Giappone. Strage del 1995 col sarin: eseguite le condanne a morte di Shoko Asahara e di sei della setta

di C. Alessandro Mauceri

Mentre nel mondo aumenta il numero dei paesi che rinunciano alla pena di morte, il Giappone conferma la propria volontà di proseguire con questa pratica disumana. Nel 2016 nel paese del Sol Levante sono state eseguite 3 esecuzioni capitali, l’anno scorso 4.
Nei giorni scorsi sono state eseguite le condanne a morte di sette terroristi membri della setta religiosa Aum Shinrikyo (la “suprema verità di Aum”), ritenuti responsabili dell’attentato del 20 marzo 1995 nella metropolitana di Tokyo che causò 13 morti e migliaia di feriti. Un attentato particolarmente crudele dato che venne realizzato nel momento in cui la metropolitana di Tokio era più affollata: alle 8 del mattino, cinque membri della setta piazzarono sui convogli della metropolitana alcuni pacchi ricoperti di plastica contenenti gas Sarin allo stato liquido, poi con un ombrello appuntito forarono i contenitori e fuggirono prima che la sostanza tossica si diffondesse. Migliaia di persone inalarono il gas nervino. Alcuni riuscirono a lasciare i vagoni e a fuggire. Ma molti altri persero i sensi all’interno dei convogli. Alla fine i morti furono 13 e oltre seimila gli intossicati. Un anno prima, nel 1994 a Matsumoto, la stessa setta aveva compiuto un attentato simile, e in quell’occasione 8 persone erano rimaste uccise e oltre 100 passeggeri feriti.
All’apice del successo la setta contava 10mila adepti solo in Giappone (e pare altri 30mila in Russia). Una adesione di massa che l’aveva spinta a tentare vie ”democratiche” per espandersi e governare: molti adepti avevano presentato la propria candidatura alle elezioni per la Camera alta del Parlamento giapponese. Secondo alcuni proprio la loro mancata elezione sarebbe stata una delle cause dell’attentato terroristico alla metropolitana.
Come ormai prassi usuale in Giappone la notizia delle esecuzioni è stata data a cose fatte: il ministro della Giustizia giapponese, Yoko Kamikawa, ha precisato che l’esecuzione è avvenuta venerdì 6 luglio in una prigione della capitale. Il primo ad essere stato giustiziato è stato il 63enne Shoko Asahara (il cui vero nome era Chizuo Matsumoto) capo della setta e ideatore degli attentati; quello che ha portato alla condanna è solo l’ultimo di una serie di attentati attribuiti a questo gruppo. Durante il processo Asahara aveva ammesso di essere la mente ideatrice dell’attentato. Come hanno più volte denunciato organizzazioni internazionali come Amnesty International, ma anche associazioni locali, in Giappone le esecuzioni capitali avvengono segretamente, contravvenendo al diritto internazionale: le impiccagioni vengono eseguite senza o con pochissimo preavviso al detenuto. I famigliari, i legali dei condannati e l’opinione pubblica vengono informati solo cose fatte.
A differenza di quanto avvenuto in altri casi, l’esecuzione era stata ritardata a causa dei ricorsi giudiziari. La Società giapponese per la prevenzione e il recupero del culto (JSCPR) aveva presentato al ministro della Giustizia un’istanza in cui chiedeva che la condanna a morte venisse convertita in ergastolo per tutti, tranne che per Asahar. “Asahara era il cervello e gli altri 12 erano solo gli arti”, ha dichiarato Taro Takimoto, un membro del consiglio di JSCPR e vittima lui stesso dell’attacco alla metropolitana. Anche Amnesty International aveva dichiarato che l’uccisione di una persona “non porta a nessuna giustizia”. Nonostante questi appelli, a gennaio 2018, il tribunale aveva confermato in via definitiva la loro condanna alla pena capitale. Fonti del governo hanno dichiarato che “La maggioranza del popolo giapponese ritiene che la pena di morte sia inevitabile nel caso di reati estremamente odiosi e quindi il Giappone attualmente non ha intenzione di creare un forum per discutere il sistema di pena di morte”.
Le esecuzioni dei terroristi sono state giudicate positivamente dai familiari delle vittime dei due attacchi terroristici. Un sondaggio di qualche tempo fa ha mostrato che l’80 per cento della popolazione giapponese sarebbe favorevole alla pena di morte. Una percentuale che offre al governo uno stimolo per non lasciare spazio alle campagne abolizioniste messe in atto dalle organizzazioni per i diritti umani. Dei 35 paesi dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, solamente gli Stati Uniti d’America (ma non tutti) e il Giappone ammettono il ricorso alla pena capitale. In Giappone anche la Federazione degli avvocati giapponesi ha auspicato la sospensione delle “impiccagioni di Stato” entro il 2020, quando il Giappone ospiterà le Olimpiadi ma soprattutto il Congresso della Nazioni Unite sulla prevenzione dei crimini e sulla giustizia penale. Appelli accorati che, però, il governo si rifiuta di ascoltare.
Dopo la condanna del suo leader indiscusso, la setta Aum Shinrikyo era stata sciolta. Ma da una sua costola era rinata una nuova setta con un nuovo nome, Aleph, la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Molti dei nuovi membri, reclutati soprattutto tra i giovani, non conoscono Asahara e il loro numero sta crescendo. Nel 2007 da questa nuova setta si è staccata una nuova costola guidata da Joyu Fumihiro che ha creato Hikari no Wa (“il Diritto alla Luce”). Nonostante Hikari no Wa abbia dichiarato apertamente l’intenzione di “rinnegare completamente l’influenza del fondatore di Aum Shoko Asahara”, a gennaio 2015 la Public Security Intelligence Agency, l’agenzia giapponese di pubblica sicurezza, aveva dichiarato che il gruppo sarebbe rimasto sorvegliato speciale per almeno altri tre anni, essendo sia Aleph che Hikari no Wa rami di una “pericolosa religione”. I tre anni sono appena scaduti.