Il concetto di deterrenza applicato al terrorismo moderno

di Denise Serangelo – 

russian bombardier grandeDalla fine della seconda guerra mondiale, con i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, il mondo civilizzato ha visto sotto una nuova luce l’uso delle armi nucleari.
L’occidente si è trovato stranamente concorde nel ritenere la soluzione atomica, l’ultima risorsa, da utilizzarsi solo ed esclusivamente in casi estremi, possibilmente da non utilizzarsi affatto.
Dopo le dichiarazioni del presidente russo Vladimir Putin circa il possibile uso di ordigni nucleari e il test anomalo della Corea del Nord, la paura torna a serpeggiare.
Lo scenario peggiore che possiamo ipotizzare è di utilizzare una tecnologia atomica in scenari come la Siria o la Libia.
La domanda è se ci troviamo in una condizione tale per cui l’uso di queste armi possa essere giustificato.
L’occidente, nonostante sia messo duramente alla prova, non ha ancora schierato tutti i suoi strumenti militari negli scenari presi in esame.
All’appello mancano ovviamente le truppe di terra, azione che politicamente e militarmente ha un costo altissimo e che dunque pochi paesi, europei in primis, vogliono pagare.
Sganciare una bomba nucleare non distruggerebbe il terrorismo, semmai si otterrebbe l’effetto contrario.
L’incremento quasi scontato delle simpatie verso l’Is e qualsiasi altro tipo di network terroristico deriverebbe dall’eccessivo uso della forza rappresentata dall’uso della bomba atomica.
I danni verso la popolazione civile ed in particolar modo verso i bambini sarebbero incalcolabili e a livello sociale avremmo un drastico rancore verso coloro che hanno permesso tale scempio.
Sarebbe inoltre bene ricordare che dopo la caduta di alcuni importanti vertici di al-Qaeda ad opera dei droni americani circa sei anni orsono, la struttura della minaccia terroristica è diventata più ramificata e si trova ovunque nel mondo con piccoli nuclei operativi.
Lo Stato Islamico ha preso grande spunto dagli errori dei suoi predecessori e per questo non lascia assemblati i suoi militanti.
Puntare una zona come obbiettivo nucleare per minare l’organizzazione terroristica dalle fondamenta, mina di certo l’operato dell’organizzazione ma non la estirpa.
Eppure il presidente russo ci stupisce ancora e con un sottile gioco di intesa ha lanciato un chiaro segnale allo Stato Islamico con lo stesso mezzo di comunicazione con cui il terrorismo ha riscosso maggior successo: il web.
Il Cremlino è pronto ad utilizzare il concetto di deterrenza intrabellica e strategica in Siria, in caso di minaccia reale alla Russia e a città strategiche come il Vaticano, sarà possibile l’impiego di armi nucleari.
La deterrenza consiste nel porre in essere minacce, reali o presunte, affinché l’avversario sia portato a desistere dal perpetrare delle azioni a noi indesiderate prima che queste siano messe in pratica.
La deterrenza ha una componente squisitamente strategica, il suo scopo principale è infatti quello di far mantenere a chi la utilizza il suo stato di superiorità nel confronto armato e politico.
Nella realtà questo strumento di politica estera e militare si traduce in due modi.
Il primo è la creazione di una forza tale da interporsi letteralmente tra il nostro nemico e i suoi obbiettivi impedendogli di trarre gratificazione (materiale o ideologica) dalla sua azione violenza.
La così definita deterrence by denial, da sempre utilizzatissima dagli Stati in caso di pericolo.
Un secondo caso pratico  è quella della deterrence by punishment.
In questo caso si minaccia il nemico con probabili azioni di rappresaglia, in caso di attacco, che annullino sistematicamente tutti i vantaggi da loro acquisiti con l’azione.
La deterrence by punishment è intuitivamente quella messa in pratica dal Cremlino.
Una deterrenza capace di essere credibile (e nel caso russo lo è di sicuro) solo se la nazione che intende praticarla ha la capacità tecnologica e militare per essere davvero incisiva sul terreno.
Il danno funzionale che in caso di attentato deve essere inflitto ai terroristi dello Stato Islamico deve essere per loro totalmente intollerabile, ma questa soglia di intollerabilità è sottesa a diversi aspetti che ora analizzeremo.
La Russia, e più in generale l’occidente, ha in questo scenario il ruolo di dissuasore, cioè colui che non vuole che la minaccia si concretizzi.
La deterrenza non è solo un gioco politico, ma è soprattutto un gioco psicologico fatto di calcoli probabilistici ed alternative possibili, l’arena perfetta per testare la preparazione dei propri analisti militari e strategici.
Dall’altra parte affinché la deterrenza sia efficace è fondamentale considerare la motivazione che spinge a compiere attentanti o perpetrare azioni violente.
Nel nostro caso, lo Stato Islamico ha motivazioni economiche ed ideologiche stabili, strutturate in uno Stato fantoccio discutibilmente funzionante, quello che ha da perdere è parecchio.
In generale i possibili fattori ideologici rendono la prospettiva di agire particolarmente attraente, i requisiti per un deterrente efficace dovranno essere sempre più elevati.
In quest’ottica si evince che non basta più solo minacciare un bombardamento o sganciare qualche ordigno con precisione per evitare le vittime, perché rientrano ancora in un concetto di male sopportabile.
Inoltre, se l’aspirazione dello Stato Islamico è seriamente quella d’invertire la status quo attuale, a favore di una forma di governo teocratica basata sulla Sharia, tutti i mezzi saranno leciti ed allettanti e di conseguenza l’azione di deterrenza dovrà essere incisiva e letale.
Esportare il caos e la distruzione in occidente, spacciandola per guerra santa, è la massima aspirazione cui lavora lo Stato Islamico.
L’indottrinamento è solo una facciata utile a motivare i guerriglieri, per questo scopo così complesso la deterrenza che si minaccia deve millantare l’annientamento sistematico del Califfato, anche attraverso l’uso di armi nucleari.
Abu Bakr al-Baghdadi è consapevole che questa minaccia è ben lontana dall’essere messa in pratica ma coloro che lavorano tatticamente a questa jihad potrebbero essere dissuase dal mettere in pratica azioni future.
L’indottrinamento estremista è funzionale allo scopo, i soggetti che ne sono abbindolati sono pronti a tutto per ottenere ciò per cui hanno sconvolto le loro vite.
Dopo la ribalta sulla scena mediatica del concetto di arma nucleare, lo Stato Islamico è stato velatamente informato che in caso di “attentato estremo” la ritorsione sarà totale.
Il Califfato dovrà da oggi in avanti, valutare attentamente che cosa è meglio per la sua sopravvivenza e per il mantenimento del suo potere sul lungo periodo.
al-Baghdadi e il suo seguito sono pronti a contrastare un attacco letale come quello nucleare? Difficilmente.
L’ultimo aspetto che dobbiamo tenere presente è la proporzionalità tra l’attentato e la rappresaglia.
Un aspetto difficile da definire in una condizione di grande asimmetricità come quello attuale.
Quando si progetto un attentato ( così come un’azione militare ) bisogna tenere bene a mente il guadagno che questo porterà alla nostra parte e allo svantaggio che arrecherà alla contro parte.
Nel nostro caso se il vantaggio che lo Stato Islamico otterrà da un’eventuale attentato di enorme portata sarà maggiore rispetto al pericolo di una rappresaglia nucleare allora si dovrà prendere in considerazione l’utilizzo preventivo di armi nucleari.
Attentanti coordinati a centri commerciali o luoghi di ritrovo festivi sono obbiettivi appaganti per i terroristi e molto lesivi per noi occidentali, il soft target è un problema da non sottovalutare nella lotta al terrorismo.
Così come per noi, il soft target dovrebbe essere ritenuto di grande rilevanza, così lo è per la controparte perché risulta maggiormente accessibile e considerato il periodo anche più appagante.
Una strategia che da oggi dovrà tenere conto anche della possibile ritorsione russa.
La deterrenza intrabellica e il dominio di quello che sarà lo sviluppo del conflitto è attualmente in mano al Cremlino, non resta che vedere quanto Al Baghadadi voglia giocare con il fuoco.