Migranti: il caso dei Minori non accompagnati

di C. Alessandro Mauceri –

Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare dei migranti, in barba alle visite in Sicilia della premier Giorgia Meloni, e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del presidente Sergio Mattarella. Non sapendo cosa dire (e cosa fare), si è deciso di puntare il dito sui minori stranieri non accompagnati.
Il Senato ha convocato l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti, la quale è stata ascoltata dalle commissioni riunite Affari costituzionali e Affari sociali del Senato. All’ordine del giorno lo schema di regolamento sul trasferimento al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali delle competenze del cessato Comitato per i minori stranieri. Secondo la Garlatti, il sistema di raccolta ed elaborazione dei dati sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia sarebbe all’avanguardia rispetto agli altri paesi europei. Come ha ribadito l’AGIA, in Italia esiste già una legge (la legge Zampa) che regolamenta il sistema di accoglienza dei MSNA. A mancare (ormai da molti anni) sono alcuni regolamenti attuativi. Li si attende ormai da sei anni.
Tra i problemi, lo scarso peso dato al Comitato per i Minori Stranieri. Per il rilascio del permesso di soggiorno alla maggiore età, la legge richiede di acquisire il parere favorevole del Comitato per i minori stranieri, organo del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Recentemente però le sue funzioni sono state trasferite alla Direzione generale dell’immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ma spesso i minori stranieri non accompagnati in età prossima ai diciotto anni non ottengono il parere della Direzione Generale dell’immigrazione e delle Politiche di Integrazione del Ministero del Lavoro. Secondo Save the Children, in alcuni casi, questo non sarebbe mai stato sia mai stato richiesto dai servizi sociali o dalle strutture di accoglienza in cui i ragazzi erano ospitati. Conseguenza: a molti di questi minori, raggiunta la maggiore età, potrebbe essere stato negato il rilascio di un permesso di soggiorno e potrebbero aver ricevuto il decreto di espulsione.
Spesso gli sforzi di decine di migliaia di adolescenti sono vani. “Adolescenti”. Sì, perché la maggior parte dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia sono “minorenni”. Contrariamente a quanto dichiarato dai vertici della politica nei giorni scorsi, la loro età non è definita in base ad una “autocertificazione”. “Il nostro obiettivo è tutelare i veri minori per evitare, come accade ora, che con una semplice autocertificazione chiunque possa essere inserito nei circuiti rivolti ai minori”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni. Ma le procedure per la stima dell’età definite, nel 2020, nel corso di una Conferenza Unificata in cui governo, Regioni, province autonome di Trento e Bolzano e Enti locali si sono impegnate ad adottare, ai fini della determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati, un protocollo multidisciplinare che prevedono, tra l’altro, “una visita pediatrica auxologica, con ricorso ad accertamenti sanitari”. Protocollo per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati (integrazionemigranti.gov.it)
Il fatto è che, quando si parla di migranti o di MSNA, sono tante le cose che non si dicono. Ad esempio, recentemente si è fatto un gran parlare degli accordi con la Tunisia proprio sul tema migranti. Quello che non è stato detto è che, secondo alcune fonti, per ridurre il numero degli arrivi in Tunisia, le autorità avrebbero respinto centinaia di migranti, nel deserto e lì li avrebbero abbandonati sotto il sole rovente. Secondo quanto riportato da Il Manifesto e da France Press, basato anche su alcune testimonianze dei diretti interessati, sarebbero almeno 700, tra cui donne e bambini, giunti a Sfax, seconda città delle Tunisia e principale luogo di partenza per le coste italiane di Lampedusa, letteralmente portati dalla polizia locale in pieno deserto tunisino vicino al confine con la Libia, a qualche decina di chilometri dalle cittadine di Gafsa e Kasserine. E qui abbandonati in un luogo sperduto, privo di ombra, dove le temperature massime possono essere mortali. Secondo la France Press, verso i migranti ci sarebbero stati attacchi di matrice razzista. Sarebbero scoppiati dopo che, a febbraio, il presidente Kais Saied aveva parlato di un presunto “complotto criminale” per cambiare la composizione demografica del Paese. Centinaia di migranti si sarebbero rivoltisi alla polizia per ottenere protezione. Invece, sarebbero stati caricati in autobus e trasportati nel deserto tunisino. Alcuni vicino al confine con la Libia. Altri vicino alla frontiera con l’Algeria. “Non abbiamo niente da mangiare o da bere. Siamo nel deserto”, ha detto uno di loro all’AFP. Anche il quotidiano Il manifesto  è riuscito a parlare con uno di loro: “Era il 3 luglio quando siamo stati aggrediti a colpi di pietre nella nostra abitazione poco fuori Sfax. Ci siamo spaventati molto, siamo rimasti chiusi in casa e abbiamo chiamato la polizia. Ci hanno detto di non avere paura, che ci avrebbero portato al sicuro. Ci siamo fidati di loro e siamo saliti su uno degli autobus. Dopo qualche ora, eravamo 200 persone abbandonate nel deserto”. Solo dopo che le proteste erano diventate troppe per fingere di in averle sentite, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha fatto sapere che 158 persone sono state trasferite nella città tunisina di Tataoiune, avamposto del deserto tunisino. Altre 353 sono trattenute in strutture pubbliche a Medenine, poco più a nord. Messo alle strette, il presidente tunisino Kais Saied ha chiesto alla Mezzaluna Rossa di aiutare i migranti, ma ha tassativamente negato i maltrattamenti e ha ribadito che la Tunisia “è in preda a un tentativo di destabilizzazione da parte dei trafficanti di esseri umani”. Di centinaia di migranti, però, non si hanno più notizie. E molti di loro erano adolescenti.
Situazione analoga in Niger. Nel nord del Paese, nella regione di Agadez – una volta una via di comunicazione per le persone che migravano verso nord per lavorare in Libia o Algeria, o che cercavano di raggiungere l’Europa – la situazione è ancora più drammatica. Agadez, una volta chiamata “porta del deserto”, è uno dei pericolosi passaggi delle rotte migratorie. Qui le storie di persone che si sono perse nel deserto e sono scomparse sono tantissime. Lo stesso relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani ha più volte sollevato preoccupazioni sul fatto che si stiano spingendo le persone a intraprendere viaggi migratori più rischiosi e si stia mettendo fine al diritto alla libertà di movimento previsto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani UDHR (quella di cui hanno parlato i leader mondiali a New York in questi giorni).
Secondo Julia Black del progetto Missing Migrants, che documenta i migranti scomparsi, il numero dei morti nel deserto rimane sconosciuto. “I 212 morti che abbiamo registrato nel Sahara lo scorso anno sono solo la punta dell’iceberg. Le morti durante la migrazione trans-sahariana rimangono in gran parte invisibili, poiché documentare le morti in un’area vasta e inospitale come il Sahara è intrinsecamente una sfida enorme”.
Ma c’è un aspetto di cui nessuno parla. Il Niger, come la Tunisia (e prima di loro, la Libia e la Turchia) sono Paesi ai quali sono state concesse alcune delle maggiori donazioni dall’Unione europea: dal 2014 al 2020, al Niger sarebbero stati destinati oltre 1,3 miliardi di euro, buona parte dei quali destinati proprio alla gestione della migrazione. Tra il 2015 e il 2022, 13 dei 19 progetti finanziati dall’Ue  riguardavano i controlli alle frontiere del Niger. Secondo Privacy International, il Niger è diventato un “confine europeo esternalizzato“. Buona parte delle somme donate al Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa, un fondo da 5 miliardi di euro creato per affrontare le “cause profonde della migrazione irregolare”, includeva 11,5 milioni di euro per il controllo della migrazione, tra cui droni, software e telecamere. Fondi che sarebbero dovuti servire per aiutare persone come il migrante dal Senegal abbandonato sulla rotta del deserto e trovato, per caso, quasi morto di sete dalle autorità che accanto a lui “hanno trovato nove persone (morte)”.
La Commissione europea ha dichiarato di deplorare la “perdita di vite umane e di essere convinta che salvare vite umane sia un dovere morale”. L’Ue ha rinnovato il suo partenariato “contro il traffico di migranti” con il Niger, che ha definito un “partner chiave”, nel 2022. Anche qui come in Tunisia, i funzionari dell’Ue sono venuti spesso: recentemente una delegazione olandese ha promesso di redigere un proprio “partenariato migratorio”. I Paesi Bassi avrebbero deciso di sostenere gli sforzi di gestione della migrazione, contribuendo con 55 milioni di euro (47 milioni di sterline) all’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Niger per il periodo 2021-2023. Anche il Regno Unito ha contribuito con fondi all’IOM per un importo di 2,58 milioni di sterline per un progetto di un anno dal 2021-22 per combattere “il traffico e il contrabbando tra Nigeria e Niger”. Ma hanno dovuto ammettere che il confine è “estremamente poroso e non regolamentato”.
Intanto, mentre i governi europei continuano a riversare aiuti e soldi nelle casse dei Paesi di transito dei migranti, centinaia, migliaia di persone muoiono nel deserto. E molti di loro potrebbero essere minori stranieri non accompagnati.