Sud Sudan. Gli scontri si fanno sempre più pesanti, si parla di guerra civile

di Enrico Oliari –

sud sudan kiir grandeTutto come previsto. Fin dalla recente nascita del luglio 2011 non pochi analisti avevano visto giusto nel vedere la secessione, caldeggiata dall’Occidente, della parte meridionale del Sudan e quindi la nascita di uno stato indipendente, con capitale Giuba, come un’incognita, dove la popolazione ridotta all’indigenza più assoluta avrebbe dovuto fare i conti con i dissidi interne fra le grandi famiglie, bramose di mettere le mani sulla ricchezza del paese: il petrolio.
Così, a distanza di poco più di due anni e dopo le continue scaramucce con il Sudan per le aree contese del nord e per il passaggio del greggio, è scoppiata la bomba ad orologeria del Sudan del Sud: ormai si parla di guerra civile, con morti nelle strade, case bruciate, violenze, profughi in fuga.
La povertà e l’incapacità del presidente Salva Kiir di dare risposte concrete alla grave crisi economica del paese hanno dato quindi fuoco alle polveri dei gruppi tribali che compongono i 10 mln di abitanti, antichi dissapori che nel corso dei secoli si sono concretizzati in combattimenti sempre più duri, dove la violenza non conosce limiti.
Cessato quindi l’alibi dell’odio comune verso Khartoum, alimentato ad hoc dalle differenze religiose, con l’acquisizione dell’indipendenza almeno sette gruppi ribelli hanno rialzato la testa, a cominciare Murle e dei Nuer, i cui scontri già lo scorso anno hanno provocato centinaia di morti.
Poi lo scorso il 16 dicembre sono girate le voci di un colpo di stato e il presidente Kiir, che di solito si vedeva in pubblico con il suo riconoscibilissimo look da petroliere texano, è apparso in televisione vestito in divisa militare: si è capito poi che il tentativo di golpe c’è stato veramente, ovvero i Dinka, il gruppo etnico di Kiir e il più numeroso del paese, si sono scontrati con i Nuer, tribù a cui appartiene l’ex vicepresidente Riek Machar, persona che Kiir aveva cacciato già nel luglio di quest’anno insieme ai ministri dello stesso gruppo.
L’ex vicepresidente del Sud Sudan, Riek Machar, ha fatto appello all’Esercito perché rovesci il presidente Salva Kiir ed in un’intervista rilasciata alla Rfi si è detto pronto a discutere solo delle condizioni per la destituzione di Kiir.
Il 18 dicembre l’agenzia Reuters ha riportato di almeno 400 morti e di decine di migliaia di civili in fuga e il giorno dopo nella città di Akobo, nello stato di Jonglei, una base della forza di peacekeeping delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) è stata attaccata. Due soldati indiani del contingente della base sono stati uccisi.
Ieri il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha inviato ad Akobo i primi 45 militari Usa “ben equipaggiati per il combattimento, schierati allo scopo di assicurare la protezione dei cittadini e degli interessi americani”, mentre sono già giunti in Italia, grazie al pronto intervento della Farnesina, i 63 civili europei, di cui 34 italiani, evacuati attraverso la base delle Forze Armate italiane che fornisce supporto alle unità militari in transito o impegnate in attività nell’area del Corno d’Africa. Si tratta per lo più di operatori umanitari.
Contestualmente anche la compagnia petrolifera cinese China National Petroleum Corporation (Cnpc), che si sta adoperando per mettere le mani sul petrolio del paese, ha fatto confluire nella capitale Giuba i 32 dipendenti cinesi ed in una nota si legge che “Stiamo organizzando l’evacuazione anche se l’ impianto nel quale si sono verificati i disordini non è gestito dalla Cnp”.
L’organizzazione umanitaria italiana Intersos, che è presente nel paese africano ha reso noto che “a Bor, capoluogo dello Stato del Jonglei, uno dei principali teatri delle violenze, è stata saccheggiata la base Intersos da persone armate, che hanno derubato l’organizzazione anche dei veicoli e del carburante.
Il personale di Intersos è al sicuro, ma in queste condizioni è estremamente difficile per gli operatori poter svolgere il proprio lavoro e portare assistenza alla popolazione in stato di bisogno.
Nelle violenze, infatti, è rimasta coinvolta anche la popolazione civile, la cui già grave condizione umanitaria si sta deteriorando ulteriormente.
In Sud Sudan, Intersos assiste oltre 330mila persone, 15mila nel solo stato del Jonglei: distribuisce beni di prima necessità, teli di plastica, taniche per l’acqua, coperte, sapone, zanzariere, acqua potabile e garantisce attività di educazione e protezione.
In questo momento, l’insicurezza nell’area impone un’interruzione temporanea di molte attività e ciò aggrava la condizione della popolazione che beneficia del sostegno degli operatori.
Intersos chiede alle parti in conflitto di evitare assolutamente ogni coinvolgimento di civili negli scontri e di garantire alle organizzazioni umanitarie di raggiungere in sicurezza le comunità in stato di bisogno”.