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L’ex inviato del Messaggero, Eric Salerno (86 anni), tutta una vita a coprire i principali eventi politici italiani e poi alla guida della redazione esteri del quotidiano di via del Tritone, ha spiegato a The Grayzone, un sito indipendente di giornalismo investigativo in lingua inglese, come l’Italia si sia assoggettata a diventare una “portaerei” congiunta tra Stati Uniti e Israele.
La conversazione di Eric Salerno del 5 ottobre scorso con i giornalisti di The Grayzone, Kit Klarenberg e Wyatt Reed, solleva interrogativi inquietanti sul ruolo di Israele nell’omicidio di Aldo Moro, ma già nel 2010 Salerno pubblicava in un suo libro intitolato “Base Mossad Italia” molti particolari della vicenda.
Per anni, riferisce Salerno, il Mossad israeliano ha monitorato e segretamente influenzato la fazione comunista armata delle Brigate Rosse. Il sequestro di Aldo Moro è avvenuto come si sa il 16 marzo 1978. Il suo omicidio risale al 9 maggio dello stesso anno.
Il giornalista ha dichiarato a The Grayzone che Moro era “una spina nel fianco” per le forze che cercavano di mantenere l’Italia saldamente ancorato al blocco filo-occidentale. Salerno ritiene che la politica estera italiana si sarebbe sviluppata diversamente se Moro fosse sopravvissuto: “Ecco di cosa avevano paura gli Stati Uniti”.
Moro fu rapito nel 1978 dalle Brigate Rosse con un’operazione diurna audace e altamente professionale che costò la vita a tutte e cinque le sue guardie del corpo. Fu giustiziato due mesi dopo. Il caso Moro rimane un capitolo profondamente inquietante degli Anni di Piombo. Per alcuni versi è stato un crimine con forti somiglianze con l’Operazione Gladio, quando la Cia, l’MI6 e la Nato addestrarono e diressero un esercito ombra di unità paramilitari in tutta Europa, attuando attacchi terroristici sotto falsa bandiera, rapine e omicidi volti a neutralizzare la sinistra socialista.
Moro, che fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e che animava l’ala progressista (morotea) più a sinistra del partito, avrebbe voluto stipulare il compromesso storico con il Partito Comunista Italiano. “Era qualcosa di cui una parte dell’establishment politico italiano aveva paura, persino nel suo stesso partito” osserva Salerno.
Questa parte del caso Moro è nota agli italiani, però Salerno ha documentato un aspetto meno conosciuto. Si tratta dell’accordo con i gruppi della resistenza palestinese mediato dall’ex presidente libico Muammar Gheddafi, che consentì all’Olp e ad altre formazioni di contrabbandare armi e far viaggiare i guerriglieri liberamente attraverso l’Italia, in cambio della garanzia di preservare la penisola dagli attentati. Quell’accordo è noto come “Lodo Moro”.
Si ritiene che il patto sia stato stipulato nel 1973, durante il mandato di Moro come ministro degli Esteri, quando l’Italia liberò segretamente un gruppo di combattenti palestinesi che cercavano di attaccare un aereo della compagnia aerea israeliana El Al in partenza dall’aeroporto di Roma Fiumicino. L’accordo fu spinto dal fatto che l’Italia voleva mantenere un certo livello d’indipendenza dal blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, per via di un embargo petrolifero dell’Opec in rappresaglia per il sostegno di Washington a Israele nella guerra arabo-israeliana del 1973.
Eric Salerno nell’intervista non afferma che il Mossad avesse ordinato direttamente il rapimento e l’esecuzione di Moro, ma dichiara a The Grayzone: “Credo che la loro idea fosse: vediamo cosa succede, e se è necessario, e se pensiamo che sia il momento giusto, possiamo dare una mano in un modo o nell’altro”.
Il Lodo Moro ha protetto l’Italia per decenni dalla violenza che colpiva altre nazioni del Mediterraneo. Ma a un certo punto la violenza si è abbattuta anche sulla vita di Aldo Moro.
Nel libro di Eric Salerno, Base Mossad Italia, scorre una cronaca completa dello stretto e continuo rapporto tra l’intelligence israeliana e la leadership politica italiana. L’autore illustra come l’alleanza segreta tra Israele e Italia precedesse la creazione dello Stato di Israele nel maggio 1948, con Roma che forniva supporto occulto a milizie sioniste come l’Haganah (organizzazione paramilitare ebraica in Palestina).
Individui affiliati a Mussolini e neofascisti all’interno dell’apparato di sicurezza italiano del dopoguerra fornirono a Israele armi e addestramento per schiacciare la resistenza palestinese e sostenere la loro campagna di pulizia etnica.
“Gli israeliani non volevano che Roma diventasse un satellite dell’Unione Sovietica e gli Stati Uniti avevano la stessa posizione. Il Paese era essenzialmente la prima linea dell’Occidente contro il blocco orientale”, spiega Salerno a The Grayzone. “L’Italia confinava con la Jugoslavia, non era lontana dalle nazioni del Patto di Varsavia e il sostegno al comunismo e all’Unione Sovietica era forte dopo la Seconda Guerra Mondiale. Era anche una sorta di portaerei nel Mediterraneo, da cui la gente atterrava e partiva per altri luoghi.”
Con circa 8 mila chilometri di costa e solo 145 chilometri che separano la Sicilia dalla Tunisia, l’Italia è stata spesso descritta come la guardiana del Mar Mediterraneo.
Salerno conclude che ogni amministrazione italiana dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti ha segretamente aiutato il Mossad e l’intelligence militare israeliana per i motivi che abbiamo già spiegato. Yossi Melman, scrittore ed ex giornalista di Haaretz, esperto d’intelligence, ha osservato: “Gli agenti dello spionaggio israeliano confermano che i servizi segreti italiani sono tra i più amichevoli al mondo nei confronti delle loro controparti israeliane”.
Eric Salerno rivela nel suo libro, sorprendente mai tradotto in inglese, che Tel Aviv affidò all’intelligence italiana la conduzione di “missioni estremamente riservate” per suo conto.
A fine 1973 cinque membri del gruppo militante palestinese Settembre Nero furono arrestati grazie a una soffiata del Mossad, che sosteneva che si stessero preparando ad abbattere un aereo di linea israeliano nel più grande aeroporto di Roma con missili terra-aria. Tuttavia, Moro ne organizzò il rilascio un mese dopo, per poi deportarli in Libia.
I membri di Settembre Nero giunsero inizialmente a Malta su un aereo da trasporto italiano noto come Argo 16, che veniva utilizzato abitualmente per trasportare gli agenti dell’Operazione Gladio in una base di addestramento segreta in Sardegna e consegnare armi della Cia/MI6 a depositi segreti sparsi in tutto il Paese. Quando il Mossad si rese conto che quei palestinesi erano stati liberati, si infastidì molto, secondo l’allora capo del controspionaggio romano, Ambrogio Viviani. Il 23 novembre 1973, l’Argo 16 si schiantò poco dopo il decollo dall’aeroporto di Venezia. L’intero equipaggio rimase ucciso.
L’indagine iniziale concluse che fu un incidente, ma il caso fu riaperto dalla Procura di Venezia nel 1986, ma anche quell’indagine vacillò. Tuttavia il giudice che sovrintendeva al caso, Carlo Mastelloni, disse a Eric Salerno che non c’erano dubbi sul fatto che l’abbattimento dell’aereo fosse stato voluto.
Il sabotaggio dell’Argo 16 non fu solo una ritorsione per il rilascio dei palestinesi arrestati. Fu un avvertimento sulle concessioni dell’Italia ai “nemici di Tel Aviv”, affermò il giudice Mastelloni.
Argo 16 non fu l’unico incidente mortale avvenuto durante gli Anni di Piombo in Italia che sembrava portare l’impronta del Mossad. Quando una granata a mano fu lanciata contro la questura di Milano nel maggio 1973, uccidendo quattro civili e ferendone 45, il colpevole si presentò come un anarchico dopo essere stato immediatamente arrestato. Tuttavia, indagini successive rivelarono che l’autore, Gianfranco Bertoli, era un informatore di lunga data dell’intelligence militare italiana, nonché membro di numerose organizzazioni neofasciste, tra cui Ordine Nuovo, legato a Gladio.
Bertoli aveva trascorso i due anni precedenti l’attacco abitando a intermittenza nel kibbutz Karmiya in Israele, che ospitava spesso rappresentanti della fazione francese di estrema destra Jeune Révolution, mantenendo al contempo i contatti con l’intelligence francese.
Salerno quindi si chiede: “Il Mossad faceva parte della strategia della tensione?”. Ma questa fu la conclusione a cui giunse il magistrato Ferdinando Imposimato, che supervisionò i primi processi delle Brigate Rosse per l’omicidio Moro.
“Bisogna riconoscere che i servizi segreti israeliani avevano una perfetta conoscenza del fenomeno eversivo italiano fin dal suo inizio, impegnandosi in esso con un costante supporto ideologico e materiale”, osservava Imposimato nel 1983. “Il Mossad aveva deciso di trasferire il conflitto mediorientale in Italia”, concluse, “spinto dall’obiettivo di destabilizzazione politica e sociale”.
Lo scopo di Israele era “indurre l’America a vedere Israele come l’unico punto di riferimento alleato nel Mediterraneo e ottenere così un maggiore sostegno politico e militare”, aggiunse. Durante la sua testimonianza (marzo 1999) a un’inchiesta parlamentare sul terrorismo in Italia, il brigatista rosso Alberto Franceschini dichiarò che il gruppo era stato contattato dal Mossad tramite un intermediario dopo il rapimento da parte delle Brigate Rosse di un magistrato di nome Mario Sossi nell’aprile del 1974. Secondo Franceschini, il Mossad fece una proposta per finanziare il suo gruppo, affermando che, anziché cercare di controllare le Brigate Rosse, Israele voleva solo garantire che il gruppo continuasse a operare: “Non vogliamo dirvi cosa dovete fare. Quello che fate ci sta bene. Ci importa che esistiate. Il fatto stesso che esistiate, qualsiasi cosa facciate, ci sta bene”.
Franceschini ha poi osservato: “Dal punto di vista delle relazioni americane, più l’Italia era destabilizzata, più diventava inaffidabile, e più Israele diventava un paese affidabile per tutte le politiche mediterranee dal punto di vista di Washington”. Negli ultimi anni della sua vita, Franceschini rivelò che Israele “offrì armi e assistenza” alle Brigate Rosse: “Il loro obiettivo dichiarato era destabilizzare l’Italia”, affermò.
Salerno ha detto a The Grayzone che “In una delle sue ultime interviste, Franceschini ha confermato a un mio collega del Corriere della Sera che il Mossad era in contatto fin dall’inizio con le Brigate Rosse”. Interazioni che il giornalista sottolinea essere “del tutto normali nel modo in cui il Mossad agiva con ogni tipo di organizzazioni sovversive in tutta Europa”.
L’idea di un potenziale coinvolgimento israeliano nel complotto contro Moro, o nell’ostacolare gli sforzi per risolverlo pacificamente, è rafforzata dalle dichiarazioni di diversi politici italiani, che indicano anche come Israele abbia “cofinanziato e influenzato il gruppo che si è attribuito il merito dell’uccisione di Moro”. Queste rivelazioni sono state finora universalmente ignorate dai principali media in lingua inglese.
Nel luglio 1998, Giuseppe De Gori, un avvocato che aveva rappresentato la Democrazia Cristiana in numerosi processi relativi al caso Moro, dichiarò a una commissione parlamentare sul terrorismo che il Mossad “aveva sempre controllato” le Brigate Rosse, senza infiltrarsi formalmente nel gruppo. Raccontò come nel 1973 un maggiore e un colonnello del Mossad si presentarono al gruppo, smascherando gli infiltrati tra le loro fila e offrendo “armi e tutto ciò che volevano, purché perseguissero una politica diversa”.
Da quel momento in poi fu chiaro che il Mossad “teneva d’occhio la fazione militante”. De Gori testimoniò che l’intelligence israeliana “odiava” Moro, considerato antisionista, e iniziò a sfruttare la capacità di “scambiare “informazioni con le Brigate Rosse, che avrebbero potuto influenzarne le azioni. De Gori insinuò persino che la decisione del gruppo di uccidere Moro, dopo quasi due mesi di prigionia, fosse il risultato di un intervento indiretto da parte di Israele. Mentre il governo italiano rifiutava qualsiasi trattativa con i suoi rapitori, in un incontro privato l’8 maggio 1978, elementi della Democrazia Cristiana proposero di mediare autonomamente un accordo per garantire la liberazione di Moro.
“Moro fu ucciso subito dopo, quindi qualcuno deve essere stato lì a riferire questa notizia” testimoniò De Gori.
Nel 2002, l’avvocato raccontò allo scrittore Philip Willan che il Mossad rese l’esecuzione di Moro un fatto compiuto, ingaggiando un abile falsario per falsificare una lettera delle Brigate Rosse alle autorità a metà aprile del 1978. Il comunicato affermava che lo statista era già morto. “Dopo di che… Moro non poteva più essere salvato” spiegò De Gori.
Ma De Gori non è l’unica fonte ad accusare il Mossad della morte di Moro. Nel maggio 2007, Giovanni Galloni, ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura italiana, dichiarò coraggiosamente che “non tutti i partecipanti” al rapimento del premier erano membri delle Brigate Rosse. Questa conclusione è stata indotta dal fatto che le guardie del corpo di Moro furono giustiziate con “solo due armi, usate da uomini eccezionalmente esperti”. Oltre a non essere mai stati identificati, questi assassini dimostrarono un livello di abilità nel tiro che nessun agente delle Brigate Rosse sembrava possedere.
Galloni insinuò che gli assassini fossero stati assoldati da Washington oppure da Tel Aviv. Rivelò che “pochi mesi prima della sua cattura”, Moro gli confidò di essere preoccupato che i servizi segreti statunitensi e israeliani “si fossero infiltrati nelle Brigate Rosse”. Moro lo riferì all’ambasciatore statunitense in Italia, provocando una smentita ambigua da parte del Dipartimento di Stato, secondo cui Washington aveva sempre detto all’intelligence italiana “tutto ciò che sapevamo”.
Galloni chiese: “Quali servizi segreti? Quelli veri o quelli che erano nelle loro mani?”. Si riferiva al parallelo nesso di spionaggio e terrorismo anglo-americano a Roma noto come Operazione Gladio.
Ulteriori prove del ruolo di Israele nell’omicidio di Moro si possono trovare nella testimonianza resa a una commissione parlamentare italiana nel giugno 2017 da un ex magistrato di nome Luigi Carli.
Carli affermò che le Brigate Rosse erano state “cofinanziate” dal Mossad.
Quando gli fu chiesto perché Israele avrebbe dovuto sovvenzionare una fazione comunista armata in Italia, Carli affermò che diversi ex collaboratori delle Brigate Rosse gli avevano detto che il Mossad aveva accettato di “occuparsi del cofinanziamento delle Brigate Rosse”.
Qualsiasi sforzo che finisse per “indebolire, o contribuire a indebolire, la situazione interna dell’Italia avrebbe accresciuto il prestigio e l’autorità di Israele” nel Mediterraneo”, ha testimoniato Carli.
Interviste all’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, pubblicate dal Bollettino di Politica Italiana in seguito alla sua morte nell’agosto 2010, hanno fatto ulteriore luce sulle motivazioni del Mossad per l’assassinio di Moro e per aver preso di mira Roma con attentati sotto falsa bandiera che hanno causato un numero enorme di vittime.
Cossiga è stato il primo politico italiano a riconoscere l’esistenza del Lodo Moro ed ha affermato che gli Stati Uniti erano a conoscenza dell’accordo, mentre lui stesso e gran parte della classe politica italiana erano all’oscuro.
Cossiga ha ricordato anche che, mentre era primo ministro, nel novembre 1979, la polizia di una città costiera intercettò un camion che trasportava un missile terra-aria. Successivamente ricevette un telegramma dal capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, George Habbash, che ammetteva la proprietà del missile e rassicurava il premier italiano sul fatto che non era destinato ad essere usato in Italia. Habbash chiese quindi la restituzione dell’arma e il rilascio dell’autista.
Habbash avvertì che qualsiasi inadempimento avrebbe rappresentato una violazione dell’accordo” del FPLP con Roma. “Nessuno poteva dirmi cosa significasse questa parte”, insistette Cossiga, perché solo molti anni dopo venne a conoscenza del Lodo Moro.
Al momento degli interrogatori di Cossiga, lo Stato italiano riaprì le indagini sull’attentato dinamitardo dell’agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna Centrale, che uccise 85 persone e ne ferì oltre 200. L’inchiesta portò a condanne in contumacia per membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un gruppo neofascista legato a Gladio. Diversi sospettati principali, tra cui un agente confermato dell’MI6 di nome Robert Fiore, fuggirono a Londra, dove la Gran Bretagna si rifiutò di estradarli.
Una delle possibilità esplorate dall’inchiesta era se l’attentato di Bologna fosse stato “effettuato dagli Stati Uniti o da Israele per punire l’Italia per la sua posizione filo-araba”. Dopo aver a lungo lamentato il fatto che Roma “non abbia mai avuto veramente spazio per una propria politica estera” a causa della sua subordinazione agli interessi statunitensi, Cossiga ha riconosciuto che l’Italia “ha perseguito un’agenda nazionale” in Medio Oriente e “si è presa certe libertà nei confronti del mondo arabo e di Israele”.
“La gente dimentica che la Democrazia Cristiana è sempre stata un partito filo-arabo”, ha affermato Cossiga, riferendosi specificamente a Moro, ma anche a Giulio Andreotti, che smascherò l’Operazione Gladio nell’ottobre del 1990. Cossiga ha affermato che “Andreotti ha sempre creduto, anche se non l’ha mai detto, che gli Stati Uniti gli abbiano causato problemi giudiziari per le sue simpatie arabe”.
Sebbene Salerno contesti la descrizione di Andreotti come filo-arabo, descrivendolo invece come “a favore dei diritti degli arabi”, ha dichiarato a The Grayzone che Andreotti una volta gli dichiarò personalmente: “Se fossi nato a Gaza, sarei un terrorista”.
Quando le Brigate Rosse rapirono il politico democristiano Ciro Cirillo nell’aprile del 1981, le autorità italiane negoziarono direttamente con i suoi rapitori, pagando un riscatto per la sua liberazione. A dicembre, quando le Brigate Rosse rapirono il generale statunitense James Dozier, questi fu “localizzato e liberato in un blitz” da una task force congiunta italo-americana.
L’ex generale italiano Roberto Jucci contrappose il trattamento riservato a Dozier a quello riservato a Moro in un’intervista del 2024. “Volevano liberare uno dei due. Ho i miei dubbi sull’altro”, affermò.
Jucci era in grado di giudicare, essendo stato incaricato di addestrare una squadra di forze speciali in una base in Toscana, destinata a salvare il primo ministro rapito. Oggi però ritiene che “il vero obiettivo fosse togliermi di mezzo” e assicurarsi che Moro non venisse mai trovato. Non ci furono retate durante i suoi 55 giorni di prigionia.
Jucci ha dichiarato a La Repubblica che il comitato formale per il salvataggio di Moro era stato “consigliato da un uomo inviato dagli Stati Uniti” ed era “composto in gran parte” da rappresentanti della loggia massonica P2, affiliata a Gladio. Questi individui “volevano che le cose andassero diversamente da quanto tutte le persone oneste chiedevano” e desideravano che Moro “venisse distrutto politicamente e fisicamente”.
Se Moro fosse sopravvissuto, “la politica italiana si sarebbe sviluppata diversamente”.
Documenti declassificati del Ministero della Difesa britannico risalenti al novembre 1990 mostrano che i funzionari di Londra erano ben consapevoli del ruolo svolto dalla P2 nel sabotare gli sforzi ufficiali per salvare Moro. La loggia massonica è stata descritta come una delle forze sovversive di Roma, che impiegava “terrorismo e violenza di piazza per provocare una reazione repressiva contro le istituzioni democratiche italiane”. Tali documenti evidenziano inoltre che “prove circostanziali” indicavano che “uno o più dei rapitori di Moro erano segretamente in contatto” con “l’apparato di sicurezza” italiano e che gli investigatori “hanno deliberatamente trascurato di seguire le piste che avrebbero potuto condurre ai rapitori e salvare la vita di Moro”.
Oggi, c’è poca traccia di tendenze filo-arabe nella politica italiana mainstream. Secondo Salerno, gli Stati Uniti e Israele non hanno più bisogno di “destabilizzare l’Italia” poiché il paese è economicamente debole.
Nel novembre 2024 è stato rivelato che il Mossad aveva impiegato un’agenzia di intelligence italiana privata per prendere di mira Giorgia Meloni e i suoi ministri.
Ancora oggi il Mossad continua a svolgere operazioni in Italia. Il rapporto tra intelligence italo-israeliana è stato recentemente evidenziato da un bizzarro incidente nel maggio 2023, in cui una imbarcazione si è capovolta nel Lago Maggiore, uccidendo quattro persone tra le 23 a bordo. Sebbene i media tradizionali abbiano inizialmente inquadrato il caso come un tragico incidente durante una festa di compleanno, è diventato subito chiaro che tutti i passeggeri dell’imbarcazione, tranne il capitano e sua moglie, erano spie israeliane e italiane.
I dieci israeliani sopravvissuti furono riportati frettolosamente a Tel Aviv a bordo di un aereo militare prima di poter essere interrogati dalla polizia, con il benestare delle autorità italiane. Successive indagini suggerirono che il raduno fosse un’operazione congiunta di intelligence sulle “capacità iraniane in materia di armi non convenzionali”, volta a sorvegliare l’industria locale o i ricchi russi residenti nelle vicinanze, sospettati di aver aiutato Mosca a ottenere droni da Teheran.
Un elogio funebre per la spia israeliana deceduta, che i media italiani hanno identificato come Erez Shimoni, fu pronunciato personalmente dal direttore del Mossad David Barnea, il che lascia fortemente supporre che si trattasse di una figura di spicco dell’agenzia di intelligence. Sebbene il capitano della nave sia stato successivamente condannato per omicidio colposo, la polizia militare italiana annunciò immediatamente che non avrebbe indagato sulle attività delle spie a bordo.












