Libia. Erdogan prepara altri 1.600 miliziani siriani. E conta di fare strike

Il 7 gennaio il Parlamento vota l’invio di militari: la Turchia potrebbe fare il lavoro sporco per l’Italia in cambio delle concessioni di gas a Cipro.

di Enrico Oliari

Le forze del generale “di Tobruk” Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), sono ormai arrivate fra aspri combattimenti alle porte di Tripoli. I miliziani del generale hanno infatti preso il controllo dell’aeroporto di Tripoli, che è chiuso dal 2014, di alcuni depositi di carburante, del ponte al-Frosseya e del campo militare di al-Naqlia, mentre scontri sono registrati sulle principali arterie che portano al centro della capitale.
Per la sua offensiva contro il governo riconosciuto “di Tripoli”, partita il 4 aprile, Haftar ha avuto il via libera dalla Casa Bianca, ma non bisogna dimenticare che lo stesso generale è per i suoi detrattori da sempre al soldo di Washington poiché, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Con in tasca il passaporto statunitense, negli Usa Haftar abitava a circa un chilometro dal quartier generale della Cia, a Langley.
In barba alle risoluzioni Onu, in questi anni di guerra Haftar è stato rifornito di denaro e di armi soprattutto dagli Emirati Arabi Uniti, Egitto e dall’Arabia Saudita, mentre dal Sudan sono arrivati anche in questi giorni circa 3mila mercenari.
Ad Haftar preme soprattutto prendere il controllo della Banca centrale libica, situata nella capitale, elemento essenziale per avere in mano le chiavi del paese ma anche per ripagare i debiti contratti con i suoi alleati.
In Libia si sta rischiando una sovrapposizione di conflitti com’è avvenuto in Siria, e difatti Qatar e Turchia si sono mossi per dare man forte alle forze militari che si riconoscono nel Consiglio presidenziale, guidato da Fayez al-Serraj, Ma se l’Europa continua a spingere per la soluzione diplomatica della crisi dando un colpo alla botte ed uno al cerchio, com’è stato per i vertici passati e come sarà per la conferenza in programmazione a giorni a Berlino, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha deciso di passare ai fatti, ed è previsto per il 7 gennaio il voto al parlamento di Ankara per l’invio di militari nel paese.
Intanto il presidente turco ha preso l’iniziativa di inviare 300 miliziani “ribelli”, in realtà spesso provenienti da formazioni jihadiste, a Tripoli per sostenere le difese. Da notare che già in Libia combattono diverse milizie jihadiste, tanto con il governo “di Tripoli” quanto nelle file di Haftar.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione vicino alle opposizioni e con sede a Londra ma che ha dato in più occasioni prova di avere il polso della situazione, ha tuttavia riferito di almeno 1.600 miliziani radunati nei campi di addestramento di Afrin, l’ex enclave curda nel nord della Siria conquistata dalla Turchia nel 2018, pronti per essere spediti in Libia.
Al momento non vi sono ammissioni o smentite ufficiali da parte del governo turco, ma l’Osservatorio è entrato nei particolari spiegando che i combattenti farebbero parte delle milizie del Sultano Murat e di Suleyman Shah e della Divisione al-Mu’tasim.
Se ad Erdogan uscisse l’operazione, in un sol colpo farebbe strike: per prima cosa sposterebbe nel paese nordafricano miliziani anche radicali che, per quanto alleati e sostenuti con denaro e forniture dal suo governo, rappresentano pur sempre un elemento ingombrante a ridosso dei confini turchi; poi si porrebbe in una situazione di peso nei rapporti con un’Unione Europea che predica la soluzione diplomatica, con i miliziani di Haftar ormai quasi nella capitale; quindi farebbe ancora l’out sider nella Nato, spaccata sulla questione curda ma anche su quella libica; infine farebbe il lavoro sporco per l’Italia, che per riavere intatta la sua zona di influenza e contrastare l’atteggiamento ambiguo della Francia, che occultamente appoggia Haftar per scalzare l’Italia e mettere le mani sulle risorse energetiche, potrebbe cedere sulle concessioni di gas nelle acque di Cipro.
Proprio nelle scorse settimane l’Italia ha inviato nell’area di Cipro la fregata Federico Martinengo, classe Fremm, insieme ad altre nove unità navali al fine di dimostrare di essere in grado di tutelare i propri interessi: al centro delle tensioni tra la Turchia e l’Italia, come anche con altri paesi dell’Unione Europea tra cui Francia, Grecia e Germania, vi è lo sfruttamento dei giacimenti di gas nelle acque territoriali di Cipro. Ankara considera da sempre la parte meridionale dell’isola come secessionista, ma l’Eni italiana ha ottenuto da Nicosia concessioni per lo sfruttamento dei fondali. Già nel febbraio dello scorso anno la Turchia aveva bloccato nelle acque di Cipro la nave esplorativa italiana Saipem 12000, che non potendo lì operare era stata poi trasferita in Marocco. Da lì a poco erano giunte nell’area navi esplorative turche.

Recep Tayyp Erdogan.