Usa. I sondaggi fanno a fette Biden

Pesano i risultati mancati e l'Ucrainagate.

di Guido Keller

Manca meno di un anno negli Usa alle elezioni presidenziali e ancora non sono state fatte le primarie, ma più ci si avvicina alla data 5 novembre 2024, più il lavoro dei sondaggisti diventa frenetico per fornire dati accurati ai grandi media e ai partiti. Unanimemente i sondaggi indicano delusione fra l’elettorato democratico nei confronti di Joe Biden, e meno del 40% degli statunitensi esprime oggi parere positivo per l’operato del presidente, un dato molto basso, specie se raffrontato a quello dei suoi predecessori.
Nonostante i grossi guai giudiziari, Donald Trump è dato nettamente avanti di Biden, ma persino gli altri candidati repubblicani Nikki Haley e Ron DeSantis lo batterebbero se si votasse oggi.
Una situazione delicata e che si sarebbe tradotta in un senso di “frustrazione” per l’attuale inquilino della Casa Bianca al punto da convocare i suoi e, come hanno riferito i media, valutare nuove strategie.
A pesare nei sondaggi non è tuttavia solo l’operato del presidente, ma anche il via libera alla Camera Usa dell’inchiesta di impeachment contro di lui, per quanto difficilmente si trasformerà in quel vero e proprio voto di impeachment in cui Donald Trump spera.
L’alone di malaffare che si porta addosso Biden non è cosa nuova, e come un fiume carsico vengono fuori di tanto in tanto le grane giudiziarie e soprattutto i moli sospetti che riguardano in particolare il figlio pasticcione Hunter, il quale già in luglio si era dichiarato colpevole di due episodi di evasione fiscale commessi nel 2017 e nel 2018, quando non aveva dichiarato una serie di compensi per centinaia di migliaia di dollari ricevuti per consulenze.
Il sospetto però è che sotto ci sia qualcosa di più dell’evasione fiscale, a cominciare dal possibile traffico di influenze operato da Hunter per i propri affari, con milioni di milioni di dollari dirottati di cui difficilmente il padre Joe, allora vicepresidente di Barak Obama, non poteva non sapere.
Già la scorsa estate il senatore Chuck Grassley aveva reso note informazioni classificate dell’FBI, diffuse nonostante le forti proteste da parte dell’ente governativo, da cui era risultato che il fondatore di Burisma, Mykola Zlochevsky, aveva pagato nel 2009 due tangenti di 5 milioni di dollari a Hunter Biden per far licenziare attraverso il padre il procuratore ucraino Viktor Shokin.
Burisma è una holding ucraina con sede a Limisso (Cipro), fondata nel 2002, che si occupa di gas e petrolio, e in base alle risultanze il figlio di Biden era nel consiglio di amministrazione dell’azienda con uno stipendio di 50mila dollari al mese. In particolare Zlochevsky avrebbe inteso di utilizzare l’influenza politica di Biden per fermare le indagini di Shokin sul riciclaggio di denaro che interessavano la holding, ed anche nel 2020 i funzionari ucraini avevano sequestrato una tangente in denaro di 6 milioni di dollari.
Va notato che già nel 2018 Joe Biden aveva ammesso di aver fatto pressioni sul presidente ucraino Petro Porosenko per far licenziare Shokin, che stava indagando sulla società energetica ucraina di cui era consigliere suo figlio, ricorrendo persino alla minaccia di trattenere una garanzia di prestito statunitense da 1 miliardo di dollari.
Alla notizia dell’avvio di un’inchiesta di impeachment il presidente Joe Biden ha attaccato i repubblicani, colpevoli di “non lavorare per gli americani e capaci di concentrarsi solo nell’assalirmi con menzogne”, ma Trump spinge perché su di lui si getti il velo della corruzione.
Probabilmente l’americano medio non sa neppure dove si trovi l’Ucraina, ma vede il proprio presidente averne a che fare ormai da anni, vuoi per gli interessi di famiglia, vuoi per la guerra contro il nemico russo. E’ l’americano a cui i conti non tornano, quello che oggi si esprime nei sondaggi.