Messico. Elezioni in dodici stati: crolla il PRI

di Marco dell’Aguzzo –

messicoDomenica 5 giugno dodici (su trentuno) stati del Messico – Aguascalientes, Chihuahua, Durango, Hidalgo, Oaxaca, Puebla, Quintana Roo, Sinaloa, Tamaulipas, Tlaxcala, Veracruz e Zacatecas – hanno votato per eleggere un nuovo governatore, in quello che è stato in tutto e per tutto un “test” per il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), prima forza politica del paese, e per il presidente Enrique Peña Nieto, entrato ormai nella fase finale del suo mandato, che si concluderà nel 2018.
Il PRI – vincitore, tra l’altro, di tutte le elezioni presidenziali dal 1929 al 2000 e attualmente alla guida del paese – ha visto il suo consenso sfaldarsi pressoché in tutti gli stati votanti, vincendo in appena cinque di questi e perdendone il controllo di due – Veracruz e Tamaulipas – strategicamente importanti sia per la posizione geografica (entrambi affacciano sul Golfo del Messico) che per l’alta concentrazione di giacimenti di petrolio e di gas naturale. È riuscito però a mantenere la presa sullo Zacatecas, maggior produttore nazionale di oro, argento, piombo e altri metalli.
Di contro, il Partito Azione Nazionale (PAN), di centro-destra e attualmente all’opposizione, ha registrato una sensibile crescita tra gli elettori, vincendo in sette stati, tra i quali il Quintana Roo – importante meta turistica nonché roccaforte priista – e i già menzionati Veracruz e Tamaulipas. Oltre alla vittoria reale, l’esito delle votazioni ha dimostrato quanto terreno stia recuperando un partito uscito distrutto dalle elezioni federali del 2012 (dove si piazzò appena al terzo posto, complice la disastrosa amministrazione di Felipe Calderón) e tutto sommato non così bene neanche dalle elezioni di medio termine del giugno 2015, che avevano invece riaffermato il controllo del PRI sulla Camera dei deputati.
Senza mezzi termini, i commentatori politici hanno definito “storica” la sconfitta del PRI, vincitore in appena cinque stati su dodici: un risultato nettamente peggiore di quello previsto dai sondaggi, che certamente avrà le sue ripercussioni sulla strategia che il già indebolito partito intraprenderà per la sempre più vicina campagna elettorale del 2018 e sul nome che candiderà alla presidenza. Quelli più gettonati finora sono Manlio Fabio Beltrones, presidente del PRI, e Miguel Ángel Osorio Chong, il segretario degli Interni duramente criticato per gli insuccessi in materia di sicurezza nazionale (il tasso degli omicidi continua infatti ad aumentare).
Oltre al PAN, indubbiamente il vincitore assoluto, la giornata di domenica è stata un trionfo anche per Andrés Manuel López Obrador, figura centrale della sinistra istituzionale messicana e ora presidente del Movimento di Rigenerazione Nazionale (MORENA), che a Città del Messico ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni per l’Assemblea costituente, superando anche il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), dal quale ebbe origine nel 2014. Dopo aver sfiorato la vittoria nel 2012, López Obrador ha annunciato di voler correre per le prossime presidenziali.
Come il PRI, anche il PRD, di centro-sinistra, non ha guadagnato granché da queste elezioni: nonostante l’alleanza col PAN l’abbia portato alla vittoria negli importanti stati di Veracruz e Quintana Roo (ma il ruolo di governatore sarà occupato da esponenti panisti), non è riuscito né a sconfiggere il PRI nello stato di Oaxaca né ad imporsi su una forza minore come MORENA nella progressista Città del Messico.
Infine, il 5 giugno si sono verificati non soltanto episodi di minacce e aggressioni a candidati, militanti politici e ad elettori per costringerli all’astensionismo in diversi stati – nei pressi di un seggio elettorale nello stato di Veracruz è stata addirittura ritrovata una testa mozzata, e frequenti sono stati i lanci di materiale esplosivo contro le sedi dei partiti –, ma anche detenzioni arbitrarie e violenze fisiche nei confronti di alcuni giornalisti.

Twitter: @marcodellaguzzo