Siria. Riprendono i colloqui di Astana, ma Erdogan si prepara ad una nuova invasione

Per la Russia l'iniziativa turca porterebbe alla destabilizzazioen dell'area.

di Silvia Boltuc * –

Ha preso il via a Nur Sultan, capitale del Kazakistan, il 18mo incontro internazionale degli Astana Peace Talks. In qualità di paesi garanti, le delegazioni di Russia, Turchia e Iran (che hanno avviato il processo di pace di Astana nel gennaio 2017) incontreranno il governo siriano e le forze di opposizione durante i colloqui che dureranno due giorni.
Ankara sarà rappresentata dal direttore generale del ministero degli Esteri turco responsabile per la Siria, l’ambasciatore Selcuk Unal. La delegazione di Mosca sarà guidata dall’inviato presidenziale russo per la Siria, Alexandr Lavrentyev, mentre un alto assistente del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, Ali Asghar Khaji, rappresenterà Teheran. All’incontro parteciperanno in qualità di osservatori anche una delegazione delle Nazioni Unite guidata da Robert Dunn, principale responsabile per gli affari politici dell’inviato speciale per la Siria, una delegazione giordana, rappresentanti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e del Comitato internazionale della Croce Rossa.
La guerra civile in Siria dal 2011 ha esposto il Paese a una grave crisi umanitaria. Diversi i temi all’ordine del giorno: le condizioni per il ritorno in sicurezza dei profughi siriani in patria, le condizioni umanitarie e socioeconomiche, il lavoro del Comitato costituzionale a Ginevra, le misure di rafforzamento della fiducia, il rilascio di ostaggi e la ricerca delle persone scomparse.
Uno degli argomenti più controversi che verranno discussi è l’annunciata nuova operazione militare turca nel nord della Siria. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan intende prendere il controllo della città di Kobane, attualmente occupata dai curdi siriani, e creare una zona cuscinetto di 30 km sotto il confine turco. Erdogan ha affermato che Ankara intende sterminare i gruppi terroristici nel nord della Siria e stabilire il controllo sulle città di Tall Rifat e Manbij. L’intervento in Siria segue l’operazione militare transfrontaliera “Castle of Claws”, guidata dalle forze turche avvenuta nel nord dell’Iraq condotta, secondo il ministero degli Esteri turco, per prevenire attacchi terroristici contrastando i combattenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Il governo centrale iracheno aveva condannato l’intervento come una violazione della sua sovranità territoriale, avvertendo la Turchia delle conseguenze di tali politiche. Muqtada al-Sadr, leader del Movimento Sadrista, ha rilasciato una dichiarazione affermando che la leadership irachena non sarebbe rimasta in silenzio se la Turchia avesse ripetuto i bombardamenti. Nonostante gli attacchi del PKK in Turchia siano diminuiti, Ankara vuole essere sicura che la loro attività non si consolidi al di fuori del confine del Paese e possibilmente collabori con il gruppo dell’Unità di Difesa Popolare (YPG), attivo nel nord della Siria.
Il 26 maggio 2022 il Consiglio di sicurezza turco, costituito da leader civili e militari, ha approvato i piani per la nuova incursione transfrontaliera in Siria. Il loro obiettivo finale è allontanare i combattenti curdi siriani del YPG supportati dagli Stati Uniti ma considerati terroristi dalla Turchia. L’operazione rilancia il piano che nell’ottobre 2021 non riuscì a ottenere il via libera dalla Russia e dagli Stati Uniti.
Il presidente turco ha recentemente annunciato il ritorno in patria di oltre un milione di rifugiati siriani dei 3,6 milioni attualmente ospitati dalla Turchia. 200mila case saranno costruite in zone sicure situate vicino al confine. La grave crisi economica che ha colpito Ankara potrebbe spingere la popolazione turca a guardare con favore al rimpatrio dei profughi e fornire così a Erdogan l’appoggio popolare per la sua operazione militare, che mira più realisticamente a prendere il controllo della striscia di terra di 458 chilometri tra la regione di Afrin, conquistata dai turchi nel 2018, e la città di Kamisli, dove l’esercito russo ha una base aerea. Inoltre le imminenti elezioni presidenziali preoccupano il presidente turco, il cui consenso interno è in calo. Erdogan conta di far rivivere il sentimento nazionalista contrastando il terrorismo, ripristinando l’economia del Paese, rimpatriando i rifugiati percepiti come un insostenibile peso sociale e aumentando il potere regionale della Turchia.
Con le operazioni Euphrates Shield e Peace Spring, la Turchia ha portato sotto il suo controllo diverse aree strategiche della Siria settentrionale e l’autostrada M4. La città di Kobane è un obiettivo altamente strategico in quanto è il luogo in cui gli Stati Uniti sono venuti per la prima volta in aiuto ai curdi siriani nella lotta contro lo Stato Islamico (IS), nel 2014. L’assedio di 112 giorni si è rivelato il punto di svolta nell’impegno di Washington a combattere in Siria. Il presidente Joe Biden, che aveva già definito nel 2021 le azioni della Turchia, in particolare le sue operazioni militari contro i curdi nel nord-est della Siria, una minaccia per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, ha rinnovato le sue preoccupazioni dopo che Erdogan ha annunciato una nuova offensiva. Il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto che il governo degli Stati Uniti è “profondamente preoccupato per i rapporti e le discussioni sul potenziale aumento dell’attività militare nel nord della Siria e, in particolare, del suo impatto sulla popolazione civile. Condanniamo qualsiasi escalation, sostenendo il mantenimento delle attuali linee di cessate-il-fuoco”.
Nel 2017 i paesi garanti della tregua in Siria (Turchia, Russia e Iran) hanno adottato una dichiarazione congiunta in cui si delinea la creazione di zone di de-escalation nel Paese, tra cui l’area di Idlib. Tuttavia i conflitti locali sono continuati sulla linea di demarcazione.
Nell’ottobre 2019 Ankara e Mosca hanno adottato un protocollo d’intesa. Il documento in particolare prevede il ritiro delle forze curde dal confine siro-turco ed il pattugliamento congiunto russo-turco ad una profondità di 10 km da esso ad ovest e ad est dell’area dell’operazione turca “Source of Peace”, fatta eccezione per la città di Qamishli.
Il momento scelto dalla Turchia per lanciare questa nuova operazione non è casuale: Ankara vuole sfruttare l’impegno russo sul fronte ucraino per espandere la propria influenza in Siria. I due paesi fino ad ora avevano mantenuto un equilibrio all’interno del paese, ma a Mosca non è piaciuto il recente annuncio di una nuova offensiva turca e le forze governative russe e siriane sono state rafforzate nelle zone a nord. Il rappresentante presidenziale speciale per l’insediamento siriano, Alexander Lavrentyev, ha affermato che “l’operazione di Ankara nel nord della Siria porterà a un’escalation delle tensioni nella regione. Mosca considera questo un passo irragionevole che potrebbe destabilizzare la situazione, intensificare la tensione e portare ad un nuovo round di confronto armato in questo Paese”. Secondo Lavrentyev, ai colloqui di Nur-Sultan la Russia inviterà i suoi colleghi turchi ad astenersi da questo passo. Il rappresentante speciale del presidente ha aggiunto che la risoluzione del conflitto in Siria rimane una priorità della politica estera russa. “Molti ora affermano che l’attenzione della Russia sulla Siria si è indebolita in connessione con l’operazione militare speciale in Ucraina. Diversi paesi europei vogliono vedere lo sviluppo della situazione in Siria secondo i propri schemi. Voglio dire che l’insediamento siriano rimane una priorità della politica estera russa e se qualcuno ha piani del genere, non aspetteremo. Continueremo a fornire tutta l’assistenza al popolo siriano”.
Allo stesso tempo Lavrentyev ha accusato gli Stati Uniti di “attività predatorie” nel nord-est della Siria con il pretesto di combattere lo Stato Islamico. Il ministero degli Esteri siriano ha decretato le azioni del presidente turco una violazione della sovranità siriana.
Considerando l’enorme coinvolgimento della Russia in Ucraina, Ankara ha percepito il momento propizio per condurre una nuova operazione militare in Siria. È probabile che la Turchia si aspetti il via libera alla sua operazione da parte russa in cambio del suo veto sull’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO e come conseguenza della mancata adesione della Turchia alle sanzioni imposte a Mosca. È probabile, altresì, che Erdogan si aspetti che gli Stati Uniti sosterranno la sua manovra in cambio della prospettiva dell’allargamento della NATO e del contrasto all’influenza russa in Siria. Contrariamente alle aspettative turche, i rappresentanti russi hanno già sottolineato che Mosca non rinuncerà ai suoi alleati regionali e che la questione sarà affrontata nei colloqui di Astana in corso. Le preoccupazioni del Cremlino erano già cresciute dopo la decisione turca di chiudere lo spazio aereo del Paese fino a luglio agli aerei civili e militari russi che trasportavano truppe in Siria. Lo spazio aereo turco offre la rotta più semplice per gli aerei russi che riforniscono le sue basi militari nel Paese e questa potrebbe essere stata una strategia coordinata tra Turchia e Stati Uniti per interrompere le rotte di rifornimento russe. D’altra parte, l’operazione militare mirata alle aree detenute dai curdi sostenuti da Washington ha causato preoccupazioni anche agli Stati Uniti che vedono nella Turchia un alleato troppo volubile.

* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.