El Salvador. Bukele conquista anche gli Usa

di Francesco Giappichini –

Il «bukelismo», l’ultimo bizzarro preparato della politica latinoamericana, ha ormai scalzato l’«onda rosa», come tema più indagato dai think tank dell’area. Mentre il capo dello stato di El Salvador, Nayib Bukele (e la sua formazione politica Nuevas ideas) rappresenta un modello per tanti politici del Subcontinente, che ambiscono a guidare il proprio Paese (dall’Ecuador, all’Argentina, dal Guatemala alla Colombia). Un ircocervo che affascina i politologi: una miscela di autoritarismo, populismo di sinistra (è stato eletto sindaco di San Salvador sotto le insegne del progressista Frente Farabundo Martí para la liberación nacional – Fmln), origini benestanti, straripante popolarità, utopia del bitcoin (e relativa esaltazione da parte degli aficionado delle criptovalute), noncuranza delle regole istituzionali (come nella pretesa di nuovo mandato), lotta efficace e senza quartiere alle mara o pandilla, spregio dei diritti di indagati e reclusi, tanto carisma agli occhi della popolazione (per la stampa è il «dictador cool»), tanta presenza sui social network (ove sull’ex Twitter si lancia in battibecchi anche con altri presidenti), compressione della libertà di stampa.
Il 7 agosto il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha ricevuto la ministra degli Esteri di El Salvador, Alexandra Hill Tinoco. Un incontro su cui gli analisti continuano a ragionare, sebbene lo scenario appaia chiaro. La Casa Bianca non nutre avversione alcuna, né verso il presidente Bukele, né per il suo «Movimiento social Nuevas ideas». Che tutt’al più giudica mali necessari. Con buona pace dei difensori dei diritti umani e di chi segnala la violazione delle regole democratiche. La ragione? Washington plaude alle politiche di San Salvador, perché efficaci nel ridurre l’immigrazione illegale. Un tema che negli Stati Uniti, manco a dirlo, sarà decisivo in vista delle presidenziali del novembre ’24.
Infatti, a seguito delle misure anti criminalità più illiberali, i flussi di migranti dal El Salvador si sono ridotti drasticamente. (Nella superpotenza a stelle e strisce vivono un milione e 400mila salvadoregni, che rappresentano il 90% della diaspora di quel Paese). Lo attestano i dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni – relativi ai primi cinque mesi del ’23 – sui rimpatri dagli Stati Uniti: il numero dei salvadoregni è molto inferiore rispetto a honduregni e guatemaltechi. E su oltre 58mila espulsioni verso il Centro America, solo 4025 riguardano cittadini di El Salvador. «Il nostro presidente è diventato corresponsabile della migrazione illegale»: l’uscita della ministra Hill ha favorevolmente sorpreso la Casa Bianca, e sancito l’alleanza (asimmetrica) San Salvador – Washington, innanzi alla sfida migratoria.
Un’approssimazione tra le due Nazioni, se non repentina, comunque costante: fino al ’21 i nordamericani biasimavano le scelte di Bukele, e fu stigmatizzata la nomina dei suoi fedelissimi ai vertici della magistratura. Dopodiché, nonostante gli arresti e i processi di massa, le critiche si sono affievolite; per annullarsi quasi del tutto innanzi alla decisione più dirompente di Bukele: ricandidarsi alle presidenziali, malgrado il divieto costituzionale, (che è stato eluso grazie a una Corte costituzionale composta da giudici “amici”). Washington lascia comunque trapelare che, «in privato», continua ad esercitare una sorta di moral suasion, affinché non si calchi troppo la mano. Sì, anche gli attivisti per i diritti umani portano voti.