Nuovi fronti di guerra civile nel Sudan. Ma c’è chi fomenta i separatismi

di Guido Keller –

E ormai emergenza umanitaria nella parte meridionale del Sudan, nella regione del Nilo Azzurro, dove i 600.000 abitanti dello stato confederato si sono trovati al centro di aspri combattimenti fra l’esercito regolare sudanese ed i separatisti: secondo l’ONU sono quasi 30.000 i profughi che negli ultimi due mesi si sono spinti verso i confini dell’Etiopia e del neonato stato del Sudan del Sud, indipendente dal 9 luglio scorso.  L’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha già aperto un nuovo campo profughi a Tongo, in Etiopia, mentre è ormai saturo il campo di Sherkole, il quale ha raggiunto la capacità limite di 8.700 persone.
Gli scontri sono scoppiati il 2 settembre scorso fra i separatisti fedeli al governatore eletto Malik Agar, simpatizzante degli ex ribelli del Sud, e le forze governative del presidente Omar al Bashir, il quale, non appena avuto il sentore di disordini, aveva immediatamente dichiarato lo stato d’emergenza e nominato un governatore militare per la regione.
In realtà è tutta la parte meridionale del Sudan ad essere in fiamme, tanto che si pensa che quanto sta accadendo nella regione del Nilo Azzurro sia un escalation partita dal vicino Kordofan, anch’esso percorso da vene separatiste e confinante con il Sudan del Sud: il Kordofan è ricchissimo di petrolio, mentre nel Nilo Azzurro si trova uno dei più importanti impianti idroelettrici dell’intera nazione, ovvero la diga di Roseires.
Ad essere al centro degli scontri è da subito stata la cittadina di al-Damazin, dalla quale sono state sfollate senza assistenza ben 16.000 persone e che oggi, a quanto riferiscono testimoni, si presenta disabitata, in uno scenario spettrale.
A metà settembre il presidente del Sudan al Bashir aveva incassato l’approvazione della messa in stato di emergenza del Nilo Azzurro da parte del parlamento, dove il leader del comitato per le Emergenze Ismail al-Haj Mussa aveva dichiarato l’intenzione di ‘respingere tutti i tipi idi interferenze o pressioni, non importa da dove vengano’ e di ‘difendere la sovranità del Sudan’; nonostante questo non sono mancate le accuse a Juba, capitale del Sudan del Sud, di appoggio economico e militare ai separatisti, cosa che lascerebbe intravvedere possibili reazioni nei confronti dello stato resosi da poco indipendente.
Lo stesso governatore eletto della regione del Nilo Azzurro, Malik Agar, appartiene al partito di Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese, capeggiato da Salva Kiir Mayardit ed oggi formazione di maggioranza nel Sudan del Sud.
Quella del Nilo Azzurro è una situazione assai più grave di quella non trascurabile della regione delle Montagne di Nuba, dove le realtà tribali sono in agitazione contro il governo centrale di Khartoum, il quale ha già ribadito in modo perentorio che tutti gli Stati al confine – Abyei, Sud Kordofan e Nilo Blu – appartengono al Nord, cioè al Sudan.
Proteste per i bombardamenti dell’aviazione regolare sulla popolazione civile sono state espresse dal Parlamento Europeo, il quale ha anche votato una Risoluzione per chiedere al Sudan la cessazione della violazione dei diritti umani, mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio Francis Deng ha intimato al governo sudanese di rispettare il suo impegno per la protezione della popolazione civile.
Il 20 settembre scorso tre parlamentari sudanesi si sono dimessi accusando il governo di azioni di “pulizia etnica” nelle montagne di Nuba, un’azione che da giugno 2011 avrebbe causato la morte di 2.132 persone.
Il giorno dopo, il 21 settembre, l’esercito sudanese prendeva il controllo di zone strategiche della parte sud-orientale della regione del Nilo Azzurro, sequestrando, a quanto ha riferito il portavoce Sawarmi Khaled Saad ‘cinque carri armati e quattro veicoli armati’; il dispiegamento delle forze separatiste nella zona era stato organizzato per evitare che l’esercito di Khartoum tagliasse la strada per Kurmuk, loro roccaforte sulla frontiera etiopica. Pesanti scontri e tensioni si hanno anche nella regione del Fiume delle Gazzelle (Bahr el-Ghazal) e nel Darfur meridionale, altra zona ricca di materie prime dove la popolazione nera si scontra con quella immigrata secoli fa dalla Penisola Arabica, nonostante entrambe siano, a differenza di quella del Sud Sudan, di religione islamica.