Germania. Merkel per il divieto del burqa, ‘è un’ostacolo all’integrazione’. In Francia si litiga sul “burkini”

Notizie Geopolitiche –

burqaIl ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maiziere ha presentato un pacchetto sicurezza contro il terrorismo che prevede, tra le varie iniziative, il divieto di portare il burqa e altri tipi di copricapo islamici perlomeno negli uffici pubblici e alla guida delle auto. Sulla questione è intervenuta anche la cancelliera Angela Merkel, per la quale il burqa è un “ostacolo all’integrazione”: “A mio avviso – ha detto Merkel – una donna col velo completo ha poche probabilità d’integrarsi”.
In Francia continua invece a tenere testa la polemica sul “burkini”, il costume completo per le donne islamiche che si bagnano nei mari del paese: nei giorni scorsi alcuni sindaci, tra i quali quelli di Marsiglia e di Cannes, hanno imposto il divieto di portarlo pena una contravvenzione, e con loro si è schierato il premier Manuel Valls in quanto tale pratica è “contraria ai valori della Francia e fondata sull’asservimento della donna”.
La Lega per i diritti dell’Uomo (LDH) e il Collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF) hanno annunciato l’intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato: Michel Tubiana, avvocato ed ex presidente della Lega, ha spiegato che “Questa vicenda è legata a uno sfruttamento delle paure in prospettiva elettorale. C’è qualcosa di degradante in un primo ministro che si abbandona a questo tipo di demagogia”.

La legislazione italiana.
Chi sostiene l’esistenza di un divieto già in atto anche in Italia fa riferimento di solito a una legge che risale agli anni di piombo, quando il Paese dovette fronteggiare numerosi atti terroristici di matrice politica. Il riferimento è all’articolo 5 della n. 152 del 1975: la cosiddetta “legge Reale” sull’ordine pubblico, un provvedimento molto discusso e sottoposto a referendum nel 1978 (che ne mantenne la validità).
Nel 1977 la legge Reale venne modificata (con l’articolo 2 della legge n. 533) in senso più restrittivo nei confronti dell’abbigliamento da tenere in pubblico. La nuova formulazione dell’articolo che ci interessa diventò quindi: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”.

Il “giustificato motivo”.
La questione giuridica ruota intorno a che cosa costituisca il “giustificato motivo” – e se in esso rientrino le convinzioni religiose e/o le tradizioni culturali. Un ottimo riassunto si trova in questo paper del 2011, pubblicato sul sito della rivista “Quaderni costituzionali”. In breve: sul caso si sono espressi diversi tribunali, solitamente dopo ricorsi contro ordinanze locali che vietavano i veli integrali.
Uno dei primi casi e più noti – un’ordinanza del sindaco di Azzano Decimo (PN) del 2004 – diede il via a una battaglia legale arrivata fino al Consiglio di Stato. Nella sentenza 3076/2008, il supremo tribunale amministrativo italiano ha scritto: “Il citato art. 5 (della legge del 1975) consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali”.
Un altro testo chiamato in causa nel dibattito è il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS). A dispetto dell’età, è ancora uno dei due provvedimenti legislativi fondamentali – insieme al regolamento per la sua attuazione, del 1940 – che regola l’attività della polizia in Italia. L’articolo 85 del TULPS dice: “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico”. Ricordiamo un altro caso diventato celebre sulla stampa: il sindaco di Drezzo (CO) emanò il 12 luglio 2004 un’altra ordinanza per vietare l’uso dei veli islamici in pubblico, facendo riferimento sia al TULPS che alla legge del 1975. Il prefetto di Como la annullò meno di due mesi dopo, argomentando che il sindaco non aveva competenza in materia di ordine pubblico. (Tratto da pagellapolitica.it).