Il Sangiaccato come fattore potenzialmente destabilizzante dei Balcani occidentali

di Armando Donninelli

Il Sangiaccato è una regione dei Balcani occidentali divisa tra Serbia e Montenegro, a nord confina con la Bosnia Erzegovina e a sud con il Kosovo. Deve il suo nome e la sua delimitazione alla suddivisione amministrativa stabilita dall’Impero Ottomano, la quale prevedeva il Sangiaccato di Novi Pazar, con una durata che si protrae fino alle guerre balcaniche del 1912.
Secondo l’ultimo censimento in grado di determinare con una certa precisione la composizione etnica della regione, vale a dire quello del 2011, nella regione sono residenti complessivamente 385mila persone, di queste il 49% di etnia bosniaca, il 33,5% di etnia serba. Dei 385mila residenti nella regione circa i 2/3 sono concentrati nella zona controllata dalla Serbia, le percentuali indicate sopra relative all’etnia sono piuttosto simili, tanto nel Sangiaccato serbo come in quello montenegrino.
Storicamente è una regione ricca di tensioni, nel periodo tra le due guerre mondiali governo centrale condusse una politica pesantemente discriminatoria nei confronti dei bosniaci, ciò in parte si attenuò con l’avvento del regime comunista, anche se erano poste notevoli limitazioni alla libertà di professare la loro fede islamica. Ma è successivamente al crollo della Jugoslavia che la situazione precipita, difatti le autorità di Belgrado temevano l’irredentismo del neonato stato indipendente della Bosnia Erzegovina e nel 1992, allo scoppio della guerra, iniziarono le violenze organizzate dal regime di Milosevic.
Secondo un rapporto presentato nel 2003 da Amnesty International, furono migliaia i residenti della regione di etnia bosniaca ad essere condotti nelle stazioni di polizia per essere pesantemente picchiati, questo solo per il sospetto che volessero in qualche collaborare con le forze bosniache. Ciò ha creato un forte risentimento, anche perché gli autori di queste violenze gratuite non furono, nella grande maggioranza dei casi, puniti.
A seguito della caduta del regime di Milosevic i diritti dei bosniaci della regione furono garantiti con maggior forza e anche le precedenti limitazioni alla possibilità di organizzarsi politicamente furono rimosse. A questo punto però emerse un altro problema, vale a dire il radicamento sempre più forte nella regione della ultraconservatrice dottrina islamica del Wahhabismo, ciò determinò una serie di episodi di crescente gravità legati all’estremismo islamico.
Nel 2006 un campo di addestramento per militanti islamici, con armi, bombe e materiale inneggiante alla jhiad, venne scoperto a 30 km dalla principale città della regione, Novi Pazar. Nel 2007 la polizia serba uccise in un conflitto a fuoco Ismail Prentic, un importante leader del radicalismo islamico locale sospettato di attività eversive. A dimostrazione del deteriorarsi della situazione, nel 2009 furono condannate 16 persone, tutte aderenti al Wahhabismo, per la preparazione di attentati a Novi Pazar e Belgrado.
Certamente è nel Sangiaccato serbo che il radicalismo islamico ha messo radici più profonde mentre nella parte controllata dal Montenegro, divenuto indipendente nel 2006, si è riusciti in parte ad evitare questo pericolo tramite un attento controllo da parte delle autorità e un dialogo che si è rivelato proficuo con la locale comunità islamica.
La Serbia, per cercare di aiutare la propria fragile economia ha favorito l’arrivo di investimenti provenienti dai paesi arabi del Golfo Persico, in particolare dell’Arabia Saudita che, oltre a finanziare le attività della comunità wahhabita nel Sangiaccato, ospita anche studenti provenienti da quella regione nelle proprie Università.
La pericolosità della situazione è emersa con grande chiarezza nel corso dei conflitti scatenati in Medio Oriente dall’ISIS. Dal Sangiaccato sono partite 53 persone per combattere al fianco dello Stato Islamico, ciò significa, in rapporto alla popolazione di fede musulmana, il numero maggiore di foreign fighters, assieme alla Macedonia del Nord, di tutti i Balcani.
Sono soprattutto i giovani a cercare rifugio nel radicalismo religioso, ciò in un contesto caratterizzato da forti tensioni interetniche e in cui l’Islam diviene un elemento d’identità e di contrapposizione alla comunità serba. In base ad una ricerca effettuate nel 2016 tra i giovani mussulmani del Sangiaccato dal Comitato di Helsinki per i Diritti Umani è emerso che circa il 20% degli intervistati considera la violenza in nome della religione come un qualcosa che si può giustificare.
Le forze di sicurezza serbe ritengono che siano circa un migliaio gli estremisti islamici potenzialmente pericolosi, sono concentrati nei maggiori centri della regione, vale a dire Novi Pazar, Sjenica e Tutin.
Ma la questione religiosa è solo uno dei problemi che rende il Sangiaccato un’area potenzialmente destabilizzante dei Balcani occidentali.
I politici bosniaci del Sangiaccato serbo, anche se divisi in vari partiti contrapposti da aspre rivalità, sono concordi nel domandare per la loro regione uno statuto che garantisca una reale autonomia. Difatti mentre vi sono disposizioni specifiche che consentono l’ingresso di persone di etnia bosniaca nel parlamento e nel governo centrale, a livello locale non viene riconosciuta una vera e propria autonomia. Le istituzioni di Belgrado sono però molto restie a concedere forme di organizzazione autonoma, ciò in quanto temono che la locale comunità bosniaca possa un domani cercare di unirsi con la madre patria. Quest’ultimo, del resto, è il desiderio di molti, tanto nel Sangiaccato serbo come in Bosnia Erzegovina.
Questa situazione viene resa più complicata dalle tendenze secessioniste che stanno emergendo con sempre maggiore forza nella Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina la quale, in tale sua condotta, viene certamente appoggiata da Belgrado e probabilmente anche da Mosca. Se in futuro la situazione in Bosnia Erzegovina dovesse arrivare allo scontro armato, cosa da non escludere visti precedenti degli anni 90, conseguenze si potrebbero avere anche nel Sangiaccato serbo ove la convivenza tra bosniaci e serbi non è certo delle migliori.
Nella porzione di Sangiaccato controllato dal Montenegro la situazione è complessivamente più tranquilla, tuttavia anche qui emergono periodicamente dei problemi legati alla convivenza tra Bosniaci e Serbi. Basti pensare che nel 2020 a seguito dell’ottimo risultato elettorale ottenuto dal partito filo serbo Fronte Democratico, si sono verificate violenze e minacce nei confronti di membri della locale comunità bosniaca.
Anche dal punto di vista diplomatico il Sangiaccato costituisce un elemento di destabilizzazione nei rapporti tra Bosnia Erzegovina e Serbia, ciò con accuse reciproche riguardo i problemi della convivenza e del rispetto dei diritti della comunità bosniaca. Meno tese sono le relazioni i tra i due citati paesi e il Montenegro, in relazione alla parte di Sangiaccato sotto il controllo di Podgorica, ma periodicamente anche qui emergono degli aspetti problematici.
La situazione viene ulteriormente complicata dal ruolo assunto dalla Turchia nella regione, Ankara ha difatti realizzato, in particolare nella zona serba, consistenti investimenti tramite la TIKA, la sua organizzazione umanitaria. Ciò ha fatto si che la Turchia e i suoi governanti godano oggi di grande popolarità tra la popolazione di etnia bosniaca, come del resto hanno rilevato recenti studi. Questo è anche da attribuire al fatto che tale comunità veda nella Turchia un protettore dei propri diritti, molto più potente della vicina ma debole Bosnia Erzegovina.
L’aspetto problematico, specie se visto in prospettiva, è il fatto che l’attuale classe dirigente turca stia perseguendo, in particolare nei Balcani, un progetto diretto a restaurare almeno una parte dell’antica influenza che aveva nella regione l’Impero Ottomano. Fino ad oggi la Serbia ha sempre concesso ampia libertà alla Turchia nella propria attività di penetrazione nel Sangiaccato posto sotto il suo controllo, complici anche i buoni rapporti personali tra i propri leader, Vucic e Erdogan. Non è comunque da escludere che in futuro tale regione possa essere motivo di forte attrito tra Belgrado ed Ankara, ciò tenendo conto appunto della locale popolazione Bosniaca e delle ambizioni turche.
Il radicalismo islamico del Sangiaccato già in passato è risultato collegato con l’estremismo religioso del Kosovo, ciò cooperando all’addestramento e alla fornitura di armi, tutto ciò in un misto di nazionalismo e di integralismo religioso in cui le vittime finali dovevano essere i residenti serbi del Kosovo. Anche se questa cooperazione materiale è stata per fortuna interrotta dall’azione delle forze di sicurezza, il legame tra i due gruppi permane e potrebbe tornare a presentarsi minaccioso per la sicurezza in un prossimo futuro, specie se la complicata questione del Kosovo non dovesse essere risolta.
La convivenza attuale tra serbi e bosniaci nel Sangiaccato non è certo delle migliori, non è raro che i nazionalisti serbi evochino tramite la gran cassa dei social media l’odio interetnico e i massacri della guerra in Bosnia Erzegovina. Secondo Sonja Biserko, presidente del Comitato di Helsinki per i Diritti Umani in Serbia, l’attuale contrapposizione tra le due comunità è la conseguenza di una propaganda durata in Serbia per molti anni secondo cui il Sangiaccato farebbe parte della Dorsale Verde, vale a dire una rete incentrata sull’estremismo islamico che comprenderebbe anche la Bosnia Erzegovina, il Kosovo, la Macedonia del Nord e la Turchia.
Il Sangiaccato è certamente un concentrato dei problemi che, anche se in misura diversa, affliggono i paesi dei Balcani occidentali, vale a dire nazionalismo, estremismo religioso, ingerenze di potenze straniere e odio interetnico. Tali questioni, anche in relazione a ciò che avviene nel Sangiaccato, rischiano di destabilizzare i paesi dei Balcani occidentali ed allontanarli ancora di più dalla UE in cui, un giorno, sperano di entrare.