Gibuti. Sempre più stretti i legami con Riyadh

di Valentino De Bernardis –

gibutiPosizione strategico a medio-lungo periodo, cosi potrebbe essere definite le politiche estere dei governi di Teheran e Riyadh nell’ultimo anno e mezzo, in vista del prossimo rientro iraniano nell’agone politico-economico internazionale, e di una competizione per la leadership regionale in cui entrambe le capitali vogliono primeggiare.
All’interno di questa rivalità si va ad inserire il rinnovato interesse di entrambi i paesi per il continente africano, diventato territorio di conquista per provare a creare un cordone sanitario per il reciprocano contenimento geopolitico.
All’attivismo della diplomazia economica iraniana in Africa (basta ricordare i sempre più fitti rapporti con Kenya e Ghana ad esempio), l’Arabia Saudita ha risposto rinforzando le proprie roccaforti, con esponenziali salti di qualità nei rapporti bilaterali (come con Sudan, Somalia e Gibuti), inimmaginabili fino a pochi mesi fa. A tal proposito negli ultimi mesi una carreggiata preferenziale sembra essersi aperta nei confronti del piccolo stato di Gibuti, grazie alla posizione strategica che il paese ricopre alle porte del Canale di Suez.
Iniziato simbolicamente con l’entrata di Gibuti nella coalizione islamica anti-terrorista guidata dal regno saudita, il riavvicinamento tra le due sponde del mar rosso è andato poi a uccellarsi con la decisione del dicastero degli esteri gibotiano, guidato da Mahamoud Ali Youssouf, lo scorso 6 gennaio, di interrompere i rapporti diplomatici con l’Iran, in risposta agli attacchi subiti dall’ambasciata saudita a Teheran e al consolato generale nella città di Mashhad (in risposta alla decisione di Riyadh di eseguire la condanna a morte nei confronti del dignitario sciita Nima Baqir al-Nimr). Un legame quindi sempre più intenso che ha avuto la sua ultima evoluzione ad inizio marzo, con le esternazioni dell’ambasciatore africano in Arabia Saudita, Dhia-Eddin Bamakhrama, in cui ha espresso la speranza affinché si possa giungere entro la fine dell’anno alla firma di un accordo per la creazione di una base militare saudita nel Corno d’Africa.
Un accordo che vedrebbe soddisfatte le esigenze di ambo le parti. Da una parte Gibuti ben felice di assicurarsi le entrate di un probabile contratto di affitto dei suoi territori (basti pensare che gli Stati Uniti per la loro base militare versano nelle casse dello stato africano $63 miliardi, mentre la Cina $100 miliardi), senza contare l’eventuale indotto e le agevolazioni economico-finanziarie a cui Gibuti avrebbe accesso. Dall’altra l’Arabia Saudita che vedrebbe in qualche modo assicurato il controllo sullo stretto di Bab Al-Mandev, una delle vie commerciali più importanti del globo, e da cui in futuro dovranno transitare le imbarcazioni commerciali da e per l’Iran. Senza contare che un futuro avamposto militare in Gibuti potrebbe rendere molto più agevole la risoluzione della guerra che Riyadh conduce in Yemen contro il gruppo armato sciita zaydita degli Huthi, ufficiosamente sopportati dall’Iran.
Nonostante al momento la creazione di una base militare saudita nel Corno sia ancora in fase di discussione, lunedì 8 marzo è stato approvato da parte del gabinetto saudita la ricerca di un accordo di cooperazione militare con Gibuti, rendendo ufficiale il percorso deciso da intraprendere.
Il dinamismo africano dei sauditi non è però passato inosservato tra le potenze occidentali con interessi di varia natura dell’area. La mattina del 9 marzo il capo di stato maggiore francese dell’esercito, il generale Pierre Le Jolis de Villiers de Saintignon, in visita ufficiale a Gibuti, ha incontrato il presidente della repubblica Ismail Omar Guelleh, il ministro della difesa Hassan Darar Houffaneh e il ministro degli esteri Youssouf, per discutere un rafforzamento sinergie militari tra la Francia e la sua ex colonia.
L’importanza di mantenere buoni rapporti con un alleato particolare come il presidente Guelleh, fa passare in secondo piano le prossime elezioni presidenziali in Gibuti (8 aprile), in cui il presidente uscente cercherà un quarto mandato consecutivo, azzerando quanti completamente gli spazi politici a disposizione dell’opposizione e che potrebbero consacrare l’affermazione di una monarchia-presidenziale, sulla falsariga di una tendenza comune a moltissimi paesi dell’africa sub-sahariana.
In attesa della prossima iniziativa politico-diplomatica di uno degli attori in campo, fa rumore l’apparente immobilismo diplomatico statunitense in medio oriente, impegnato nella lunga campagna delle primarie per la scelta dei candidati alla presidenza del paese. Una elezione che potrebbe portare alla continuazione della dottrina obamiana di distensione con gli storici nemici, e di non coinvolgimento negli scenari dove non sia strettamente necessario, oppure una rottura completa con la politica degli ultimi otto anni della Casa Bianca, con un ritorno all’interventismo esasperato.
In entrambi i casi due scenari che avranno ripercussioni dirette nella competizione Teheran-Riyadh e anche nei loro stati satelliti africani.