L’attentato di Barcellona: un’evoluzione di Daesh? Ne parliamo con Marco Lombardi di Itstime

a cura di Vanessa Tomassini

Le indagini sull’attentato alla Rambla di Barcellona del 17 agosto vanno avanti ininterrottamente cercando di ricostruire e fermare la cellula terroristica autrice della strage. Dopo diverse notizie confuse e a volte contraddittorie, l’autore materiale della strage sarebbe il marocchino Younes Abuyaaqoub, inizialmente dato per morto, il quale secondo gli inquirenti sarebbe al momento in fuga, inseguito dalla polizia di Spagna e Francia.
Leader della cellula sembrerebbe essere Abdelbaki El Satty, un quarantenne marocchino di Ripoll, imam della Moschea di Cambrils, che secondo l’intelligence spagnola avrebbe perso la vita nella deflagrazione dell’appartamento di Alcanar, avvenuto mercoledì notte. Il decesso è ancora da accertare, l’intelligence spagnola ha prelevato durante una perquisizione del suo appartamento dei campioni di DNA per confrontarli con i resti biologici della deflagrazione di merccoledì.
L’appartamento saltato in aria sembra fosse il covo degli insospettabili jihadisti, imbottito di bombole di gas, che i baby terroristi avrebbero dovuto far esplodere sulla folla della Rumbla, o come temono gli esperti, all’interno della Sagrada Familia, simbolo della cattolicissima Spagna.
Proprio per via dell’esplosione, la sanguinosa banda dei giovani terroristi marocchini avrebbero dovuto riadattare la strategia, rinunciando al piano originale che aveva intenzioni molto più devastanti.
Ripoll non è abituata al vespaio di giornalisti, poliziotti e servizi segreti, i primi alla ricerca dell’esclusiva e gli altri a caccia di prove e indizi. Proprio dalla ridente cittadina sul mare, vicina alla frontiera francese, finora conosciuta solamente per il suggestivo monastero romanico, provengono con certezza 10 dei 12 membri della cellula, tutti originari del Marocco proprio come l’iman El Satty.
L’imam ha lasciato la moschea da circa due mesi e sarebbe il responsabile del lavaggio del cervello fatto ai ragazzi marocchini di Ripoll, alcuni di soli 17 o 18 anni, descritti dalla gente del posto come ragazzi per bene che condividevano i campetti di calcio con i coetanei spagnoli, in realtà Jihadisti della porta accanto che si stavano organizzando da mesi.
Lo studio e l’organizzazione logistica degli attacchi, hanno fatto credere erroneamente ad alcuni analisti, o sedicenti tali, che gli atti non fossero attribuibili a Daesh, ma sarebbero stati più vicini – a loro dire – al modus operandi di al-Qaeda. Tuttavia la responsabilità del gesto è inequivocabile e c’è già chi si prepara a studiare e combattere il fenomeno ISIS 3.0.
Si tratta di un gesto unico o della nuova evoluzione del fenomeno mutabile e liquido di Daesh?
Lo abbiamo chiesto a Marco Lombardi, docente alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università Cattolica e direttore dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (ITSTIME).

– Professor Lombardi ritiene credibile il video di Amaq dove due soldati di Daesh rivendicano i fatti di Barcellona?
”A giudicare da come la rivendicazione è stata lanciata e dai tempi nulla per ora può far pensare che sia un fake. Propendo per il fatto che sia una rivendicazione autentica, fino a prova contraria l’oggetto comunicativo in sé, mentre in passato ci erano stati casi di rimaneggiamenti, allo stato attuale direi che è autentico”.

– Le faccio questa domanda perché fonti vicine all’intelligence informatica hanno dichiarato che Daesh nelle ore successive all’attentato ha cercato informazioni su Driss Oukabir, colui che inizialmente sembra essere l’autore della strage a Barcellona, come se in realtà Daesh non sapesse nemmeno bene chi fosse. È corretto pensare che Daesh stia provando a mettere un cappello su qualsiasi attentato senza avere alcun rapporto diretto con gli attentatori?
”Assolutamente sì, questo non mi stupisce minimamente. Daesh ha sempre cercato di mettere il cappello su qualsiasi fatto definibile come attentato terroristico, d’altra parte è l’effetto che interessa loro. Si ricorda quando era stato fatto precipitare con dell’esplosivo l’aereo russo che stava rientrando da Sharm? Ci furono molte discussioni se fosse stato o meno Isis, perché non ci erano state immediatamente rivendicazioni. Daesh uscì con una battuta, che secondo me ne riassume molto bene lo spirito: “a voi dimostrare che non siamo stati noi”. L’atteggiamento di Daesh è paragonabile a quello del fisco italiano, che non deve dimostrare al cittadino di essere un evasore, ma è il cittadino che ha il compito di dimostrare di non esserlo. Si tratta dell’inversione dell’onere della prova, strategia utilizzata da Daesh fin dall’inizio, in quanto molto conveniente. Che sia un pazzo ad investire con l’automobile ed uccidere 13 pedoni o un convinto islamista, l’effetto è il medesimo. Per cui quello che mi sta dicendo è assolutamente probabile, ma non è detto che sia fake la rivendicazione. Intendo dire nel momento in cui Daesh prende informazioni a sufficienza e fa uscire due soldati per rivendicare l’atto, quella rivendicazione è valida poi si apre un problema più ampio cioè quello sull’organizzazione che ha pianificato l’attentato di Barcellona”.

– Quali sono le principali differenze tra Barcellona e gli altri attentati a cui abbiamo assistito fino ad ora nelle varie capitali europee?
”Io credo che l’unico elemento in comune con altri attentati al momento è solamente l’utilizzo dell’autoveicolo, che si certifica come la principale arma di distruzione di massa del secolo. Daesh non fa altro che riconfermare questo, ma per il resto assistiamo ad un’evoluzione organizzativa notevole. Qui non siamo più di fronte alla singola persona o a due soggetti, ma siamo di fronte a una struttura che conta almeno otto persone coinvolte, un doppio – se non triplo – attacco, due furgoni su Barcellona e uno intercettato nei pressi di Tarragona, con una base saltata il giorno prima di un appartamento imbottito di bombole di gas…”.

– Ecco proprio qui volevo arrivare, c’è stato qualche analista che sostiene che l’attentato dal punto di vista almeno logistico non sia attribuibile a Daesh, ma piuttosto ad al-Qaeda. Infatti nel 2007 furono proprio i qaedisti ad utilizzare bombole di gas nell’attentato all’aeroporto di Glasgow, si ricorda? Che cosa ne pensa? Siamo di fronte ad una collaborazione tra Daesh ed al-Qaeda o il primo si è effettivamente riorganizzato?
”Io sono dell’idea che queste sottolineature lascino il tempo che trovano, intendo dire che è importante capire se sia stato Daesh o al-Qaeda per avere chiara la mappatura dei rapporti di potere che sono in forte evoluzione tra i gruppi del terrorismo. Siamo in una situazione estremamente dinamica dove Daesh continua a perdere sul territorio ed al-Qaeda, in agguato, che tenta in ogni modo di rimpossessarsi della supremazia dell’estremismo islamista, seppur declinato in maniera futuristica. Ma in termine di effetti, se ci abbassiamo di livello, già in passato abbiamo avuto collaborazioni sul piano organizzativo tra al-Qaeda e Daesh: gente che si è formata in un campo o nell’altro che poi a Parigi ha agito insieme, perché poi l’obbiettivo è lo stesso, cioè colpire il Kafir, ossia l’infedele. È necessario distinguere i livelli: c’è un livello alto delle due fazioni che hanno necessità di farsi percepire fortemente distinti, perché ognuno ha la necessità di affermare la propria leadership sull’altro; se scendiamo al livello operativo, cioè al livello basso, questa distinzione è meno netta e meno ricorrente, operando spesso insieme. In questo quadro è da considerarsi il passaggio dei temi di training da una fazione all’altra nei loro principali mezzi di comunicazione. Era stato ‘Inspire’, la rivista ufficiale di al-Qaeda, a lanciare per primo coltelli e automobili come strumenti di ammazzamento, Rumiyah lo ha ripreso per riproporlo alla sua audience, allo stesso modo è possibile che Daesh abbia ripreso dal suo rivale le bombole di gas. Il fatto non mi stupirebbe e non lo leggerei come il marchio di fabbrica di al-Qaeda”.

– Dal 2015 la Spagna ha arrestato circa 200 persone accusate di proselitismo, reclutamento e fiancheggiamento in favore di Daesh, di cui il 23% residenti a Barcellona. Sempre dalla Spagna sono partiti oltre 190 volontari verso la Siria e l’Iraq, forse è presto per dirlo, ma è ipotizzabile che quello di Barcellona sia stato uno dei primi attentati per opera di foreign fighters rientrati in territorio europeo?
”La domanda è lecita…”.

– Cioè la domanda che a me sorge spontanea è: la Spagna ha sbagliato strategia?
”No la Spagna non ha sbagliato strategia, o meglio diciamo che tutti stiamo un po’ sbagliando strategia. Mi sembra che siamo ancora molto lontani dalla comprensione del fenomeno terroristico di Daesh, come fenomeno che nasce e si vuole radicare in un punto secondo il motto ‘stay and expanding’ (consolidarsi ed espandersi), ma Daesh è andato oltre al consolidamento territoriale ed è ormai disperso in oltre una trentina di Paesi. Questa dispersione territoriale lo porta a rivedere l’organizzazione, la leadership e la struttura di comunicazione, ma non ad un’implosione. Daesh non sta morendo affatto. E l’attacco alla Spagna smentisce anche quelle tesi che affermavano che l’Italia è immune in quanto non partecipa ai bombardamenti in Iraq, o non siamo militarmente impegnati, ora noto alcuni colleghi che oggi si chiedono “ma come la Spagna? Se non ha mai partecipato e non è impegnata, ora viene colpita?” Quella è la narrativa utilizzata da Daesh che racconta ai suoi militanti o per reclutare nuove risorse, dicendo di combattere gli ‘infedeli’ che li stanno bombardando. La penetrazione liquida e diffusa del terrorismo in tutto l’occidente c’è e questa tesi non regge. La Spagna lo sta dimostrando. Se la Spagna rappresenti un’evoluzione di Daesh o un’unicità è difficile dirlo, visto che dopo Atocha non aveva subito granché”.

– Quindi possiamo dire che la Spagna è tornata nel mirino dei terroristi, o in realtà non ne è mai uscita?
”La Spagna non ne è mai uscita come non ne è mai uscito tutto l’occidente. C’è una sottolineatura in più che appare negli ultimi numeri dei magazine di propaganda, che punta tutto sul recupero dei luoghi della cultura e della tradizione dell’Islam. Questo è un refraime che compare anche nel numero 12 di Rumiyah di dieci giorni fa. L’Alhambra, in arabo al-Hamra, era una delle prime mappe di Daesh, dove la marea nera incorpora immediatamente la Spagna. Quindi non solo non è mai uscita dall’obbiettivo dei terroristi, ma c’è una sottolineatura negli ultimi mesi sull’ideale di rioccupare i territori tradizionalmente appartenenti all’Islam da parte di Daesh”.

– In questo quadro, ci sono dei rischi anche per l’Italia?
”L’Italia non è esente da questo rischio come non lo sono gli altri Paesi. Sicuramente possiamo dire che l’Italia, oltre ad avere un’eccellente intelligence, riesce bene in una cosa: imparare da ciò che accade ed è accaduto agli altri. Trovo paradossale che in un luogo come la Rumbla, simbolo della Spagna e meta privilegiata del turismo internazionale, non vi fossero delle protezioni anti-sfondamento. Se lei prende ad esempio Milano, che conosce, le zone maggiormente esposte al rischio sono già state messe in protezione, poi è ovvio che i terroristi cercano l’occasione, il punto dove poter colpire. Inoltre è necessario dire che per Daesh Roma – quindi l’Italia – rappresenta l’obiettivo finale anche in termini propagandistici. Ciò non significa che siamo tuttavia fuori dall’obiettivo, né tanto meno esenti dal pericolo rappresentato dall’azione di singoli soggetti, o lupi solitari”.
Per concludere, possiamo affermare senza alcun dubbio che Daesh sia pronto a rivendicare, anche abbastanza celermente qualsiasi atto con finalità di terrore al di là della sua reale partecipazione nella pianificazione degli attacchi, “in virtù di una sua capacità evocativa e comunicativa indiscutibile”, così scrive Lombardi sulla pagina Facebook ITSTIME. Mentre sui social la gente si divide, tra moderazione ed un estremismo di tutta risposta, il professore conclude così “un fine agosto difficile chiama tutti alla responsabilità e il governo all’attenzione agli eventi in corso”. Se gli esperti ci avevano già avvisato che Daesh non sarebbe morto con al-Baghdadi, è necessario non abbassare la guardia perché no c’è un posto sicuro e nei momenti in cui Daesh scompare, lo fa perché impegnato a progettare altro.

Nella seconda foto: Marco Lombardi.

Vanessa Tomassini – www.laintervista.eu