Lo zar Putin gioca con l’amnistia. Ma è un boomerang che gli si può girare contro

di Enrico Oliari –

putin oppositori grandeForse ha ragione Maria Aliokhina, la Pussy Riot appena uscita dal carcere grazie all’amnistia votata pochi giorni fa dalla Duma e promulgata dallo zar e padrone di tutte le Russie ,Vladimir Putin, a parlare di “trovata pubblicitaria”. Certo è che la mossa del Cremlino, a ridosso dei giochi olimpici di Sochi, si sta rivelando sempre più un boomerang per lo stesso presidente, dal momento che si sono poste sotto la lente dell’opinione pubblica internazionale tutte insieme le miserie di una democrazia molto poco democratica, ovvero di un regime di fatto liberticida.
Forte del suo gas e del suo petrolio, l’uomo dei ghiacci continua a far sapere al mondo che con lui non si scherza, che i gay proprio non gli piacciono e che gli oppositori politici finiscono dietro le sbarre: le Pussy Riot, poco più che ventenni, non erano attentatrici dinamitarde, bensì cantanti rock dalle provocazioni nei confronti dell’establishment politico e istituzionale, su argomenti come la situazione delle donne in Russia, che hanno osato sospettare di brogli la rielezione di Putin e che, dopo aver scombinato una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, sono state arrestate per teppismo ed istigazione all’odio religioso e condannate a due anni di reclusione nei campi di lavoro.
La loro liberazione, alla quale Putin era contrario, le ha fatte tornare a casa con tre mesi di anticipo, troppo poco per far sorridere chi in carcere ha subito abusi: “Se ci fosse stata la possibilità di rifiutare l’amnistia – ha dichiarato Aliokhina – lo avrei fatto”.
Maria Aliokhina è uno dei 25mila prigionieri liberati grazie al “gesto di generosità” ufficialmente indetto per celebrare i vent’anni della nuova Costituzione russa. A goderne vi sono anche i trenta di Greenpeace, che lo scorso 18 settembre a bordo del rompighiaccio Arctic Sunrise, battente bandiera olandese, hanno compiuto un’azione di disturbo nei confronti della piattaforma petrolifera russa Prirazlomnaya, situata nel Mar di Pecora, parte del Mar Glaciale Artico a nord della Russia europea, e che per questo sono stati accusati formalmente prima di pirateria e poi di teppismo. Tra di loro il napoletano Christian D’Alessandro, che sulla possibilità di rientrare in patria si è mostrato meno schizzinoso della Aliokhina.
E poi il giovane avvocato Alexei Navalny, processato e condannato per furto di legname, ma poi misteriosamente “graziato”, quando si è saputo che con tutta la sua buona volontà non avrebbe superato il 27 per cento alle comunali di Mosca.
Tuttavia il caso più interessante e più indicativo dell’improvvisa magnanimità putiniana riguarda l’imprenditore Mikhail Chodorkovsky. Fino al 2003, anno del suo arresto, era in più ricco degli imprenditori russi, dovette la sua fortuna prima all’importazione di Personal computer, poi al commercio di valuta e quindi all’acquisizione di compagnie di estrazione degli idrocarburi. Fu anche consulente finanziario del primo governo Eltsin e, quel che è certo, l’unico in grado di ostacolare l’ascesa di Putin: il 25 ottobre 2003 fu arrestato per frode fiscale, le sue aziende finirono in bancarotta e nel 2010 fu condannato per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, tanto basta per dover restare dietro le sbarre fino al 2017, sempre che per tenerlo fuori dai giochi non si sarebbe nel frattempo inventato qualcos’altro. Infatti il suo fu considerato dalla maggior parte degli analisti e dei media internazionali un processo politico, voluto da Vladimir Putin per sbarazzarsi di uno degli uomini più potenti del paese e che, prima di finire in carcere, aveva apertamente criticato lo stato di corruzione in cui versava la Russia.
Liberato, Chodorkovsky si è subito rifugiato in Germania, dove ha potuto riabbracciare la famiglia. Nella conferenza stampa ha comunque puntualizzato che l’ammissione di colpevolezza “non mi è stata posta come condizione per il mio rilascio”. Ha ammesso di aver scritto a Putin, per parlargli della madre malata, ma soprattutto ha giurato che “non intendo impegnarmi in politica, e non voglio battermi per recuperare i beni della Yukos”, il colosso petrolifero di cui era padrone all’apice delle sue fortune.
Chodorkovsky ha ribadito che “Il secondo processo a mio carico è stato un complotto, e questo lo hanno capito tutti”. Impossibile quindi ammettere una colpa che non c’è: “Non appena mettessi per iscritto che riconosco le mie colpe, un sacco di persone per le quali provo rispetto si troverebbero in una situazione di estrema difficoltà. La mia istanza di grazia, in realtà consisteva di una sola riga: ‘Chiedo mi sia risparmiato di scontare ulteriormente la pena, perché ne ho già scontato dieci anni su un totale di dieci anni e dieci mesi. E questo è tutto”.
Putin lo ha quindi incluso nel cerchio degli amnistiati, convinto della sua partenza dalla Russia: “Le nostre autorità – ha detto in conferenza stampa a Berlino – possono sostenere onestamente che non mi hanno mandato in esilio, e che sono stato io a chiederlo”. Parlando con i giornalisti Chodorkovsky ha ringraziato Angela Merkel per essersi impegnata a ottenerne il rilascio: “E’ lei che mi ha reso possibile l’essere adesso libero”, ha affermato.
Ed è lei che ha voluto mandare un messaggio chiaro allo zar: non si recherà a Sochi per i Giochi Olimpici. Al suo posto sarà presente il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere, “dovrà bastare”.