La Cina tira dritto: ora l’Oceano Pacifico è un’immensa polveriera

di Dario Rivolta * –

Mentre l’attenzione dei nostri politici e della stampa è, comprensibilmente, concentrata sulla vicina guerra in Ucraina e sul successo/insuccesso del G20, nel geograficamente lontano Oceano Pacifico accadono cose che potrebbero diventare ancora più pericolose per il mondo.
Alla fine di agosto la Cina ha pubblicato la sua ultima versione ufficiale della propria Mappa territoriale. Naturalmente include non solo le terre ma anche i mari dichiarati di competenza cinese. Che vi sia inclusa come facente parte della Cina popolare anche Taiwan non può stupire nessuno, visto che molto ipocritamente quasi tutti i Paesi del mondo dichiarano che “esiste una sola Cina con capitale Pechino”. Purtroppo la nuova mappa non si limita a quello ma include anche tutta la superficie marina che i cinesi, unilateralmente, considerano appartenerle.
La pubblicazione, forse non a caso, è avvenuta subito dopo che la guardia costiera cinese aveva formato un cordone di navi per impedire a battelli di rifornimento filippini di avvicinarsi alle isole Sierra Madre che per Manila rappresentano un avamposto militare in Ayungin Shoal nelle isole Spratly. In base ad un arbitrato internazionale emesso da una Corte nel 2016 e secondo le leggi sottoscritte da tutti nel 1982 attraverso la Convenzione della Nazioni Unite sulla Legge del Mare, queste acque e le isole appartengono senza alcun dubbio alle Filippine. La Cina non ha mai accettato la sentenza del Tribunale di Arbitrato e ha continuato a ritenere che ciò che i filippini chiamano Mare Occidentale delle Filippine sia in realtà parte della loro Zona Economica Esclusiva (ZEE).
Alle naturali proteste delle Filippine sia per l’impedimento marittimo minaccioso effettuato dalla guardia costiera cinese sia sul contenuto della mappa si sono aggiunti Malesia, Indonesia, Vietnam e Taiwan. Lo hanno fatto perché la Cina ha incluso nella propria ZEE anche acque legittimamente rivendicate da Brunei, Malesia, Vietnam e Taiwan. L’Indonesia, membro della ASEAN sembra non avere più contenziosi marittimi con la Cina ma ci sono state alcune tensioni in merito alla proprietà delle sue isole Natuna, tensioni superate dall’invio in loco di migliaia di soldati, aerei e navi militari da parte di Giakarta. Tutti i Paesi che hanno protestato si riferiscono ai regolamenti contenuti nella Convenzione del Mare dell’ONU.
Il ministro degli Esteri malese ha detto che la mappa cinese non avrà effetto di alcun genere sulla Malesia e il governo vietnamita ha ufficialmente dichiarato che la mappa costituisce una aperta violazione della sovranità del Vietnam e delle leggi internazionali.
La pubblicazione cinese è avvenuta subito dopo che le Filippine avevano annunciato futuri pattugliamenti marittimi assieme a navi australiane ed americane nelle acque contestate e il Giappone aveva annunciato di negoziare simili manovre con le Filippine.
Anche l’India ha protestato formalmente il giorno dopo della pubblicazione della mappa poiché essa includeva anche lo stato indiano di Arunachal Pradesh situato al confine con la Repubblica Popolare Cinese. È evidente che nessuno oggi, né gli stati che protestano, né la Cina, né gli Stati Uniti hanno in mente di andare oltre queste proteste e tentare una azione di forza ma, come la storia ci ha insegnato, a volte sono incidenti involontari, magari localizzati e di piccola entità che possono trasformarsi in qualcosa di più grave, come succede in un effetto valanga.
Ci sarebbe da domandarsi perché Pechino, sempre così attenta a non passare mai oltre quelle che, volta per volta, possono essere considerate le “linee rosse”, abbia deciso proprio ora di ufficializzare quella nuova mappa. Formalmente il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato che “La posizione della Cina in merito al Mare Cinese del Sud è ferma e chiara (cioè: così è e non si discute, nda). Le autorità cinesi competenti pubblicano mappe di vari tipi ogni anno e noi speriamo che le parti coinvolte possano vederlo in una luce razionale e obiettiva”.
Di là dalle dichiarazioni ufficiali, le risposte possono essere più di una. Innanzitutto i cinesi sanno bene che essendo gli USA fortemente impegnati sia nella fornitura di enormi quantità di armi sia finanziariamente sul fronte ucraino, non hanno oggi alcuna capacità di andare oltre azioni dimostrative. In secondo luogo, con questa mappa i cinesi mettono le mani avanti affermando in modo apodittico i confini geografici della propria sovranità giustificando così ogni loro possibile reazione ad atti che giudicheranno ostili. Infine, nonostante i Paesi che hanno protestato lo abbiano fatto a gran voce, nessuno di loro, individualmente né in quanto associati ASEAN, avrà la forza politica e militare per qualcosa di più che protestare.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.