Democrazie malate

di Dario Rivolta * –

In tanti convegni e nelle più svariate riviste proliferano i dibattiti sulla crisi delle democrazie nel mondo occidentale. A preoccupare non è solo la partecipazione al voto che diminuisce ad ogni elezione, ma anche la sempre minore credibilità delle istituzioni agli occhi di un crescente numero di cittadini e le inefficienze dell’azione di governo. In parallelo nelle nostre società aumentano le conflittualità, si moltiplicano le faglie di rottura tra i vari ceti sociali e si allarga lo iato tra i cittadini e il mondo politico. Una certa presa di distanza tra l’uomo qualunque e chi governa non è certo cosa nuova, basti pensare alle commedie di Aristofane che già allora gettavano il discredito sui politici dell’epoca. Tuttavia è negli ultimi trenta/quaranta anni che si percepisce maggiormente come ad essere messo in discussione non sono solo i personaggi della politica ma tutto il sistema.
Anche in Gran Bretagna, culla della democrazia, e negli Stati Uniti, che sono sempre stati per molti di noi un faro di libertà ed esempio della migliore suddivisione dei poteri, la legalità istituzionale viene messa in dubbio e, come conseguenza, sono premiate forze politiche e personaggi apparsi dal nulla e intrisi di facile demagogia. È pur vero che queste nuove entità spesso scompaiono come erano apparse o vengono ridimensionate, ma al loro posto ne nascono presto di nuovi sempre più estremisti nelle proposte. In Svezia e Olanda, due Paesi un tempo conosciuti per la loro correttezza istituzionale, passano mesi dopo le elezioni prima di poter trovare la maggioranza che sosterrà il governo e anche quando un governo sarà formato potrà governare solo a metà poiché, probabilmente, sarà “di minoranza”. È un destino già capitato a Francia e Spagna. Perfino in Germania il cosiddetto “governo arcobaleno” è composto da partiti che non si riesce a capire come stiano insieme, per quanto tempo e con quale programma possono governare. L’economia è in crisi e il “cancellierato” viene screditato.
Che le nostre democrazie siano malate è un dato di fatto e il sintomo più evidente è che, ancora più che nel passato, persone rette e con esperienze professionali preferiscono un qualunque altro lavoro piuttosto che mettersi al servizio della collettività attraverso la politica. Personaggi dalle dubbie capacità e spesso senza arte né parte occupano i gangli del potere e impediscono l’accesso ai pochi volonterosi da loro percepiti come pericolosi concorrenti. La dimostrazione che troppe cose non vanno si vede nel Paese più potente del mondo ove per la massima carica concorrono (salvo variazioni dell’ultimo momento) un bolso ottuagenario che non ha mai brillato in vita sua e un incolto e incontrollabile tycoon (perché negli USA si usa chiamarli così e in Russia “oligarchi”?) che si è arricchito nonostante numerosi fallimenti e evasioni fiscali accertate. Anche in Europa non stiamo meglio: a capo della Commissione e con chance di essere riconfermata c’è un personaggio di scarso valore, scacciata dal suo stesso Paese ove è oggetto di indagini da parte della magistratura per malgoverno quando ella vi fu ministro. Che sia stata piazzata a Bruxelles fu un modo per allontanarla senza coinvolgere tutto il governo, tanto è vero che, per pudore, i suoi connazionali non la votarono limitandosi all’astensione. Del cosiddetto ministro degli Esteri europeo basta ricordare che è già stato condannato nel suo Paese per illeciti profitti e ha dimostrato di essere capace soltanto di dire stupidaggini o amenità ogni volta che riesce a sfuggire al controllo dei suoi collaboratori o non legge ciò che gli hanno preparato.
Le cause di questa crisi di sistema sono evidentemente più d’una e nei dibattiti che citavo ne sono enumerate una pletora: la globalizzazione, l’eccesso di comunicazioni manipolate, la scoperta della vastità della corruzione, la scomparsa del senso di appartenenza alla collettività con uguali (o maggiori) diritti garantiti agli ultimi arrivati a scapito dei cittadini veri, la crisi di leadership ecc. È importante notare che queste cause non operano in modo isolato, ma spesso si intrecciano e si rafforzano a vicenda.
Due ragioni meno menzionate ma che non vanno sottovalutate stanno sia nella enorme lontananza tra i discorsi (e le azioni) prediletti da politici di tutti i partiti e il senso comune popolare, sia nel crescente divario tra gli strati più ricchi e quelli più poveri della società.
Partiamo dalla prima.
Il divario tra la vulgata ufficiale, spacciata come unica verità, e i sentimenti diffusi tra la maggior parte della popolazione tocca diversi soggetti. Innanzitutto la stupida idea che i motori a combustibili fossili debbano lasciare il posto a quelli elettrici entro il 2035. A parte l’impraticabilità fisica e scientifica di questa soluzione (inadeguatezza delle reti di distribuzione dell’elettricità (1), limiti oggettivi dei motori elettrici, costi insopportabili per la maggior parte delle tasche, ecc.), pensare che in Europa si debba far di tutto per eliminare le emissioni di CO2 (e uccidere così le nostre economie) mentre il resto del mondo non fa che aumentarle è un puro controsenso. Anche se fosse vero che tale sostanza influisce sul cambiamento climatico (cosa che molti scienziati sinceri negano), l’Europa confrontata a Cina, India e USA è solo un piccolo emettitore di questa sostanza e cercare di eliminarla solo da noi non servirebbe a nulla. Senza contare che per produrre i materiali necessari per le auto elettriche (oltre che metterci nelle mani dei despoti cinesi) si aumenta l’inquinamento ambientale globale e serve un’enorme quantità di energia. Dopo viene la questione del cosiddetto “gender”. Si era cominciato con il doveroso rispetto dovuto alle minoranze sessuali, sentimento già fatto proprio dai più, ma poi si è arrivati addirittura a un atteggiamento definito “politicamente corretto” che fa di queste minoranze il massimo dei valori fino a che un semplice eterosessuale finisce col sentirsi a disagio nella sua “normalità”. Una volta era sufficiente menzionare gli “LGB”, poi si sono aggiunti, volta per volta, il “T” e i “PTQQIIAA” (sfido chiunque a capire a cosa si riferiscano tutte le sigle ma dimenticarne qualcuna è sinonimo di “razzismo sessuale” e quindi si è aggiunto anche un + per non sbagliare mai). Un altro punto di divario tra la vulgata dei politici e un sentimento diffuso è l’assurda propaganda, smerciata come verità assoluta, che la guerra in Ucraina sia una lotta tra le democrazie e l’autoritarismo. Che la Russia sia uno Stato autoritario che non si basa sulla democrazia liberale è un dato di fatto ma che l’Ucraina sia “democratica” è una fola cui solo gli ignoranti inconsapevoli possono credere. La gente comune sa benissimo che quel conflitto fu cercato e provocato dagli Stati Uniti, preoccupati che un maggiore avvicinamento anche solo economico tra Europa e Russia avrebbe potuto mettere a rischio il dominio americano sul nostro continente.
La seconda.
Dopo la seconda guerra mondiale e durante la grande ripresa dell’economia in tutto il mondo occidentale le classi medie di tutti questi Paesi sono andate crescendo numericamente e il divario tra i pochi ricchi e i molti poveri è andato diminuendo. Era il trionfo delle “classi medie”. Ogni nuova generazione si affacciava ad un futuro in cui era comune la speranza di poter incrementare il benessere già conquistato dai rispettivi genitori. Non tutti ci riuscivano, ma tutti sapevano, almeno teoricamente, che era una ipotesi potenzialmente realizzabile. Dagli anni ottanta in poi quel fenomeno ha iniziato a cambiare e la classe media ha cominciato a restringersi. Oggi le diseguaglianze tendono ad aumentare e le statistiche lo dimostrano. La globalizzazione, con la concorrenza commerciale dei Paesi a minor costo del lavoro (e le delocalizzazioni conseguenti) ha penalizzato proprio i grandi numeri di chi stava in mezzo tra i più ricchi e i più poveri. Il fenomeno è in continua crescita, anche aiutato dalle recenti restrizioni causate dalla pandemia. Dal 2020 ad oggi le 10 persone più ricche del mondo hanno raddoppiato la propria fortuna passando da un totale di 700 a 1500 miliardi di dollari mentre quasi 5 miliardi di abitanti del mondo sono molto più povere adesso del 2019. La ricchezza mondiale complessiva in termini assoluti è aumentata ma un laboratorio di ricerca, il World Inequality Lab, ha stimato che attualmente il 10% degli esseri umani detiene quasi il 40% della ricchezza complessiva. Negli Stati Uniti il fenomeno è macroscopico ma anche in Europa le cose non stanno altrimenti: in Danimarca, ad esempio, l’1% più ricco possiede il 18,6 % del reddito nazionale, in Italia ne ha il 13,6% e in Francia è perfino di più. Il fatto molto negativo è che tra il 1980 e il 2022 l’Italia ha visto il divario crescere del 7,4%. (i dati sono citati da Openpolis) con il maggiore incremento dopo il 2020. In altre parole: la mobilità sociale si è arrestata.
Le cifre dette così potrebbero sembrare un puro esercizio matematico-statistico ma la realtà, seppur percepita solo inconsciamente dai più, è che tale situazione sta alla base di quel sentimento che è lo svanire della speranza di miglioramento. Chiedete a un qualunque giovane europeo se crede di poter accrescere lo standard di vita vissuto dai propri genitori. I più ottimisti sperano di poter almeno mantenere lo stesso livello, la maggior parte di loro teme invece di peggiorarlo. I giovani del ’68 davano implicitamente per scontato che il benessere fosse un fatto naturale e si battevano per una società più giusta politicamente e moralmente. I giovani di oggi sublimano il loro disagio o disinteressandosi totalmente dei fatti politici come se non li riguardassero o, ignari delle implicazioni economiche, accusando i governi del cambiamento climatico o di altre colpe più o meno definite.
Il fatto è che una società è e resta stabile se al suo interno esiste una qualunque speranza. Una società senza speranze diventa per sua natura conflittuale. Se le condizioni di ognuno peggiorano e se il futuro viene percepito come oscuro, il malcontento serpeggia senza arrestarsi. Un divario crescente tra ricchi e poveri mina la fiducia nella democrazia, poiché alcune persone si sentiranno escluse o non rappresentate.
La crescente disaffezione verso le istituzioni democratiche trova anche in questi fatti una delle cause.

Note:
1 – Perché la nostra classe dirigente, politici, giornalisti, università non hanno riferito del fatto che lo scorso anno la Svizzera ha proibito per circa un mese la circolazione delle auto elettriche a causa dell’impossibilità per la rete elettrica locale di sopportare la loro alimentazione in aggiunta ai normali consumi?

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.