Siria. Dopo la voce grossa, Obama dà la parola al popolo. Per uscire dall’impasse

di Enrico Oliari –

obama serio grandeSull’attacco alla Siria di Bashar al-Assad c’è un modo per Obama, Hollande e Cameron di rinunciare all’attacco senza cadere nell’imbarazzo di chi è costretto a rimangiarsi la parola: passare la responsabilità della decisione al popolo.
Data da subito come scontata, anche per il viavai di navi da guerra nel Mediterraneo orientale al punto che non ci passa neppure uno yacht, l’azione risolutiva degli Stati Uniti contro il regime siriano continua ad infrangersi come un’onda contro gli scogli della presenza militare russa e degli interessi cinesi nel paese mediorientale. La Russia ha a Tartus, in Siria, la sua unica base al di fuori dell’area dell’ex Unione Sovietica, la sola in un panorama che va dal Marocco al Kirghizistan (con l’esclusione del solo Iran) che ospita basi statunitensi. Si tratta di un centro non secondario, come qualcuno ha invece cercato di minimizzare, tanto che vi sono ammassate navi da guerra, sottomarini nucleari, base di lancio per missili, aerei ed un nutrito contingente di terra. La Cina ha sempre avuto la mira di fare dei porti siriani il proprio approdo nel Mediterraneo, vicino alla ricca clientela europea, e soprattutto ha con il regime in essere contratti miliardari per la costruzione di infrastrutture e l’impianto di telecomunicazioni. Non si tratta di cose da poco, sulle quali lo Zio Sam può permettersi il lusso di sorvolare, poiché se l’Iran si mette da parte e le sue minacce vengno sistematicamente ignorate, la Russia e la Cina sono due dei cinque paesi che al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno diritto di veto.
Obama in questi giorni è arrivato addirittura a calare la posta, a minacciare di colpire solo qualche obiettivo, giusto per dare una dimostrazione, ovvero a lanciare un’azione che serve a poco o a niente, ma, a quanto sembra, da Mosca non è arrivato il via libera neppure per quella.
Così al momento i missili Tomahawk rimangono freddi nei cilindri delle loro navi, disposte a ventaglio davanti ad un paese immerso nella guerra civile, dove sostenere il fronte anti-regime significa (e questo non piace ad Israele) essere dalla parte anche dei qaedisti di Jabat al-Nusra, di quelli dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante e di quelli della Brigata della Madre dei credenti di Aisha, protagonisti di violenze di ogni genere ed ormai in guerra aperta sia con i curdi che con l’Esercito libero siriano.
La cosa migliore per uscire dall’impasse è quindi girare la palla al popolo, o meglio, ai suoi rappresentanti, i quali rispondono direttamente ai loro elettori stanchi di guerre più o meno giuste, spesso motivate da interessi viziosi fatti passare come virtù: basti pensare che la “torta” per la ricostruzione dell’Iraq, invaso per le armi di distruzione di massa del tutto inesistenti, è di 500 miliardi di dollari, senza contare l’industria bellica ed il controllo del prezzo del petrolio.
I quattordici ispettori delle nazioni unite hanno già consegnato al Segretario Generale Ban Ki-moon i risultati dei loro sopralluoghi, ma chi non si ferma alla drammaticità dei 1400 morti nei sobborghi di Damasco, sa che la questione delle armi chimiche in Siria è assai complessa, anche perché sono già state utilizzate in febbraio… dai “ribelli”, o meglio, dai miliziani provenienti da ogni dove (vi sono persino gruppi ceceni) che si sono calati in quel drammatico conflitto per i motivi più disparati, anche per far partire quel sogno di califfato ambito e finanziato dal Qatar.
Lo aveva già detto in maggio l’ex Procuratore del Tribunale penale internazionale ed attuale membro della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Siria, la svizzera Carla Del Ponte: “I nostri ispettori sono stati nei Paesi vicini a intervistare vittime, medici e negli ospedali da campo. In base ai loro resoconti ci sono sospetti forti e concreti, ma non prove inconfutabili, dell’uso di gas sarin”; tuttavia ad “oltrepassare la linea rossa” indicata dal presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, “sono stati i ribelli, l’opposizione, non le autorità del governo siriano”.
Un marasma quindi quello siriano, in cui, come si direbbe, il migliore ha la rogna.
Israele, che con la Siria ci confina, lo denuncia da tempo: nel paese di al-Assad esiste il più grande arsenale chimico del mondo e guai se quelle armi finissero in mano proprio ai combattenti sbagliati, perché, in quel caso, servirebbero a poco anche le batterie Patriot.
La soluzione della crisi siriana resta quindi lontana, lontanissima. E soprattutto deve passare per il dialogo, fatto dell’incontro del G20 di San Pietroburgo, che si terrà a giorni, e soprattutto da quella Conferenza di Ginevra, il “Ginevra 2”, più volte preannunciata e mai realizzata.
Intanto la parola passa al popolo: la Camera dei Comuni ha già “salvato” David Cameron, bocciando la proposta di intervenire in Siria; un sondaggio dell’istituto Bva, pubblicato dal francese Le Parisien, ha già indicato che il 64% dei francesi si dice contrario a un’azione militare contro il regime, difficile che i politici dell’Assemblea Nazionale non ne tengano conto; e da Washington, dove Obama ha voluto incaricare della decisione il Congresso (cosa non necessaria, si veda le guerre del predecessore Bush), il capo della maggioranza al Senato, Harry Reid, ha già fatto sapere che per il voto ci vorranno almeno due settimane.
La risoluzione che Obama ha inviato alle Camere ribadisce che “l’obiettivo dell’uso della forza in rapporto alla sua autorizzazione dovrebbe essere di prevenire, ostacolare e degradare il potenziale per futuri usi di armi di distruzione di massa”: il presidente potrà fare ricorso alle Forze armate “per quanto lui ritenga necessario e appropriato in rapporto all’uso di armi chimiche o altre armi di distruzione di massa nel conflitto in Siria allo scopo di 1) prevenire l’uso di proliferazione (incluso il trasferimento a gruppi terroristi o altri stati o altri elementi non statali) all’interno o dalla Siria, di armi di distruzione di massa, comprese armi chimiche o biologiche o i loro componenti; o di 2) proteggere gli Stati Uniti e i suoi alleati contro la minaccia di tali armi”.
Ma sarà da vedere se il popolo americano, improvvisamente chiamato in causa, darà il suo placet all’apertura di un ennesimo fronte di guerra.