Politiche di esternalizzazione e principio di “non Refoulement”. Cosa sono?

di Carmine Stabile

Il crescente aumento dei flussi migratori tra Europa e Nord Africa continua ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, originando periodiche e vivaci discussioni sulle dimensioni di un fenomeno che ormai interessa l’Europa da decenni.
Dall’inizio dell’anno il cruscotto statistico in Italia conta all’incirca 100mila sbarchi. Ciò ha portato ad un sovraffollamento degli “hotspot” ossia dei modelli organizzativi per la gestione delle persone. L’Italia è da sempre soggetto passivo delle migrazioni. Questa passività è data dalla sua ubicazione strategica al centro del Mediterraneo. Negli ultimi giorni si è parlato molto di politiche di esternalizzazione.
Con il termine esternalizzazione, si intende il processo attraverso il quale i paesi considerati di destinazione delle migrazioni tentano di divulgare determinate politiche di gestione e di controllo delle migrazioni nei paesi che sono invece considerati di origine o per meglio dire di transito.
Per la prima volta si iniziò a parlare di esternalizzazioni, durante la conferenza di Evian del luglio del 1938, che fu organizzata al fine di migliorare l’accoglienza degli ebrei in fuga dal regime nazista dai territori tedeschi e austriaci; ma gli Stati democratici impedirono l’ingresso regolare agli ebrei e negoziarono proprio con il regime nazista forme di controllo al fine di limitare queste immigrazioni. Nel corso del tempo l’esternalizzazione è cresciuta, in qualità del fatto che ogni Stato e la stessa Ue hanno ultimato accordi di riammissione con persone in situazioni di soggiorno irregolare, ovvero coloro che transitano irregolarmente dal territorio dello Stato estero firmatario, additando su tale Stato un controllo più solido delle frontiere.
L’obiettivo delle politiche di esternalizzazione è quello di impedire o limitare quello che è l’accesso delle persone straniere, verificando il rispetto delle norme costituzionali, europee e internazionali che tutelano i diritti fondamentali delle persone e della ricerca di strumenti giuridici che fungono da contrasto alle violazioni.
In ambito giuridico troviamo il principio di “non refoulement” sancito dall’articolo 3 della convenzione di Ginevra sullo status del rifugiato. Tale principio consiste essenzialmente nel divieto, da parte degli Stati, di respingere (refouler) uno straniero verso uno Stato dove questi può essere oggetto di maltrattamenti.
Una criticità evidenziata nel principio di “non refoulement”, riguarda l’ambito in cui un individuo si trovi al confine. Secondo la CEDU (Corte europea dei Diritti dell’uomo) i soggetti stranieri che si trovano al confine rientrano già sotto l’autorità dello Stato interessato. Nonostante questa criticità, si può appurare che il principio di “non refoulement” protegge anche gli stranieri che non sono entrati nel territorio dello Stato, ma che si trovano ancora alla frontiera.