Nagorno Karabakh. Un esempio del nazionalismo neo-ottomano avallato dalla Russia

di Grigor Ghazaryan * –

Ci sono angoli nel mondo dove i meccanismi internazionali per la risoluzione dei conflitti non funzionano. Specie nei territori dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), riconquistati dagli azeri dopo l’aggressione del 2020, grazie ad attori quali la Turchia e la Russia. La parte armena non rinuncia ancora alla risoluzione negoziale del contenzioso (un’iniziativa ovviamente unilaterale), cercando appoggio nell’elemento russo, il quale ha monopolizzato il settore del conflict-management nel Nagorno Karabakh dimostrando al contempo una presenza trasparente, anche un po’ estremista nella sua forma di neutralità, ragione per cui nei primi giorni di agosto si sono verificati gravi scontri nei pressi del corridoio di Berdzor (Lachin), con l’esito di due soldati morti e diciannove feriti solo dalla parte armena.
Il nazionalismo azero e la politica di armenofobia si manifestano in un ventaglio di segni – parole, immagini, dichiarazioni, discorsi e azioni. Basta vedere l’immagine della toppa di una famosa uniforme militare azera raffigurante Enver Pasha, fondatore del moderno stato dell’Azerbaigian, il quale è stato uno degli organizzatori del Genocidio armeno del 1915, ed esperto di deportazioni e stragi, e una citazione che riprende orgogliosamente l’ideologia del genocidio: “Non scappate, armeni, morirete stanchi”.
Come dovremmo interpretare segni del genere: “impulsi positivi” dell'”Era della Pace”? Silenzio dall’Europa e silenzio anche dalla parte della Russia…
Molti politici e analisti armeni evitano di commentare il comportamento della Russia nei confronti dell’Ucraina, siccome l’Armenia e l’Artsakh sono di fatto attanagliate fra le forze “pseudo-pacifiste” di Vladimir Putin e gli insistenti proxy-agressori di Recep Tayyp Erdogan.
Parlano invece di un desiderabile ripristino del formato di Minsk, il gruppo Francia-Russia-Usa, oramai in disarmonia a causa della questione ucraina. E comunque i format perdono il loro significato e la loro funzionalità, specialmente se le maggiori “fonti dei discorsi diplomatici” spesso confondono la sicurezza nazionale armena con livori nazionalistici. Invece i diritti fondamentali della popolazione armena dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) vengono visti sempre come secondari rispetto a quelli di chi due anni fa è riuscito a privare completamente città armene quali Shoushi e Hadrout dalla presenza armena, continuando oggi a distruggerne orgogliosamente le tracce millenarie.
Oggi, sotto i droni e i colpi dei terroristi (tra l’altro esportati tramite la Turchia verso altri fronti in Europa), diventa ovvio che il movimento dell’Artsakh è essenzialmente di natura liberatoria e autodifensiva, e che fin dall’inizio del conflitto la necessità di autodeterminazione è nata naturalmente da una ripetuta e comprovata minaccia genocidiaria pronunciata dagli “stati fratelli” Turchia e Azerbaijan (la negazione del genocidio del 1915, l’organizzazione dei pogrom di Sumgait e Baku contro le minoranze armene dell’Azerbaijan, ecc.), manifestatasi in una vergognosa ideologia armenofoba, portata a livello statale dal regime degli Aliyev.
Infine il diritto all’autodeterminazione sulla base del concetto di secessione come ultimo rimedio, si consolida e diventa una condizione vitale, specialmente nel contesto plasmato dall’aggressione del 2020, uno scontro che ha segnato una brutta svolta ed ha dato via all’uso della forza anche per gli attori di altri conflitti internazionali.
Nelle continue minacce, nel militarismo isterico e nello sfacciato uso della forza i turchi dimostrano che c’è veramente un imperativo per il popolo armeno di non solo mantenere le forze armate, ma di svilupparne le capacità e di diversificare il contingente delle forze di pace affinché il popolo dell’Artsakh possa esistere sulla propria terra natale, preservando la propria cultura armena. E le garanzie della protezione di questa cultura sono un obbligo morale per tutti gli Stati che si considerano democratici e non asserviti alla dittatura petrolifera di Aliyev. Sono obbligati a proteggere il diritto degli Armeni, popolo autoctono del territorio in questione, il loro diritto a non essere sfollati, se speriamo ancora di poter costruire un mondo dove saranno gli interessi economici a servire le persone, e non il contrario
.

* Phd, Professore Associato, Università Statale di Yerevan.