I ministri di Netanyahu vogliono l’espulsione dei palestinesi

Si aggravano le tensioni in Medio Oriente.

di Enrico Oliari

Il conflitto di Gaza, che vede ormai quasi 23mila palestinesi uccisi, soprattutto civili (8mila bambini), dall’esercito israeliano, rischia sempre più di allargarsi e di infiammare il Medio Oriente. L’uccisione da parte di Israele a Beirut del vice capo dell’ufficio politico di Hamas, Saleh al-Aruri, lo scorso 2 gennaio potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso, con il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah che è tornato a minacciare Israele mettendola però sulla difensiva, ovvero “dopo aver eliminato il popolo palestinese a Gaza, gli israeliani attaccheranno il Libano” meridionale. Per Nasrallah lo scontro è quindi “inevitabile”, e anche oggi vi sono stati razzi lanciati dal sud del Libano verso Israele, con la conseguente risposta israeliana del bombardamento di obiettivi in Libano.
Il timore di un allargamento del conflitto al Libano ha portato il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ad affermare nel corso di un incontro di oggi con il collega libanese Abdallah Bou Habib che “È mperativo evitare l’escalation in Medio Oriente, e che il Libano sia trascinato in un conflitto regionale”. Ha inoltre affermato che “Mando lo stesso messaggio a Israele: nessuno uscirà vincitore da un conflitto regionale”.
Ad infiammare ulteriormente la situazione è stato un attacco a Baghdad dove, stando alle accuse, droni statunitensi avrebbero ucciso Mushtaq Talib al-Saidi e un altro alto ufficiale del Hashd al-Shaabi, sigla che raggruppa le forze paramilitari sciite irachene. In risposta l’Iran ha organizzato esercitazioni congiunte tra forze paramilitari irachene presso il fiume Arvand, che separa l’Iran dall’Iraq.
L’Isis ha invece rivendicato l’attentato di tre giorni fa a Kerman, presso la tomba dell’ex comandante dei Pasdaran Qassem Soleimani, costato la vita a 84 persone e il ferimento di 284.
Intanto in Israele la situazione politica è tesissima, con l’estrema destra che vorrebbe continuare il conflitto, e sempre più cittadini che sono schierati per una soluzione diplomatica. Il recente consiglio di guerra ha visto il premier Benjamin Netanyahu nell’occhio del ciclone soprattutto sul dopo il conflitto di Gaza. I ministri del Likud, il partito del premier, si sono scontrati con i militari guidati dal capo di stato maggiore della difesa Herzi Halevi, il quale avrebbe ideato una commissione di ex alti ufficiali per studiare gli errori commessi prima del 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas: inchieste giornalistiche come quella del New York Times e di Channel 12 hanno dimostrato che i servizi israeliani erano al corrente del piano di Hamas, per cui la politica viene oggi messa sotto accusa dai fatti.
Per il “dopo” Gaza, con chi vorrebbe l’allontanamento dei palestinesi e l’occupazione definitiva del territorio da parte degli israeliani. Il ministro per la Tradizione Amichai Eliahu ha affermato che “dobbiamo distruggere il loro piano nazionale e incoraggiarli a emigrare”, ed anche i ministri Itmar Ben-Gvir (Sicurezza) e Bezalel Smotrich (Finanze) vogliono l’espulsione di tutti i palestinesi da Gaza.
D’altronde il progetto sionista e quello: depredare la terra dei palestinesi obbligandoli alla diaspora nei campi profughi di altri paesi, magari, è stato proposto, in Congo.
Scontate le critiche di tutto il mondo, compresi i proni statunitensi ed europei, ma anche in patria il leader dell’opposizione Yair Lapid li ha definiti “irresponsabili e pericolosi”.
Rimanendo in Usa e Ue, dopo che gli israeliani hanno fatto sapere la loro contrarietà, la tanto acclamata soluzione dei “Due Stati” è improvvisamente sparita dalla bocca dei leader di governo e dalla stampa di massa.