Panama Papers e paradisi fiscali, l’analisi di Vincenzo Visco

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Visco fesival trentoSe c’è una notizia che negli ultimi mesi ha fatto il giro del mondo e ha fatto tremare più di una persona è quella dei “Panama Papers”, che ha riportato d’attualità la questione dei paradisi fiscali usati da persone fisiche e da imprese. Ma qual’ è il loro ruolo nella finanza internazionale? Come si possono contrastare? Alle domande di James Politi, giornalista del Financial Times, ha risposto, nell’aula Kessler di Sociologia, Vincenzo Visco, Professore emerito di Scienza delle finanze presso l’Università La Sapienza di Roma ed ex ministro delle Finanze e viceministro dell’Economia, oggi presidente del centro studi NENS.
Vincenzo Visco ha ricordato in apertura i numeri della vicenda e come questa non rappresenti un caso unico al mondo ma, al contrario, come ci siano stati importanti precedenti. “Sta succedendo però – ha detto l’ex ministro – che i segreti che circondano i paradisi fiscali comincino a traballare. C’è sempre più intolleranza nei paesi colpiti dalla crisi economica di fronte all’evidenza che i cittadini più abbienti possano spostare i capitali in paradisi fiscali, non pagando le imposte. Si sta diffondendo una pressione sociale perché i governi facciano qualcosa”. La fotografia della realtà fatta da Visco è impietosa. Al mondo esistono tra 60 e 90 realtà che possono essere considerate paradisi fiscali, il quadro è variegato, dal punto di vista delle norme che vi si applicano, anche se ci sono alcune caratteristiche comuni; per esempio il livello basso o nullo della tassazione, la segretezza, l’aggiramento di diverse normative applicate invece altrove, la protezione del mercato interno a svantaggio delle giurisdizioni estere, la presenza di un’industria finanziaria sovradimensionata rispetto all’economia del paese, la stabilità politica e la mancanza di una opposizione forte. I clienti tipici sono i più diversi, comprese banche, servizi segreti, criminalità, società. I paradisi fiscali offrono servizi alle elite potenti e non alla gente comune. L’elenco che Visco presenta spazia un po’ in tutto il mondo e comprende molti paesi vicini a noi. “I paradisi fiscali – ha spiegato Visco – servono a ripulire capitali di dubbia provenienza, ad operare senza controlli, a non pagare le tasse”. E’ inoltre difficile risalire ai veri titolari dei conti, senza contare i risparmi che questi paesi offrono nella gestione dei capitali. “Oggi – ha spiegato Visco – il sistema “offshore” è parte integrante del mondo finanziario internazionale. E’ un vero e proprio sistema di gestione finanziaria che riguarda tutto il mondo. Le sue dimensioni sono enormi.” I paradisi fiscali sono molto utilizzati, per esempio, dalle multinazionali; la scusa è quella di evitare la doppia imposizione ma la verità è che in questo modo spesso riescono ad ottenere invece una doppia mancata imposizione. Per Visco anche la “New Economy”, con i patrimoni delle società costituiti prevalentemente da brevetti, ha trovato nei paradisi fiscali un riferimento importante. Il sistema dei “paradisi fiscali” ha contribuito a finanziare la globalizzazione ma è stato coinvolto pressoché in ogni crisi finanziaria mondiale. Per superare la situazione attuale bisognerebbe cambiare il modello di sviluppo mondiale, mettere dei limiti alla circolazione del denaro, limitare il potere delle banche, sconfiggere gli interessi dei più ricchi. La strada è ancora molto lunga ma qualcosa si sta muovendo su due fronti: il segreto bancario e l’elusione fiscale. Servirebbero, secondo Visco, nuove regole, per esempio per la redazione dei bilanci delle società e per la ripartizione dei proventi fiscali tra i paesi dove le stesse operano. Però gli interessi in gioco sono enormi, tanto che è difficile per i governi reggere alle pressioni delle lobby interessate a mantenere le cose come sono. “Però avremo altri casi Panama Papers – ha concluso Visco – ne sono convinto”.