Editoriale. La battaglia di Renzi per un’Europa diversa, perché il domani sia anche italiano

di Dario Rivolta * –

renzi ng grandeLa posizione di Matteo Renzi nei confronti della Germania è, probabilmente, condivisa da qualunque italiano che abbia un minimo di orgoglio nazionale e che voglia tutelare gli interessi dei propri concittadini. Anche supponendo che le sue vere motivazioni risiedano più in motivi di politica interna che internazionale, non c’è nessuno degli argomenti da lui sollevato nell’ultimo Consiglio Europeo che possa essergli contestato. Perfino sulla questione North Stream 2, il rifiuto del nostro presidente del Consiglio di accettare lo scambio tra il ritiro delle nostre obiezioni e la possibilità di entrare nel capitale di quel gasdotto è più che corretto. Non solo perché accettare tale soluzione trasformerebbe l’opposizione avanzata in pura tattica commerciale, ma anche perché esistono ragioni economiche e politiche per evitarlo.
Dal punto di vista economico, come ha ben detto l’ad. di Eni Claudio Descalzi, tutti saremmo soddisfatti qualora la posa dei tubi, se il gasdotto alla fine si facesse, fosse assegnata alla nostra più che tecnologicamente avanzata Saipem, ma una partecipazione del capitale di Eni in quella società non rientra nella nostra vocazione anche perché trattasi di gas non destinato a noi. Dal punto di vista politico sarebbe innanzitutto ora di chiarire quali debbano essere i contenuti dell’auspicata “unione energetica” europea: considerati anche i rigassificatori in costruzione, davvero non siamo già sufficientemente diversificati nell’importazione di idrocarburi? Ma, se diversificazione fosse realmente necessaria, perché alla Germania dare un futuro quasi monopolio per l’arrivo di gas russo in Europa? E, soprattutto, ha un senso continuare a mantenere, ufficialmente da parte di tutti i Paesi Europei, sanzioni economiche contro la Russia mentre Berlino, con l’altra mano, firma contratti per il gas e per finanziare l’implementazione delle ferrovie russe?
Quanto a Bruxelles non si può negare che l’atteggiamento della Commissione verso di noi sia quantomeno antipatico: su Schengen, sull’immigrazione, sulla Libia, sui salvataggi industriali, sulla bad Bank, tutto lascia pensare a due pesi e due misure.
Tuttavia, nonostante la battaglia sia inappuntabile, occorre domandarsi se esista una visione politica dietro alle mosse di Renzi. A quale Europa pensa? Quali le prossime mosse? E quali alleati ha trovato?
Come disse un vecchio saggio, le guerre si fanno quando s’immagina di poterle vincere e ci sembra evidente che oggi, nel consesso europeo, nessuno ci stia seguendo sulla strada dello scontro. L’opposizione al gasdotto di Polonia e Paesi Baltici ha motivi diversi dai nostri e il loro atteggiamento complessivo verso l’Europa è addirittura l’opposto di quel che potrebbe essere il nostro. Ungheria e Grecia, che su alcune battaglie potrebbero esserci vicine, non hanno comunque peso politico sufficiente per aiutarci. La Spagna ha i suoi problemi interni da risolvere e la Francia, l’unico peso forte che potrebbe aiutarci a rimettere l’Europa sui giusti binari, sta passando un periodo di leadership molto debole. Senza contare che i suoi interessi verso il Mediterraneo sono antagonisti ai nostri.
Resterebbe la Gran Bretagna e Renzi ci era andato proprio per verificare la possibilità di un fronte comune. E’ arrivato perfino a sostenere, seppur in maniera sibillina, che noi siamo d’accordo nel domandare non “più” Europa bensì un’Europa “diversa”. Non è affatto chiaro cosa s’intenda con la parola “diversa” poiché, viste le richieste avanzate da Cameron a Bruxelles, probabilmente abbiamo in mente due “diversità” ben differenti.
Non resterebbe allora che cercare aiuto dagli Stati Uniti che hanno i loro motivi ben evidenti per essere scontenti della Germania. E’ anche possibile che Obama, in qualche modo, ci faccia da sponda, ma è il colmo dover immaginare che per riequilibrare i poteri dentro l’Europa si debba ricorrere a un aiuto di oltre oceano. Non va dimenticato che russi e americani hanno, entrambi e da sempre, l’obiettivo di avere ottimi rapporti con il nostro continente, purché resti debole e unito in modo soltanto superficiale. Non per caso hanno sempre favorito i rapporti bilaterali. Se è vero che gli Usa hanno consentito, e addirittura favorito, la nascita del MEC, ciò avveniva nei tempi di guerra fredda e, comunque, doveva prescindere, nelle loro intenzioni, da una vera unità politica poiché un’Europa veramente unita era percepita come una pericolosa concorrente. Anche quando si è cercato di creare, pochi anni or sono, un unico esercito, o almeno realizzare una maggiore integrazione tra le forze armate europee, furono proprio gli americani con un’azione di pesante lobby presso i governi europei a farci partorire una ridicola “forza di pronto intervento”, tra l’altro subordinata alla NATO.
Come ci si può, dunque, battere con qualche chance di vittoria? A nostro giudizio, con tutti i torti giustamente attribuibili alla Germania, è sempre con Berlino che si deve dialogare se si vuole immaginare la costruzione di una vera Europa con un reale peso a livello mondiale. E’ con i tedeschi, e solo con loro, che potremmo puntare a un’Unione che diventi una vera realtà sovranazionale. Certo, occorrerà un intenso lavoro diplomatico bilaterale con tutti i Paesi europei e l’obiettivo deve essere quello di far uscire allo scoperto chi si rende conto che un’Unione Europea può sopravvivere e prosperare solo con un vero cammino verso l’unità politica. Bisognerà fare a meno di chi invece la vede soltanto come un mercato per le proprie merci o, addirittura, una cassaforte cui attingere.
Anche la poca Europa esistente, a causa della crisi economica, del fenomeno migratorio, e dell’attuale cecità dell’opinione pubblica tedesca, sta correndo il rischio di scoppiare. Gli stereotipi, le rigidità tedesche e le incertezze italiane sono fenomeni radicati. Lo sforzo di dialogo dovrà quindi essere lungo, paziente e diffuso, alla stregua di ciò che è avvenuto nel passato tra Francia e Germania. Da solo non basterà a rimettere in moto l’Europa, ma è un dovere di entrambi i paesi.
E’ proprio in momenti di crisi che, se non si vuole cedere agli avvenimenti, occorre fare un salto di qualità. Bisogna, con abilità diplomatica ma con altrettanta forza e decisione, spingere per un passo in avanti verso l’unione politica, fiscale e nella politica estera. Non si pensi che questo risultato si possa realizzare con l’Europa dei ventotto. Probabilmente si tornerà a essere anche meno di dieci ma ciò, anziché un fattore di debolezza, costituirà il fattore di forza. Nulla impedisce che quella dei Ventotto continui a sopravvivere, ma in maniera più ragionata di come si fece con l’euro e senza la fregola di ricercare il maggior numero di aderenti. La nostra Farnesina si muova, su stimolo del Governo, in quella direzione. Non sarà una strada facile e non mancheranno i sabotatori interni ed esterni ma i veri politici sono quelli lungimiranti, quelli che hanno idee e ideali e che si curano più dell’obiettivo finale che dei rischi personali che incontreranno.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali