Ennesima strage del Boko Haram. Ma di Nigeria si parla poco: perché ci sono vittime di serie B

di Enrico Oliari –

skekau grandeVi sono gravi fatti di sangue legati al terrorismo di cui si parla poco o nulla, forse perché interessano paesi lontani, forse perché coinvolgono persone che, consciamente o inconsciamente, riteniamo di serie “B”.
Eppure la Nigeria non è così lontana dall’Italia, se si pensa che lì vi sono interessi nostrani importanti, come nel campo dell’energia, dove nel 2013, nonostante i furti, i sabotaggi e gli scandali-mazzette, l’Eni ha prodotto 73mila barili di petrolio e 8,1 milioni di metri cubi di gas al giorno.
La Nigeria non è l’Ucraina, non è la Siria, non è l’Iraq. Eppure non passa giorno senza che le notizie che arrivano dal paese africano riportino di stragi e di violenze: l’ultimo grave fatto di sangue è avvenuto ieri a Kano, dove a morire a causa di un attacco del Boko Haram sono stati i fedeli che gremivano la Grande moschea della città per la preghiera del venerdì, nel nord-est del paese: due kamikaze si sono fatti esplodere nell’edificio religioso, mentre una quindicina di uomini armati hanno atteso chi scappava fuori dalla moschea per sparargli. Il bilancio è gravissimo, si parla di almeno 120 morti e 270 feriti. La folla inferocita per l’accaduto è riuscita a mettere le mani su quattro degli attentatori, linciandoli sul posto.
Il Boko Haran, gruppo islamista-secessionista attivo nel nord-est della Nigeria, è autore di una lunghissima serie di attentati e sequestri, come nel caso delle 276 studentesse avvenuto presso la scuola di Chibok lo scorso 14 aprile, ed ancora di eccidi, tanto che in un solo girono, il 7 maggio, sono stati sterminati gli abitanti del villaggio di Gamboru Ngala, compresi i bambini: 300 i morti.
Gli attentati sono praticamente quotidiani, tuttavia l’attenzione, effimera, dell’opinione pubblica internazionale si è concentrata su quanto sta accadendo nel paese africano solo quando vip del calibro di Michelle Obama hanno fatto il loro show umanitario per le ragazze rapite. E poi tutto è finito lì. Nonostante i sequestri di intere scuole siano continuati, nonostante gli attacchi ai villaggi, le stragi nelle moschee e nelle chiese: solo per questo mese ci sono da segnalare i fatti del 3 novembre a Potiskum, 20 pellegrini sciiti uccisi, del 10 novembre sempre nella stessa città, 78 studenti liceali uccisi, dell’11 novembre, attacchi ai villaggi d’oltreconfine, in Camerun, del 20 novembre, 47 morti a Doron Baga e del 27 novembre a Maiduguri, 60 morti.
Non si tratta del primo caso di attacco ad un edificio religioso, tanto che il gruppo terrorista si era fatto conoscere nel 2011 inaugurando una serie di attentati contro le chiese, come nel caso di quella di Sansta Teresa di Madalla, presso la capitale Abuja, del natale 2011, quando le vittime sono state 110. Nel marzo di quest’anno il vescovo cattolico di Maiduguri, Oliver Dashe Doem, ha dichiarato che sono almeno 500 cristiani uccisi dal Boko Haram.
L’attacco di oggi alla Grande moschea di Kano è da mettere in relazione con parole del leader dell’istituto religioso, l’emiro Sanusi Lamido Sanusi, conosciuto anche come Muhammad Sanusi II, il quale ha incitato i fedeli a prendere le armi contro i Boko Haram, da lui definiti “Talebani d’Africa”: l’uomo è scampato all’attentato in quanto era in rientro dall’Arabia Saudita.
Nei suoi sermoni Sanusi se l’è presa anche con l’esercito, ritenuto incapace di affrontare i terroristi, ma i fatti gli danno ragione, poiché per mesi diverse città degli Stati nord-orientali di Adamawa, Borno e Yobe sono cadute sotto il controllo dei jihadisti i quali vi hanno applicato la Sharia e si sono abbandonati ad ogni brutalità; non solo vi sono molti sospetti su come l’esercito di un paese di 175 milioni di abitanti e per di più membro Opec non sia riuscito ad opporsi ad un gruppo terroristico di 9mila miliziani, ma addirittura agli inizi di giugno ben dieci generali dell’esercito sono finiti davanti alla Corte marziale con l’accusa di aver favorito il nemico, di aver fornito informazioni e persino armi.
Una situazione a dir poco imbarazzante, che ha portato pochi giorni fa il Parlamento della Nigeria a bocciare la richiesta del presidente Goodlick Jonathan di prorogare lo stato d’emergenza nelle regioni dove è attivo il Boko Haram, in quanto l’esercito non è stato in grado fino ad oggi di fare fronte all’aggressività dei terroristi.
In più occasioni la popolazione, come oggi, ha provveduto a fare giustizia con le proprie mani; non si contano più le iniziative inedite di autodifesa: l’ultima il 1 novembre scorso, quando la popolazione di Biu è riuscita a sequestrare numerosi Boko Haram, decapitandone poi 41.
Oggi il presidente del paese, Goodluck Jonathan ha promesso che “non lascerà una pietra al suo posto” nella ricerca dei responsabili della carneficina della Grande moschea, ed ha chiesto ai nigeriani di “combattere insieme il nemico comune”.
Tuttavia il Boko Haran non rappresenta un problema solo per la Nigeria, tanto che negli ultimi tempi si sono moltiplicate le azioni in Ciad e in Camerun, una situazione che lo scorso 8 ottobre ha portato i rappresentanti di Nigeria, Ciad, Niger, Camerun e Benin ad incontrarsi a Niamei per vedere il da farsi.
Il Boko Haram, nome che si traduce con “l’educazione occidentale è peccato”, è nato nel 2002; al primo leader, Ustaz Mohammed Yusuf, è succeduto nel 2009 l’attuale comandante, Abubakar Shekau. Il gruppo ha come alleati gli al-Shabaab somali (a loro volta alleati di al-Qaeda) e il Gspc (Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento). Vi sono forti sospetti che i tre gruppi abbiano messo le risorse economiche in comune, ma in passato un portavoce del Boko Haram ha dichiarato che governatori corrotti hanno finanziato personalmente il gruppo con esborsi mensili.