Iran. Tensioni e sotterfugi per chi prenderà il posto di Khamenei

di Dario Rivolta *

È passato poco più di un anno dal maggio 2018 quando il presidente americano Donald Trump ritirò unilateralmente il suo Paese dall’accordo JPCOA, firmato dai cinque membri del Consiglio di sicurezza ONU più la Germania, con l’Iran. Oltre a rimettere in vigore le sanzioni e istituirne di nuove, gli USA hanno dichiarato che tutti gli Stati che non avessero aderito alla loro volontà sanzionatoria sarebbero stati, essi stessi e le imprese che lo facevano, oggetto di ritorsione. Soprattutto queste “sanzioni secondarie” hanno di fatto congelato quasi tutti i rapporti economici che avevano cominciato a svilupparsi con Teheran dopo la firma dell’accordo. L’impossibilità di vendere petrolio e di avere accesso al sistema dei pagamenti internazionali ha portato l’economia iraniana in una situazione di pesanti difficoltà. I prezzi di tutti i beni d’ importazione sono cresciuti vertiginosamente, la valuta locale ha subito una pesante svalutazione e il prezzo degli immobili, dopo un primo iniziale crollo, è ripartito a razzo, essendo diventate le case l’unico bene rifugio per chi aveva liquidità.
La grave situazione economica ha ridato slancio ai conflitti interni al “Paese del Pavone” e gli equilibri tra “conservatori” e “moderati/riformisti” ha ripreso fiato. Immediatamente dopo la firma dell’accordo i riformisti (che hanno nel presidente Hassan Rohani la loro attuale bandiera) sembravano esserne usciti vincitori, forti di un sostegno popolare che intravedeva diffusi benefici per tutti dal reingresso dell’Iran nel consesso internazionale. La denuncia dell’accordo da parte americana e la timidità, di là dalle intenzioni dichiarate, di tutti gli altri Paesi (in primis l’Europa) ha rafforzato invece i conservatori e, soprattutto, le Guardie Rivoluzionarie che, oltre ad un forte potere militare, posseggono una pervasiva influenza sull’insieme dell’economia.
Per ora la battaglia interna non ha ancora visto un definitivo vincitore, ma la vera partita è già cominciata e si giocherà sul nome di chi sarà il sostituto dell’ayatollah Khamenei come Guida suprema. Tale posizione è, all’interno della parziale democrazia iraniana, di gran lunga la più rilevante poiché le sue competenze formali ed informali sono enormi a partire dal definire le linee della politica estera.
L’elezione della Guida suprema è attribuita all’Assemblea degli Esperti che, rinnovata ogni otto anni, decide chi ha titoli sufficienti per poter essere nominato in quella posizione. Gli stessi membri di questa assemblea sono a loro volta eletti tra tutti quei candidati che si presentano e non sono squalificati dal Consiglio dei guardiani. L’attuale Assemblea degli Esperti è stata eletta nel 2017 e rimarrà in carica fino al 2025. Per dare un’idea di chi può entrare a farne parte e dove il potere sta, almeno in questo caso, occorre ricordare che per essere membri di quella attuale si presentarono nel 2016 801 candidati ma il Consiglio dei guardiani ne approvò soltanto 166. Tutte le donne furono squalificate e soltanto uno degli ammessi non era un clerico. Anche tra gli stessi clerici la scelta dei Guardiani fu quella di escludere la maggior parte di coloro che venivano supposti appartenere all’area “riformista”, e tra loro c’era anche il nipote del Grande Ayatollah Khomeini. Le motivazioni per le esclusioni furono formalmente dovute alla mancanza di sufficienti credenziali islamiche. Nonostante ciò a Teheran vinse la maggioranza di “riformisti” e l’ultra conservatore ayatollah Ahmad Janati risultò soltanto l’ultimo degli eletti. Apparentemente l’attuale assemblea dovrebbe quindi vedere al proprio interno una maggioranza di moderati, ma se così fosse non si spiegherebbe perché quale presidente sia stato scelto proprio Janati che, guarda caso, è anche a capo del Consiglio dei Guardiani. Sarebbero eleggibili soltanto clerici di alto livello in quanto a conoscenze religiose e teoricamente potrebbero diventarlo anche ulema di fede sunnita.
Sebbene spetti proprio a loro giudicare successivamente la qualifica dei propri membri, il Consiglio dei Guardiani potrebbe contestare le loro competenze personali.
L’assemblea si dota di un Consiglio direttivo e di alcune commissioni con specifiche competenze. I membri del primo ne fanno parte per soli due anni e poi si procede a una rotazione non prefissata. Le commissioni più importanti sono, oltre al direttivo, la Commissione del Pensiero, che si occupa di approfondire le linee guida del pensiero islamico, e quelle dette “Dell’articolo 111” e “Degli articoli 107 e 109”. La prima “supervisiona” il comportamento della Guida Suprema, valuta candidati per succedergli e può deciderne la rimozione nel caso egli perda le qualifiche necessarie. La seconda invece decide in cosa queste qualifiche debbano consistere. Esattamente la Guida Suprema deve:
a) essere uno studioso del Corano e avere cultura scolastico-religiosa sufficiente per emettere “Fatwa”,
b) possedere il giusto senso della pietà e della giustizia necessari per guidare la comunità,
c) avere una corretta (?) visione politica e sociale,
d) essere dotato di prudenza, coraggio, alta capacità di amministrare e carisma personale.
A capo di tutte queste commissioni (eccetto la “107-109”) siede “casualmente” sempre lo stesso Janati (di anni 91). Sembrerebbe quindi evidente che, di là dall’appartenenza al fronte riformista dichiarata dalla maggior parte degli eletti, l’assemblea sia in qualche modo sotto l’egemonia dei conservatori.
Fin qui le competenze e le procedure. Si sa però che anche nelle democrazie le regole sono applicate soltanto quando conviene e su chi non ha la sufficiente forza politica per opporvisi. L’Iran non fa eccezione.
Due esempi eclatanti.
Il primo: durante la permanenza al potere della Guida suprema Khamenei, l’Assemblea degli Esperti selezionò chi aveva i titoli per diventarne il successore e lo identificò nell’ayatollah Montazeri. Costui, clerico di alto livello intellettuale, aveva manifestato pubblicamente il suo dissenso verso la decisione di Khamenei di far uccidere molti oppositori al suo regime anche senza formale processo e ciò lo pose in urto con i clerici più conservatori e spregiudicati. Nonostante la sua designazione fosse ufficiale e già definitiva, un gruppo guidato da Rafsanjani e appoggiato dallo stesso Khomeini fece arrestare il genero dell’ayatollah, Seyed Mehdi Hashemi, con l’accusa di attività terroristiche. Ci fu poi una lettera della Guida suprema che giudicava Montazeri “ineleggibile” e, due giorni dopo, lo stesso Montazeri fu costretto a dimettersi, rinunciando al futuro incarico. Fu sempre Rafsanjani a pilotare la designazione di Khamenei, già presidente della Repubblica Islamica, e la nomina avvenne subito dopo la morte della prima guida. Le modalità di quell’elezione rimasero segrete, ma un video abusivo (https://iranwire.com/en/features/5092), rilasciato in seguito da fonti sconosciute, mostra che lo stesso Khamenei si rendesse conto di non avere i titoli necessari per quella carica. Lui stesso infatti dichiarò (a porte chiuse) che “A parte il fatto che io in verità non merito di occupare una tale posizione, installarmi come responsabile crea dei problemi tecnici. (La mia) leadership sarebbe formale (solo sulla carta), non reale. Ebbene, secondo la Costituzione io non sono qualificato per l’incarico e, da un punto di vista religioso, molti di voi non accetterebbero le mie parole come quelle di un leader. Che razza di leadership sarebbe la mia?”.
Comunque sia, l’assemblea lo scelse e lui accettò dimostrando poi di saper gestire il potere tanto bene da eliminare uno dopo l’altro tutti i suoi avversari. Va notato però che il Gran clerico di Qom, una delle importanti città sante, non benedì mai quella nomina.
Il secondo: anni dopo quel fatto ed esattamente nel 2009 si verificò la rottura tra Rafsanjani e Khamenei. Quest’ultimo sostenne Ahmadinejad per la sua elezione a presidente mentre l’altro parteggiava per i “riformisti”. Rafsanjani, che nel frattempo era diventato il presidente dell’Assemblea degli Esperti, fu sfiduciato e sostituito con un conservatore di stretta fiducia della Guida suprema: l’ayatollah Mohammad Reza Mahadavi Kani. Secondo lo stesso Rafsanjani l’assemblea aveva già selezionato due possibili futuri successori di Khamenei ma, morto il Rafsanjani in circostanze dubbie nel 2018, sembrerebbe ora che quei nomi siano spariti.
Ad oggi è impossibile prevedere come e chi sarà la prossima Guida suprema poiché, come capisce chi conosce i complicatissimi equilibri iraniani, ad avere voce in capitolo non sono soltanto coloro che formalmente sarebbero deputati alla decisione, ma anche altre forze religiose e civili. Un tempo si parlava del “potere” del “Bazar”, ma oggi gran parte della forza economica è nelle mani delle Guardie Rivoluzionarie e di clerici a capo di ricchissime fondazioni benefiche. Oltre a loro, i vertici religiosi delle Città sante, i grandi funzionari della burocrazia pubblica e altri poteri informali possono interferire e magari perfino determinare la scelta.
Ciò che è sicuro è che, crisi economica permettendo, sarà proprio la futura guida (Khamenei è ottantenne e malato) a determinare quale atteggiamento assumerà l’Iran nei confronti delle sfide internazionali che oggi sta affrontando. Nessuno schieramento potrà mai decidere di rinunciare allo sviluppo di un sistema di missili balistici che, viste le povere condizioni dell’aviazione, resta l’unica attuale forza di difesa aerea del Paese. Tuttavia cosa fare nei confronti del nucleare e come comportarsi con il progetto di espansione egemonica nell’area potrebbe costituire una differenza importantissima.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.