Nel cuore del Congo. La Repubblica Democratica percorsa da mesi di violenze

di Enrico Oliari –

Le Città – Sono oltre un milione e seicentomila, quasi quanti in Siria, gli sfollati nella Repubblica democratica del Congo, in fuga dalle violenze dovute agli scontri fra l’esercito di Kinshasa ed i ribelli del movimento Marzo 23 (conosciuto come “M23”), il quali contestano il risultato elettorale che il 28 novembre 2011 ha riconfermato il giovane Joseph Kabila, figlio del presidente assassinato Laurent-Desiré, alla guida del paese.
La storia della Repubblica democratica del Congo (da non confondersi con la confinante Repubblica del Congo o Congo Brazzaville) è un insieme di colpi di stato e di soprusi sulla popolazione fin dal 1960, anno dell’indipendenza dal Belgio, ed ancora oggi il paese africano, con i suoi 72 milioni di abitanti, non conosce pace, specialmente nelle regioni orientali, dove le città passano in continuazione dalle mani del governo a quelle dei combattenti del M23 e viceversa.
Al loro passaggio i ribelli si rendono protagonisti di ogni sorta di violenza, sparano sui civili, saccheggiano le case, incendiano villaggi, uccidono gli uomini, stuprano le donne ed arruolano bambini ed adolescenti per farne soldati o schiavi: il 20 novembre scorso il M23 ha preso il controllo di Goma, città di 250mila abitanti capoluogo della provincia del Kivu Nord, quindi è stata la volta di Sake ed i altri centri minori.
Il tutto si è svolto nell’impossibilità di azione dei soldati della missione Onu (Monusco), mentre i 2mila miliari governativi ed i 500 poliziotti della città sono stati radunati nello stadio e, con una cerimonia plateale, sono stati inquadrati nell’esercito ribelle.
Nella sacca di Goma sono rimasti bloccati anche una decina di italiani e giustamente si è chiesto critico il ministro degli Esteri del Belgio, Didier Reynders: “Com’è possibile che una delle più grandi operazioni dell’Onu in tutto il mondo, con circa 17.000 peacekeepers, non riesca a fermare una rivolta?”.
La marcia dei rivoltosi è continuata spedita e, come ha assicurato Viannay Jazarama, portavoce del movimento, “non abbiamo intenzione di fermarci a Goma, arriveremo alla conquista di Bukavu, Kisangani e Kinshasa”: dietro a loro vi sono gli interessi incrociati di Ruanda ed Uganda e lo scorso 23 novembre è stato persino sospeso il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, il generale Gabriel Amisi, dopo che è venuto alla luce un traffico di armi tra l’esercito ed i miliziani del Movimento 23 Marzo, alla testa del quale ci sarebbe stato proprio Amisi.
Finalmente lo scorso 30 novembre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una Risoluzione con la quale ha rinnovato per ulteriori 14 mesi le sanzioni nei confronti della Repubblica Democratica del Congo ed ha invitato il movimento degli insorti a cessare le violenze, specialmente sulla popolazione. Le misure finanziarie, le restrizioni di viaggio e sulle armi, saranno in vigore sino al 1 febbraio 2014, ma non è un mistero il fatto che da quelle parti passa comunque di tutto, basta pagare.
La Repubblica democratica del Congo è infatti uno dei molti paesi dell’Africa in cui ben si adatta il lavoro del trafficante di armi, come nel film che vede protagonista Nicolas Cage “Lord of war” (2005) o in quello con il nostro Alberto Sordi, “Fin che c’è guerra c’è speranza” (1974).
Il fatto che dietro ai ribelli del M23 ci siano il Ruanda e l’Uganda non è un mistero: oltre a Kinshasa, anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha denunciato la presenza di “più di un migliaio di soldati ruandesi che hanno affiancato l’M23 durante le operazioni militari nel villaggio di Kibumba”, mentre 500 soldati dei due paesi hanno partecipato alla conquista di Goma, città che si trova in una ricca regione mineraria di indubbio interesse per tutti.
Già pochi giorni dopo ribelli e soldati stranieri si sono ritirati gradualmente dai territori conquistati in vista dei colloqui di Kampala, volti a favorire una tregua fra le parti.
“Ancora una volta ci viene imposta una guerra ingiusta, abbiano già detto tutto su questa guerra di aggressione del Ruanda” – ha affermato pochi giorni fa il presidente Kabila in occasione del suo appello ai giovani per invitarli ad arruolarsi.  “Chiederemo una modifica del mandato della missione Onu in Congo – ha affermato – perché i Caschi Blu, dispiegati nell’est del Paese, non sono intervenuti contro i ribelli”.
La situazione nella Repubblica democratica del Congo è quindi in divenire, ma lascia stupiti come la Comunità internazionale, attentissima a quanto succede a Gaza o in Siria, sembra non curarsi di quanto avviene in quella parte di Africa, quasi ci siano vittime delle violenze di serie A e di serie B.
La Repubblica democratica del Congo ha un prodotto interno lordo pari a 21.352 mln di dollari (2009, 116º posto) ed un pil pro capite di 328 dollari (2010, 180º posto). Nonostante la bilancia commerciale sia altalenante, l’Italia resta uno dei clienti principali del paese, importando per lo più petrolio e legame grezzo e lavorato; esporta verso il Congo tecnologia di diverso genere, da macchinari per l’industria a strumenti per le telecomunicazioni. Diverse le iniziative umanitarie italiane e laziali, sia religiose, che laiche, come la Amka Onlus, con sede in via Flaminia Nuova a Roma, la Lorenzo ChiAma il Congo Onlus di Fiano Romano (che a Kinshasa ha aperto un ospedale), la Imagine Onlus di via dei Volci, a Roma e la Magic Amor di via Teleggio, Roma, tanto per citare le principali.

L’intervista: E a Roma c’è una donna che ha il Congo nel cuore. Incontro con l’associazione LorenzochiAmailcongo

Articolo di Enrico Oliari, Le Città – Settimanale di Roma e del Lazio