Nagorno-Karabakh, si accendono le tensioni. Ci stiamo stupendo dell’ovvio?

di Giuliano Bifolchi *

Azerbaijan militariIl conflitto definito “congelato” del Nagorno-Karabakh torna a far parlare di sé in maniera preponderante dopo i recenti scontri che si sono registrati tra le truppe armene e quelle azere. A scendere in campo questa volta anche il presidente russo Vladimir Putin che, attraverso il suo portavoce, ha fatto un appello al “cessate-il-fuoco immediato” ed alla “moderazione per evitare ulteriori vittime”.
Le fonti ufficiali della autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh (NKR) hanno dichiarato che le truppe azere hanno condotto un’offensiva con artiglieria pesante, blindati e mezzi dell’aeronautica lungo tutta la linea del fronte per diverse ore; l’attacco ha portato alla morte di diversi soldati e di civili, tra cui anche due bambini. La nota di Stepanakert afferma che le truppe della NKR hanno respinto l’attacco azero abbattendo anche un elicottero che minacciava lo spazio aereo del territorio del Nagorno-Karabakh.
Il governo di Baku ha smentito la perdita dell’elicottero e denunciato gli attacchi armeni effettuati con artiglieria pesante, mortai, lanciagranate e mitragliatrici contro diverse postazioni di fanteria i quali hanno causato la morte di un uomo ed il ferimento grave del figlio.
Il rimpallarsi la colpa è una costante che si registra ogni volta che avvengono degli scontri lungo la linea di confine tra le forze armene e quelle azere in un’area contesa tra le parti da decenni. Nel 1988 iniziarono le tensioni in merito al territorio del Nagorno-Karabakh tra la popolazione armena locale e gli azeri che portarono al conflitto del 1992-1994 terminato con il cessate il fuoco tra le parti, la creazione della autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh non riconosciuta a livello internazionale, l’occupazione del 20 per cento del territorio azero (Nagorno-Karabakh e sette distretti limitrofi), e la costituzione del Gruppo di Minsk dell’OSCE presieduto da Russia, Stati Uniti e Francia che avrebbero dovuto favorire il processo di pace e la stabilizzazione della regione mentre hanno pensato soltanto a curare i propri interessi politici e strategici.
La notizia di questa escalation di violenza non sorprende di certo gli addetti ai lavori, anzi l’intensificarsi delle violenze tra le parti era già nell’aria da tempo. Lo scorso agosto la linea di confine armeno-azera era tornata alla ribalta sui quotidiani internazionali a causa delle ripetute accuse da parte del ministero della Difesa dell’Azerbaigian e di quello della NKR di una violazione del cessate il fuoco e dell’uso di artiglieria pesante (Armenia – Azerbaigian: torna a scaldarsi la linea di confine). Non si deve neanche dimenticare il clamore che ha circondato le elezioni amministrative che si erano tenute nel Nagorno-Karabakh a settembre: Baku aveva denunciato tale processo elettorale come irregolare perché avveniva in uno Stato autoproclamatosi indipendente che in realtà, secondo la posizione azerbaigiana, fa parte del territorio nazionale e sovrano dell’Azerbaigian rimasto occupato dalle truppe armene dopo il cessate il fuoco del 1994 (Le elezioni in Karabakh: nuovo motivo di contesa tra Armenia ed Azerbaigian).
Non è possibile narrare tutta la lunga lista di episodi di violazioni del cessate il fuoco, accuse reciproche, ricorsi alla comunità internazionale da entrambe le parti che hanno caratterizzato i rapporti tra Armenia e Azerbaigian e l’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh e che avrebbero dovuto mettere maggiormente in guardia propria la comunità internazionale.
Nagorno Karabakh fuoriA questi è possibile aggiungere la politica effettuata dal governo di Baku in merito proprio al conflitto: attraverso i suoi rappresentanti l’Azerbaigian ha sempre dichiarato che, qualora la diplomazia internazionale non avesse favorito la restituzione del territorio occupato del Nagorno-Karabakh ed i sette distretti limitrofi, l’unica soluzione percorribile sarebbe stata quella dell’intervento armato. Lo stesso ex ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Vaqif Sadiqov (mandato terminato lo scorso dicembre 2015), in un’intervista per Notizie Geopolitiche aveva confermato la posizione di Baku e dichiarato che “…La condizione essenziale è quindi che l’Armenia ritiri il suo esercito dalla regione, e che i profughi azeri possano tornare nelle loro case. È palese che è nostra intenzione riprendere il pieno controllo del territorio che ci appartiene: l’Azerbaijan si sta rafforzando, mentre l’Armenia è sempre più debole e dipendente in campo energetico e militare dai paesi stranieri. Loro se ne sono accorti, ed hanno paura… ed hanno ragione ad averne. Perché forse non domani, ma a breve ci riprenderemo quello che è nostro” (Lo slancio dell’Azerbaijan verso l’Europa. E la ferita del Nagorno Karabakh. Intervista all’Ambasciatore Sadiqov).
Come affermava nel gennaio del 2014 l’allora ambasciatore Sadiqov, l’Azerbaigian si stava notevolmente rafforzando a livello militare, processo che ha interessato il paese per un intero decennio e che ha rappresentato da sempre una minaccia per la sicurezza regionale.
Nel 2004, anno di elezione di Ilham Aliev come presidente, il budget della difesa era di soli 175 milioni di dollari, ma con il tempo il governo di Baku ha destinato sempre più fondi al settore riuscendo nel 2011 a raggiungere quota 3.1 miliardi di dollari in armi e sistemi di difesa superando l’intero budget annuale dell’Armenia attestato a 3.06 miliardi di dollari. Negli ultimi cinque anni, ossia nel periodo 2010-2015, l’Azerbaigian ha speso più di 20 miliardi di dollari per gli armamenti vedendo tra i suoi principali partner la Turchia, Israele e la Russia, storico alleato dell’Armenia. Ed anche ora che il paese è investito dalla crisi economica dovuta alla caduta dei prezzi del petrolio il budget per la difesa, seppur ridotto in parte, rappresenta sempre una parte cospicua del PIL.
Non solo per l’Azerbaigian la forza militare rappresenta una valida soluzione al conflitto; in tutto il 2015 si era intensificata la partnership militare tra Mosca e Erevan con quest’ultima dipendente proprio dalle forze militari russe sul proprio territorio come forma di deterrenza per l’Azerbaigian (Armenia. Nuove esercitazioni russe, ma alleanza con Mosca è obbligata). E mentre il governo armeno chiede aiuto a quello russo per un conflitto che porta via soldi ed energie e per supportare la NKR nel suo processo di riconoscimento internazionale, la popolazione dello Stato armeno vive in una situazione economica sempre più dipendente dagli aiuti economici russi e precaria come dimostrato dalle manifestazioni di piazza dello scorso giugno a causa del rincaro dei prezzi dell’energia elettrica imposto dalla holding russa Inter RAO (Armenia. Le proteste di pizza mettono in luce l’instabilità del paese).
Neanche il governo di Erevan è esente da critiche per la spesa militare visto che l’Armenia si configura tra i primi paesi al mondo con il maggiore livello di militarizzazione e con una spesa militare pari al 4% del PIL nazionale. Facendo fede ai dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), il paese avrebbe speso 3,591 miliardi di dollari nel periodo 2001-2012 per l’acquisto di equipaggiamenti militari ed ha incrementato la spesa annua per la difesa da 159 milioni di dollari nel 2001, ossia il 3,1% del PIL, a 451 milioni di dollari nel 2013, ossia il 4% del PIL.
E che dire dell’intervento di Putin come mediatore tra le parti? Un gesto nobile, ma forse molti dimenticano che soltanto lo scorso febbraio la Federazione Russa ha concesso un credito di 200 milioni di dollari all’Armenia per l’acquisto di equipaggiamenti militari e che Mosca è il primo sostenitore dal punto di vista economico e militare dello Stato armeno (Armenia. Accordo con Mosca per un credito finalizzato all’acquisto di armi). I legami tra il Cremlino e Erevan sono forti e duraturi ed il recente incontro tra Putin e Sargsyan a Mosca ha confermato ulteriormente il supporto russo all’Armenia e la partnership strategica tra le due parti (La Russia rafforza le proprie relazioni con l’Armenia in ottica strategica).
La Russia, come visto in precedenza, ha contribuito ad accresce il potenziale bellico anche di Baku attraverso la vendita di armi a dimostrazione di come il business spesso non ha né ideali né bandiere: secondo i dati di SIPRI l’85 per cento delle armi importante dall’Azerbaigian provengono dalla Russia e nel periodo 2013 e 2014 il commercio di armi tra i due paesi ha avuto un valore pari a 4 miliardi di dollari.
È chiaro quindi l’interesse russo per il Caucaso, regione strategica fondamentale facente parte fino al 1991 dell’Unione Sovietica, che nel mese di marzo ha visto delinearsi un quadro geopolitico molto interessante (The geopolitical game in South Caucasus). L’incontro tra Putin e Sargsyan, come visto in precedenza, ha sottolineato la partnership strategica tra Armenia e Russia, stessa partnership esistente però tra l’Azerbaigian e la Georgia, paese amico-nemico di Mosca come ha dimostrato il recente conflitto russo-georgiano del 2008 che ha visto la perdita di Abkhazia e Ossezia del Sud da parte di Tbilisi in favore della loro indipendenza promossa dal Cremlino. Nel meeting avvenuto tra Aliyev e Marghvelashvili a Baku, il presidente georgiano aveva posto l’attenzione sulle relazioni economiche e strategiche azero-georgiane e inglobato in un discorso di politica economica e regionale anche la Turchia, paese divenuto “nemico” del Cremlino dopo l’abbattimento dell’aereo russo Su-24 lo scorso novembre dopo l’intervento russo in Siria (Margvelashvili, ‘Si intensificano le relazioni Georgia – Azerbaigian in chiave economica e strategica’).
Ma questo conflitto tra due repubbliche dello spazio Sovietico coinvolge molto anche l’Europa e vede proprio tra le ulteriori cause di attrito l’Unione Europea. Gli interessi sono molti in merito alla regione del Caucaso meridionale, non si può nascondere l’ovvietà, infatti Bruxelles ha improntato la propria strategia energetica puntando sulle risorse naturali dell’Azerbaigian in modo da ridurre la dipendenza dalla Federazione Russa per quanto riguarda il gas naturale, specialmente dopo lo scoppio della crisi Ucraina e le sanzioni ai danni di Mosca.
Da una parte quindi l’Unione Europea supporta l’Azerbaigian, ed in molti casi ha chiuso entrambi gli occhi in merito alla situazione politica e sociale del paese caucasico, dall’altra però non può recedere completamente i rapporti con l’Armenia cristiana con cui ha radici storiche, culturali, religiose secolari ma che “va a braccetto” con la Russia.
Di recente era stata propria l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) a “seminare zizzania” tra le due parti quando lo scorso 26 gennaio approvò il lavoro di Milica Marković, rappresentante della Bosnia ed Herzegovina, il quale accusava l’Armenia di aver privato delle risorse idriche gli abitanti delle regioni di frontiera dell’Azerbaigian a causa della mancata manutenzione ed errata gestione delle acque di Sarsang. Lo stesso giorno era stato presentato ma non approvato il report del britannico Robert Walter che denunciava il completo supporto armeno al Nagorno-Karabakh e di fatto un’occupazione armena del suolo azerbaigiano (Nagorno-Karabakh: se è il Consiglio d’Europa a complicare le cose…).
A giugno invece erano state le risoluzioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) a scaldare gli animi tra Baku e Erevan in merito ai casi “Chiragov ed altri contro l’Armenia” e “Sargsyan contro l’Azerbaigian” che avevano sottolineato principalmente un aspetto fondamentale, ossia che da entrambe le parti vi era stata una violazione dei diritti dell’uomo ai danni sia dei cittadini azeri che di quelli armeni (Nagorno-Karabakh: Strasburgo dà ragione all’Azerbaigian).
A conclusione di questa panoramica mi sembra scontato che i due paesi, all’interno di un quadro di giochi geopolitici che vede opporsi a livello regionale Russia, Turchia ed Iran ed a livello internazionale Russia, Unione Europea e Stati Uniti, abbiano raggiunto un punto di collisione elevato culminato nella recente escalation di violenza. Le potenze internazionali ed anche l’Italia, diretta interessata alla regione per i rapporti internazionali e per motivi economici, avrebbero dovuto preoccuparsi maggiormente della situazione di una regione che, se destabilizzata, potrebbe non solo danneggiare gli armeni e gli azeri, ma avrebbe anche ripercussioni a livello economico e di sicurezza devastanti in un clima internazionale contraddistinto dal terrorismo capace di andare a colmare vuoti di potere creati da instabilità e scontri interni. Il conflitto del Nagorno-Karabakh non è cessato ieri, ma nel 1994 e da quel giorno ad oggi forse troppe occasioni sono state perse per portare la pace nella regione e troppi interessi hanno oramai infuso odio tra la popolazione armena e quella azera.
Il mondo forse dovrebbe ricordare le parole di Hannah Arendt quando affermava che “La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri” Gli stessi poteri che ora stanno giocando con la vita ed il futuro di milioni di persone.

*Al momento della stesura dell’articolo erano incerti i dati relativi alle perdite da entrambe le parti vista anche la propaganda attuata dai due governi in merito alle vittime. Per maggiori informazioni e per dati aggiornati in tempo reale si rimanda al Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero della Difesa dell’Azerbaigian, al il Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero della Difesa dell’Armenia ed alla Presidenza della NKR.

bifolchi fuoriGiuliano Bifolchi. Analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti e Relazioni Internazionali. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peace Building Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura specializzandosi in Open Source Intelligence (OSINT) applicata al fenomeno terroristico della regione mediorientale e caucasica. Ha collaborato e continua a collaborare periodicamente con diverse testate giornalistiche e centri studi.