Sorani, ‘Trump, paladino della middle class’

'Se tornasse a Washington, rifarebbe tutto come la prima volta'.

a cura di Gianluca Vivacqua

Come si definisce adeguatamente la volontà di vincere? Come il rimboccarsi le maniche e il rialzarsi dopo una sconfitta subita, o come addirittura il negare di averla subita? Di sicuro la volontà (la stravolontà) di vincere trumpiana ha a che fare con questa seconda definizione. Bandito dai social, Trump ha bandito a sua volta i social dall’orizzonte dell’esistente e ha creato una sua piattaforma. Sfrattato dalla Casa Bianca dopo un mandato, ha negato la validità e persino la regolarità del voto (plebiscitario) a favore di Biden, e si è autoproclamato vero vincitore. Fosse stato espulso dal partito repubblicano, sicuramente avrebbe fondato un suo movimento… non sarebbe stato certo un caso isolato nel panorama internazionale, e per il tycoon stesso si sarebbe trattato di un ritorno alle origini. Ma, ecco il punto: nonostante i disastri creati, il GOP non ha mollato Trump, anzi sembra proprio che non possa prescindere da lui, e dalla formidabile armata dei trumpiani. A oggi tutto lascia pensare che nel 2024 il partito di Lincoln e di Eisenhower darà ancora alla sua volontà (dirompente, prepotente) di “spaccare” a dispetto di tutto e di tutti una legittimazione da grande leader nazionale e internazionale. Rispetto al 2016 almeno per tre quarti il copione non sembra cambiato: c’è un magnate ambizioso, la sua prorompente personalità (premessa e sintesi del suo programma) e il suo popolo, adorante. Appare diverso un solo fattore: allora c’era un partito repubblicano che aveva subito l’assedio del barbaro Trump, oggi c’è un partito repubblicano per larghi tratti decisamente trumpizzato. Analizziamo meglio questo copione con Alessandro Vittorio Soriani, esperto di leadership e di oratoria da leader, con all’attivo interessanti studi proprio sulla comunicazione politica americana.

– Sorani, “Make America great again” è un messaggio che cammina con i suoi piedi, e Trump continua a beneficiarne, o è intrinsecamente legato alla figura, alla voce e alle movenze del tycoon?
“Make America Great Again è uno slogan che viene da lontano; fu usato per la prima volta da Reagan nella campagna contro Carter, ma di Reagan si può dire che ha fatto di questa frase un uso “timido”, nel senso che è stato esplicitato ma mai ribadito, sebbene attuato.
L’America è indubbiamente tornata grande sotto Reagan, ma né allora, né tantomeno oggi, si può associare ad altri se non a Trump questo slogan. È indubbio che il suo massiccio martellamento comunicativo su questa frase l’abbia fortemente connotata come espressione della sua presidenza e della sua politica.
Oggi chiunque voglia utilizzare “Make America great aganin”, o qualsiasi altra frase simile a questa, verrà inevitabilmente associato a Trump e alla sua politica nazionalista e americano-centrica, per cui nell’immediato futuro queste parole potranno essere solo, o di Trump o di un suo delfino, ma non potranno essere patrimonio del Partito Repubblicano”
.

– A parte lo zoccolo duro e puro di sostenitori, il popolo di Capitol Hill, quali sono gli altri assi nella manica a disposizione di Trump come candidato che torna sulla scena? Qualcosa di utile per il suo rilancio può recuperarlo anche dalla prima esperienza fatta alla Casa Bianca?
“L’elettorato di Trump è più ampio di quanto si possa immaginare, anche a distanza di più di un anno dalla sconfitta elettorale. È indubbio che la figura assai poco carismatica di Biden contribuisce a rafforzare Trump in un paragone tra i due leader. L’abbandono dell’Afghanistan, la debolezza nei confronti dell’avversario cinese, lo scarso peso sullo scenario nazionale, fanno di Biden la conferma di quell’immagine da “Sleepy Joe” dipinta da Trump e dai media in campagna elettorale.
Trump ha dalla sua la capacità di essere percepito come colui che continua a rappresentare il tessuto produttivo americano, quella classe media in via di estinzione esclusa dal mondo della finanza e della globalizzazione.
È proprio la crescente critica alla globalizzazione una delle armi forti per un potenziale ritorno di Trump, la certezza che paradossalmente la rappresentanza americana si è ribaltata rispetto agli inizi degli anni Novanta, con un Partito Democratico che viene percepito come rappresentante delle élite finanziarie ed un Partito Repubblicano difensore dei ceti produttivi e della classe lavoratrice.
Come sempre, il potenziale ritorno di Trump è una questione di economia”
.

– Sostanzialmente, quali sono stati i veri errori di Trump nel corso della sua prima amministrazione? Come potrebbe migliorare se gli fosse concesso un bis?
“Il principale errore di Trump è stato la gestione della pandemia, nient’altro. Tanti politologi pensano che l’errore di Trump sia stato quello di aver spaccato il paese, diviso la comunità, polarizzato l’elettorato verso fan e nemici, piuttosto che verso sostenitori e oppositori. In realtà con questa spaccatura Trump ha ben compreso che più della metà degli americani era insoddisfatta del sistema, della propria condizione economica e della percezione della sicurezza. C’è un Trump raccontato e un Trump reale, in cui il primo è più brutale, aggressivo e prepotente rispetto al secondo e questa immagine di uomo forte, contrariamente a quanto si possa pensare, gli è stata più utile che dannosa.
I problemi dell’America di oggi sono gli stessi dell’America lasciata da Obama, un’atmosfera da impero in declino, che dibatte su diritti, minoranze e questioni sociali, che rappresentano temi maturi ma che non possono prescindere da una condizione economica di benessere diffuso e di protagonismo internazionale.
L’America oggi è un paese che sta facendo i conti con il suo passato, che si sta europeizzando sotto il profilo del pensiero politico e sociale, ma in cui la popolazione non è assolutamente pronta per un dibattito su questi temi e sufficientemente ricca, nelle sue basse e medie classi, per poter pensare di affrontarli.
Se Trump tornasse, sono sicuro che non cambierebbe di una virgola la sua politica, essendo quella il suo punto di forza, essendo quella la sua missione, di riportare una certa visione dell’America al centro dello scenario internazionale”
.