La politica anti-armena di #CancelCulture dei neoottomani

di Grigor Ghazaryan * –

Terroristi o no? Durante il suo primo viaggio nei territori armeni occupati dalle forze turco-azere a seguito dell’aggressione del 2020, la consorte del presidente turco, Emine Erdogan consiglia al presidente azero di restituire lentamente, uno per uno, i prigionieri di guerra armeni. Lentamente, per mantenere il più a lungo possibile la sofferenza delle famiglie armene, e per richiedere in cambio, come hanno fatto anche recentemente, diversi oggetti di valore. Un chiaro modus operandi terroristico: scambiare vite umane, o spesso anche cadaveri torturati, con oggetti richiesti.
Dopo la dichiarazione rilasciata davanti ai media dal presidente azero, secondo cui la questione dei prigionieri di guerra sarebbe stata chiusa come se l’Azerbaijan li avesse “restituiti tutti”, la sua dittatura, dopo l’intervento dell’Ue, ironicamente, rilascia ancora 10 prigionieri di guerra armeni nel mese di dicembre 2021 e ancora altri 8 il 7 febbraio 2022. Allora, alcuni prigionieri di guerra si trovano ancora, fino ad oggi, nelle prigioni di Baku. Conclusione: il “dittatore” dell’Azerbaijan dice bugie, le sue dichiarazioni non meritano fede.
Ma da un aspetto macro: il problema sta nel fatto che l’Azerbaijan è una dittatura, uno stato sempre agli ultimissimi posti nelle classifiche mondiali e più autorevoli sui diritti umani.
Da questo punto di vista sono demoralizzanti le rivendicazioni verbali o non-verbali da parte di chi, senza pudore o vergogna, si batte ancora per difendere il regime draconiano di un prersidente che fino ad oggi rilascia ordini di attaccare le postazioni armene al confine armeno-azero, giocando con le vite dei giovani sia azeri che armeni.

Chi fa propaganda. Fare propaganda, da come viene usata oggi, significa sostenere e promuovere qualcosa di profondamente ingiusto. Ragioniamo su questa base: è ingiusto che gli armeni abitino in Artsakh (Nagorno Karabakh, ndr) o che non vogliano vivere sotto il giogo della dittatura azera? Come sappiamo, non sempre i confini geografici corrispondono con quelli statali. L’Artsakh, il territorio dell’odierna Repubblica autoproclamata, è da sempre stato abitato maggiormente da armeni. Restano ancora sotto occupazione turco-azera intere regioni storicamente armene come Karvaciar (foneticamente è stata distorta dai turchi a diventare “Kyalbajar”), Hadrout, Shoushi (da shoush, che significa “bel germoglio” nel dialetto armeno dell’Artsakh), Shahumyan e centinaia di villaggi armeni come Artsvashen.
Appare quindi che l’autodeterminazione come principio del diritto internazionale funzioni per altri popoli del mondo, ma non per gli armeni dell’Artsakh. Abbiamo cancellato il concetto di secessione come ultimo rimedio? Se le risposte sono No e No, allora questo discorso non è una propaganda. Il fatto è che durante il secolo scorso, l’intero periodo della sua esistenza come uno stato sulla mappa del mondo, l’Azerbaijan non abbia mai offerto alcun modello di convivenza con la minoranza armena. E’ sempre stata la colpa della minoranza? E’ una colpa la voglia di essere liberi o quella di poter conservare la propria identità culturale?
Nel 2020 due nazioni, l’Azerbaijan e la Turchia, con oltre 94 millioni di abitanti e sostenuti da forze palesemente terroristiche hanno aggredito una nazione di 3 millioni di persone. Colpa sempre dei 3 millioni che “occupano” i territori dei loro antenati armeni? Li hanno “occupati”, a proposito, fin dai tempi quando il nome “turc’” era ancora riscontrabile soltanto nell’Asia Centrale.
Gli armeni sono un popolo autoctono, originario dell’Altopiano Armeno (oggi noto con il termine tautologico “Anatolia Orientale” – “oriente orientale”). Che gli armeni non siano stati gli abitanti dell’Altopiano Armeno, che comprendeva i territori di Utiq e Artsakh, è una constatazione che sembra seguire ciecamente il consiglio di Joseph Goebbels, “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”
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Eredi dei Pogrom. Forse pochi sanno che l’omogeneizzazione demografica (da entrambe le parti) è avvenuta sulla spinta delle azioni provocatorie dell’Azerbaijan, con un picco drammatico materializzatosi negli orrendi pogrom di Sumgayit e Baku contro la minoranza armena. Fin da quei giorni del 1988 le manifestazioni di odio razziale antiarmeno erano così spiccate che portarono all’espulsione delle comunità armene dall’Azerbaijan. Dopo la prima guerra dell’Artsakh quei sentimenti avrebbero costituito la base per una politica armenofoba a livello statale. Ciò si manifesta anche oggi nella fomentazione dell’odio, nella creazione di un’immagine del “nemico armeno” che ha sempre torto, è “brutto, maleducato, barbaro”, insomma con tutti gli epiteti negativi che, secondo il regime dittatoriale azero, riguardano solo e sempre gli armeni. Questa visione di per sé porta all’aggravarsi di un complesso d’inferiorità nazionale che sembra già aver contagiato abbastanza i rapporti tra i due popoli. Ricordiamoci che le tradizioni di derubare ricchi e nobili armeni si sono istituite fin dai tempi del Genocidio armeno, ripetutesi durante i pogrom di Sumgayit e di Baku (1988-90) e si rispecchiano pure nei conflitti transfrontalieri di oggi. Il piano delle uccisioni di massa di civili armeni, residenti di Sumgayit e di Baku, rispecchiava chiaramente gli scenari e i metodi del Genocidio armeno del 1915, fino ad oggi non riconosciuto dagli stessi neoottomani.

Excursus storico: gli azeri hanno riconosciuto l’Artsakh come terra armena. Mi sento in dovere di ribadire e sottolineare che il 30 novembre 1920 il Revcom dell’Azerbaigian (Comitato Rivoluzionario – il principale strumento di potere bolscevico a quel tempo) fece una dichiarazione che riconosceva i territori sui quali l’Azerbaigian aveva rivendicazioni, tra cui Nagorno-Karabakh, Zangezour e Nakhijevan, come parti inseparabili dell’Armenia.
Il Consiglio nazionale della Repubblica Socialista Sovietica Azera, sulla base dell’accordo tra il Revcom dell’Azerbaigian, i governi della Repubblica Socialista Sovietica Azera e della Repubblica Socialista Sovietica Armena, con la Dichiarazione del 12 giugno 1921, proclamò il Nagorno-Karabakh parte integrante della Repubblica Socialista Sovietica Armena. Sulla base della dichiarazione riguardante la rinuncia dell’Azerbaigian al Nagorno-Karabakh, Zangezour e Nakhichevan e dell’accordo tra i governi dell RSS armena e RSS azera del giugno 1921, anche l’Armenia, a sua volta, dichiarò il Nagorno-Karabakh sua parte integrante. Il testo del decreto emesso dal governo armeno è stato pubblicato dai media sia armeni che azeri (“Lavoratore di Baku” del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Azerbaigian, 22 giugno 1921). Così ebbe luogo una conferma legale dell’unificazione del Nagorno-Karabakh all’Armenia
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Nonostante le due ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia. Vergognarsi e odiare se stessi, perché sulle mappe storiche non si trova il nome “Azerbaijan”, odiare la cultura armena vedendo le chiese armene medievali in Artsakh e cercare di deturparle, nascondendosi dalla propria storia di soli 104 anni. Purtroppo tutti questi sono fenomeni che si verificano nelle azioni della dittatura azera.
Il 7 dicembre 2021 la Corte Internazionale di Giustizia, avendo rilevato che vi è un rischio imminente di danno irreparabile ai diritti degli armeni ai sensi della “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale”, ha ordinato all’Azerbaijan attraverso due ordinanze ben chiare di “Proteggere dalla violenza e dalle lesioni personali tutte le persone catturate e rimaste in detenzione in relazione al conflitto militare del 2020, nonché garantirne la sicurezza e l’uguaglianza davanti alla legge”; di “Adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e della discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e delle istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di origine etnica o nazionale armena”; di “Adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e profanazione nei confronti del patrimonio culturale armeno, compresi chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti”.
E comunque, in barba alle suddette ordinanze della CIG, il 4 febbraio 2022 le autorità azere hanno preso la decisione di formare un gruppo impegnato a promuovere l’ideologia di damnatio memoriae antiarmena, ossia l’annientamento delle tracce storiche-architettoniche, prendendo di mira tutte le iscrizioni in armeno classico, le incisioni di pietra di carattere/stile armeno delle chiese e di altri monumenti che oggi testimoniano in modo indiscutibile l’origine armena di quei monumenti storici e di conseguenza, dimostrano il fatto della presenza plurisecolare del popolo armeno sui territori dell’Artsakh. Queste programmazioni di atti di vandalismo ci ricordano la prassi dei terroristi nazijihadisti che nel 2015 distrussero i tesori archeologici di Palmira.
La politica anti-armena di #CancelCulture adottata dal regime dittatoriale azero si appresta a compiere il crimine prima che le organizzazioni internazionali di tutela del patrimonio culturale possano arrivare nei territori riconquistati dalle forze turco-azere.
E’ certo che i monumenti storico-architettonici armeni non possano essere riportati ad altre origini. E comunque in un contesto del tutto armenofobo, diventa “naturale” che, secondo la logica/ipotesi degenerata dei dittatori, qualsiasi artefatto di bellezza e di arte debba essere creato sempre da nazioni-X, non-armene, anche dai marziani, se volete, ma solo non dagli armeni cristiani.
Va notato che la furia distruttrice turco-azera, che si verifica con carattere ricorrente, si è accanita non solo sul patrimonio dell’Artsakh e dell’Armena, ma su un patrimonio culturale che appartiene all’intera umanità
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* PhD, professore associato – Università Statale di Yerevan.