da quella che è stata la sua collocazione tradizionale, vale a dire quella al fianco dei paesi occidentali e dei loro valori.
Nonostante questi punti critici del suo operato, Davutoglu continua a godere della piena fiducia di Erdogan, complice una visione strategica della politica estera sostanzialmente coincidente. Erdogan nel 2014 viene eletto Presidente della Turchia e fa nominare Davutoglu prima leader dell’AKP e poi Primo Ministro, vale a dire le cariche da lui precedentemente occupate, come a voler sottolineare una perfetta intesa tra i due.
Davutoglu continua come premier nella sua precedente politica diretta ad assicurare un ruolo di grande protagonista alla Turchia. Ciò corrispondeva anche all’obbiettivo di Erdogan, tuttavia emerse un crescente disaccordo tra i due statisti sul ruolo del primo ministro che, in una repubblica presidenziale come la Turchia, doveva essere assolutamente subordinato al presidente direttamente eletto. In pratica Davutoglu non accettava di essere un esecutore di ordini e vuole prendere sue iniziative.
Nella primavera del 2016, a seguito del fallimento di un’incontro chiarificatore con Erdogan, lo stesso Davutoglu annunciò di volersi dimettere da capo dell’esecutivo e di non ricandidarsi alla guida dell’AKP.
La rottura con Erdogan si rivelò deleteria per la carriera politica di Davutoglu il quale, nonostante gli indubbi successi in politica estera, non ha mai goduto di un forte consenso popolare. Nel 2019 fondò un suo movimento politico, il Partito del Futuro, ispirato a principi conservatori e all’obbiettivo di instaurare una repubblica parlamentare. Tale forza politica ottenne però dei modesti risultati nelle successive consultazioni elettorali, contrariamente ad Erdogan e all’AKP.
Nonostante l’uscita di scena di Davutoglu dalla politica di primo piano, le sue teorie e la sua azione continuano ad essere una fonte d’ispirazione per Erdogan e i suoi attuali collaboratori. Oggi la Turchia è indiscutibilmente una protagonista della politica regionale e globale, molto più di venti anni fa, in ciò Davutoglu ha avuto ed ha ancora un ruolo decisivo.
In passato vi fu chi definì Davutoglu come il “Kissinger turco”, per evidenziare il suo ruolo imprescindibile nell’elaborare e applicare con successo la politica estera del suo paese. Al di là della fondatezza di tale paragone, su cui si può essere o meno in accordo, è indiscutibile che come l’eredità lasciata da Kissinger condizionò la politica estera USA per molti anni, analogamente il lascito di Davutoglu continua a influenzare le relazioni internazionali della Turchia.