La Cina e le ripercussioni della crisi ucraina. Intervista a Raimondo Neironi

a cura di Francesco Cirillo

In occasione della conferenza della NATO Defense College Foundation Game Changer, che si è tenuta a Roma, abbiamo incontrato Raimondo Neironi, Research Fellow, T.wai – Torino World Affairs Institute, con il quale abbiamo approfondito la crisi ucraina e le ripercussioni in Asia, in particolare su Singapore e il sud-est asiatico.

– Qual è il ruolo di Singapore nello scontro Cina-USA, e la sua importanza nella politica estera statunitense?
“Singapore gioca un ruolo importante all’interno della regione del sud-est asiatico e dell’ASEAN. Il presidente statunitense Joe Biden lo ha ricordato nell’incontro del 29 marzo alla Casa Bianca con il premier Lee Hsien Loong, sostenendo quanto sia fondamentale l’apporto della città-Stato alla salvaguardia dell’ordine internazionale basato sulle regole e dei principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, nonché alla stabilità della regione dell’indo-pacifico “aperta” e “libera”. Questi tre elementi sono i pilastri fondamentali della strategia statunitense per l’Indo-Pacifico. Riguardo alla situazione nel Sud-Est asiatico, pare che Biden consideri il Premier Lee come un importante interlocutore per la soluzione della delicata situazione politica in Myanmar nata all’indomani del colpo di stato del febbraio 2021.
Tuttavia, emerge il dilemma che riguarda buona parte dei Paesi dell’area Indo-Pacifica: come bilanciare le relazioni tra le due superpotenze? Nel caso di Singapore gli Stati Uniti sono il principale investitore nel Paese, nonché un fondamentale partner strategico con il quale ha rinnovato, nel 2019 un accordo sull’utilizzo dei militari statunitensi delle proprie basi militari. Contestualmente la Repubblica Popolare Cinese (RPC) è il principale partner commerciale del Paese. È bene ricordare che nel variegato quadro entico, linguistico e culturale singaporiano, i cittadini di discendenza cinese (in gran parte Hoklo) costituiscono quasi il 75% della popolazione totale. Il legame culturale e ancestrale con la Cina, in particolare, con le province meridionali, è solido.
Singapore, esattamente come gran parte dei Paesi dell’area ASEAN, non intende prendere posizione nella competizione tra gli Stati Uniti e la RPC: un’adesione alle istanze dell’uno o dell’altro attore regionale non solo metterebbe a repentaglio la stabilità e la pace nel Sud-Est asiatico, ma avrebbe anche ripercussioni inattese di carattere politico ed economico. Su questa questione, Singapore è stata molto chiara: il sud-est asiatico ha tutto da perdere nel contesto di deterioramento progressivo delle relazioni tra Washington e Pechino, pertanto il Sud-Est asiatico non dovrà diventare né uno “strumento” né una “leva” dello scontro, o addirittura il “terreno” di un conflitto “per procura”. Dal punto di vista del governo singaporiano dunque una sempre più accesa rivalità tra le due Superpotenze è tutto ciò di cui la regione vorrebbe fare a meno”
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– Come si muoverà la Cina nei prossimi anni nella zona del Sud-Est Asiatico e all’interno della comunità ASEAN?
“La diplomazia cinese continuerà a mettere in pratica un trittico che si è consolidato a partire dalla fine della Guerra Fredda: fare affari, mantenere buoni rapporti di vicinato, congelare o glissare temporaneamente sugli argomenti più spinosi che interessano la RPC e l’associazione. Il primo elemento di questa strategia prevede che la RPC continui a siglare nuovi accordi economici con i Paesi ASEAN, a finanziare investimenti nell’ambito sia dello sviluppo infrastrutturale delle economie della regione (soprattutto di quelle dell’area indocinese) sia del mega piano di sviluppo della Belt and Road Initiative, nel quale il sud-est asiatico gioca un ruolo rilevante nella prospettiva dei leader cinesi. L’ASEAN ha sorpassato l’UE come principale partner commerciale della Cina e, con l’entrata in vigore da quest’anno della Regional Comprehensive and Economic Partnership, sia il commercio bilaterale di beni e servizi sia gli investimenti esteri diretti dovrebbero conoscere un nuovo slancio.
Quanto al secondo elemento, la Cina ha proposto di elevare le relazioni con l’ASEAN a una “partnership strategica inclusiva”. Questa proposta assume due significati: in primo luogo, la Cina intende ricalibrare le relazioni politiche con l’associazione e proporsi come primus inter pares tra tutti i partner internazionali con cui l’associazione intrattiene una forma privilegiata di dialogo; in secondo luogo, Pechino auspica di fissare degli obiettivi economici, politici e strategici con l’associazione in diversi settori di cooperazione: dalla necessità di rinsaldare la supply chain nell’epoca post-COVID-19 all’avanzamento del processo di regionalismo in Asia che fa perno proprio sulla “centralità dell’ASEAN” e dei valori che essa rappresenta.
Questo secondo punto, tuttavia, si scontra con considerazioni di carattere diplomatico, e in particolare con le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Nel 2002 Pechino e l’ASEAN firmarono una dichiarazione che avrebbe dovuto portare negli anni successivi a concepire un codice di condotta relativo alle attività di transito, navigazione, pesca nelle acque contese tra la RPC, Taiwan e quattro Paesi del Sud-Est asiatico (Vietnam, Filippine, Brunei e Malaysia). Il documento non fa riferimento ad alcuna divisione delle zone economiche esclusive tra gli Stati che ne rivendicano la sovranità, ma si limita a sancire principi generali come il diritto di tutti gli Stati alla libera navigazione, la salvaguardia delle linee marittime percorse dalle navi commerciali e la risoluzione pacifica delle controversie. Nel 2016 una sentenza della Corte internazionale d’Arbitrato, adita dal governo delle Filippine tre anni prima, ha sancito che la “linea dei nove trattini” che, secondo Pechino, delimiterebbe storicamente le acque territoriali della RPC non ha valore legale. I leader cinesi non hanno partecipato al processo e non riconoscono la legalità del verdetto. I negoziati sulla definizione di un codice di condotta comune sono in una fase di stallo e, al momento, è irrealistico pensare che la disponibilità degli attori coinvolti possa portare a un accordo definitivo.
Da ultimo è opportuno dedicare una breve riflessione alla posizione cinese sul colpo di Stato in Myanmar. Ufficialmente, Pechino appoggia la linea dell’ASEAN espressa all’interno del Five-Point consensus. Da una parte supporta il ruolo di facilitatore dell’associazione tra le parti coinvolte nella crisi politica birmana (militari e Lega Nazionale per la Democrazia); dall’altra invece blocca qualsiasi tentativo di discussione sulla situazione in Myanmar al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Diversamente dall’Occidente, la RPC non ha approvato le sanzioni nei confronti dei militari e, anzi, prevede di far ripartire i progetti infrastrutturali nel Paese, fermi per via della situazione politica e per le proteste anti-cinesi sviluppatesi in alcune città birmane nell’ultimo anno”
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– Quali saranno i problemi legati all’energia?
“Il sud-est asiatico guarda con un certo distacco al conflitto in Ucraina. Basta andare a guardare le prime pagine di quotidiani online come Straits Times e Jakarta Post, che non offrono un’adeguata copertura delle vicende legate all’invasione russa. Nel voto alla risoluzione approvata il 2 marzo all’Assemblea generale ONU, che condannava l’operazione militare di Mosca, Vietnam e Laos hanno fatto ricorso all’astensione, unici tra i Paesi ASEAN.
Ciò non significa che gli effetti del conflitto non siano stati percepiti anche in questa regione. Anzitutto, l’aumento del prezzo del greggio ha avuto pesanti ripercussioni anche sui Paesi del Sud-Est asiatico, importatori netti di petrolio. Sebbene alcuni di essi abbiano avviato già da alcuni anni il processo di transizione verso le rinnovabili, i combustibili fossili rimangono le fonti principali di produzione di energia elettrica. In secondo luogo la crescita progressiva del tasso di inflazione sta erodendo il potere di acquisto delle classi medie della regione, con conseguente ripercussioni sulla produzione industriale. Inoltre l’incremento dei beni di prima necessità quali riso, zucchero, farina e olio costituisce un problema di vitale importanza per il Sud-Est asiatico e altre aree del continente asiatico, tanto che alcuni commentatori hanno suggerito di diversificare la catena di approvvigionamento di alcuni prodotti, per evitare di rimanere ostaggio di eventi politici che, malgrado siano geograficamente distanti, influenzano in maniera considerevole l’economia globale”
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