Geopolitica dei cavi internet sottomarini

di C. Alessandro Mauceri

Per molti utilizzare Internet o trasmettere e ricevere dati dalla rete è ormai una forma di dipendenza. Molti lo fanno dal cellulare o dal tablet. Quelli che usano un computer spesso si servono di notebook. Questo potrebbe portare a credere che la maggior parte dei dati viaggia nell’etere, che non si utilizza una linea fisica. Niente di più sbagliato. In realtà, solo l’ultimo tratto del percorso compiuto dai dati non utilizza una linea fisica, un cavo per telecomunicazioni. Per assurdo che possa sembrare, anche attraverso gli oceani: quasi il 100% del traffico dati transoceanico viaggia attraverso cavi sottomarini posati sul fondo del mare. Si tratta di cavi abbastanza sottili: il loro diametro non è molto maggiore di un tubo da giardino. Eppure, sono importantissimi: oltre ai dati Internet, trasportano anche telefonate e persino trasmissioni televisive. Un singolo cavo può trasportare centinaia di terabit per secondo: il cavo MAREA che connette Bilbao (ES) con la Virginia (USA) è in grado di trasportare fino a 224 Tbps (terabit per secondo).
La rete globale di cavi sottomarini costituisce gran parte della spina dorsale di Internet. Tutto questo ha conseguenze notevoli. Chi può posare questi cavi? Chi garantisce la loro sicurezza e la sicurezza dei dati che viaggiano su queste linee? Quali sono le regole quando si passa da un Paese all’altro? Un esempio della vulnerabilità di questo sistema di trasmissione dei dati si è verificato a giugno 2022: il cavo internet Asia-Africa-Europa-1 è stato troncato (per motivi poco chiari). Il cavo collega Hong Kong a Marsiglia viaggiando per buona parte sul fondale marino. Fornisce connessioni internet a più di dieci Paesi, dall’India alla Grecia. La sua interruzione ha lasciato offline milioni e milioni di persone. “Ha colpito circa sette Paesi e una serie di servizi over-the-top”, ha dichiarato Rosalind Thomas, amministratrice delegata di SaEx International Management, una delle aziende che progetta e installa cavi sottomarini. “I danni maggiori sono stati in Etiopia, che ha perso il 90 per cento della connettività, e in Somalia, con l’85 per cento”. Nell’incidente è stato danneggiato anche un altro cavo (sempre per motivi poco chiari). Anche se la connettività è stata ripristinata in poche ore, l’ “incidente” avrebbe dovuto richiamare l’attenzione sulla fragilità delle centinaia di cavi sottomarini (solo un paio d’anni fa, nel 2021, erano 436, ora sarebbero circa 550).
A volte, questi cavi sottomarini attraversano aree sensibili o attraverso vere e proprie strettoie. Ad esempio, molti di questi cavi attraversano il Mar Rosso, poi in Egitto “viaggiano” sulla terraferma e poi di nuovo in Mare: nel Mar Mediterraneo. Negli ultimi decenni questa rotta si è rivelata uno dei principali colli di bottiglia globali per Internet e uno dei punti più vulnerabile della rete. “Dove ci sono strozzature, ci sono anche punti di vulnerabilità” ha dichiarato Nicole Starosielski, della New York University.
Di questo problema si è occupato anche il Parlamento europeo: in un rapporto del 2021 si parla del rischio di interruzione di internet su ampia scala: “Il collo di bottiglia più importante per l’Ue riguarda il passaggio tra l’Oceano Indiano e il Mediterraneo attraverso il Mar Rosso, perché la fonte principale di connettività verso l’Asia passa attraverso questa rotta”. Si stima che circa il 17 per cento del traffico internet mondiale viaggi lungo questi cavi e passa attraverso l’Egitto. Nel rapporto vengono sottolineati anche i rischi legati al terrorismo marittimo e ai conflitti in atto. Secondo Doug Madory, direttore dell’analisi internet della società di monitoraggio Kentik, passare attraverso il Mar Rosso e l’Egitto è il percorso sottomarino più breve tra l’Asia e l’Europa (per buona parte dei dati).
Eppure, per alcuni è più sicuro posizionare questi cavi in fondo al mare, dove è più difficile che vengano interrotti o spiati che usare linee terrestri. Nel 2021, il think tank statunitense Atlantic Council ha pubblicato un paper riguardante la “cyber difesa” sui fondali marittimi. Proteggere queste linee è incredibilmente difficile. In genere, i cavi sono coperti da armature d’acciaio e sepolti sotto il fondo marino alle loro estremità. Nelle profondità marine, invece, si pensa che a proteggere i cavi basti l’inaccessibilità dell’oceano: per questo, in genere, sono coperti solo con protezioni in polietilene. La difesa di queste linee sarebbe demandata alla profondità dei fondali e alle dimensioni del mare (che dovrebbero nascondere i cavi). Ma questo non sempre basta: già durante la Prima Guerra Mondiale, un raid tedesco colpì la stazione via cavo di Fanning Island nell’Oceano Pacifico.
Oltre agli attacchi intenzionali, rischi elevati derivano anche dai guasti: se ne verificano, in media, circa 200 all’anno. Al primo posto troviamo gli incidenti causati da pescherecci e navi, legati principalmente allo strascico di ancore (attorno al 66%). Altri problemi potrebbero derivare dai terremoti.
Eppure, molti di questi cavi continuano ad essere posizionati in zone a rischio. “Ogni volta che si cerca di tracciare un percorso alternativo, si finisce per passare attraverso la Siria o l’Iraq o l’Iran o l’Afghanistan, tutti luoghi che presentano molti problemi”, ha dichiarato Madory. Il sistema di cavi Jadi che era stato progettato per evitare l’Egitto, è stato interrotto a causa della guerra civile siriana. E non è mai stato riattivato. Un altro cavo è stato interrotto dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Il fatto è che non esistono valide alternative (almeno per ora) per trasmettere i dati. I sistemi satellitari (come Starlink di Elon Musk) non sembrano essere concorrenziali. Possono essere concorrenziali solo per zone rurali o come soluzioni di emergenza, ma a livello globale non riuscirebbero a coprire il fabbisogno di trasmissione dati richiesto: semplicemente, “non sono in grado di trasportare centinaia di terabit tra i continenti”, ha puntualizzato Mauldin. Inevitabile, quindi, far passare i cavi su zone “calde”. Come quelle che attraversano il Mediterraneo. Tra i principali investitori multinazionali come Google, Facebook, Microsoft e Amazon, e poi operatori di telecomunicazioni e mobili, istituti di ricerca e, ovviamente, governi (con gli USA al primo posto, seguiti dalla Cina, che si è detta pronta ad acquisire circa il 60% dei cavi in fibra entro il 2025). A luglio 2021, Google ha annunciato la creazione del cavo sottomarino Blue-Raman per collegare l’India alla Francia passando dal Mar Rosso, attraversando Israele e l’Arabia (e dato che le relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita sono complesse…). Per comprendere le complessità dal punto di vista dei rapporti internazionali basti pensare che pur essendo Blue-Raman una sola linea, Google lo ha presentato come fossero due: la parte Raman, che copre la sezione dall’India alla Giordania, e la sezione Blue che va dalla Giordania, attraverso Israele e l’Italia. Una decisione con la quale si spera di non avere problemi con nessuno.
Per comprendere l’importanza delle linee sottomarine, basti pensare che, in Israele, solo poche settimane prima dell’inasprirsi dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, il Consiglio Nazionale Israeliano per la Pianificazione e la Costruzione ha approvato il progetto per la nuova costruzione di un cavo sottomarino per la trasmissione di energia elettrica lungo la costa nazionale (approvato anche dal Ministero dell’Energia) che – stranamente – percorre in lunghezza tutta la costa di Israele per centinaia di chilometri, da Ashkelon nel sud a Haifa nel nord, ma con una lunga deviazione proprio intorno alla Striscia di Gaza. Una deviazione che non Israele potrebbe evitare ottenendo il controllo di questo territorio. Un aspetto importante se si pensa agli equilibri geopolitici in gioco in questo momento. Tanto più che il governo israeliano ha affermato che la linea si allineerà con l’area designata per le attività di gas naturale. Questa dovrebbe essere completata entro il 2024 ed essere operativa entro il 2025. Il nuovo cavo è progettato per collegarsi con le linee di trasmissione esistenti che attualmente distribuiscono elettricità in Giordania, Egitto e negli Stati del Golfo. Il ministro dell’Energia israeliano Israel Katz ha sottolineato l’importanza del progetto per portare il Paese ad essere una potenza energetica.