Tigré, dove si muore di indifferenza

di C. Alessandro Maceri

Nonostante al centro dell’attenzione mediatica vi sia la crisi ucraina, quanto sta accadendo nel paese europeo non rappresenta il dramma peggiore dal punto di vista umano. In molti paesi le condizioni di vita sono ancora più gravi, una criticità che da mesi le agenzie delle Nazioni Unite denunciano insieme alla carenza di risorse per farvi fronte.
Due anni di guerra hanno reso il Tigrè un inferno. La guerra per la secessione dall’Etiopia, indetta contro Addis Abeba dal Fronte Popolare per la liberazione del Tigrè (Tplf), ha visto aspri scontri con un alto ma imprecisato numero di vittime. Contro i rivoltosi che si erano accaniti sui militari e sugli obiettivi governativi, il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed Ali, che è Premio Nobel per la Pace a seguito della riapertura delle relazioni con l’Eritrea, ha scatenato le forze militari, con la capitale della regione Macallé passata più volte di mano. Il Tplf ha poi compiuto una vigorosa offensiva in territorio etiope, fermata in extremis prima che giungesse ad Addis Abeba.
Tuttavia a farne le spese sono sempre i più deboli, e in pochi mesi le riserve si sono esaurite, oggi manca di tutto, e quel poco che c’è ha prezzi improponibili. Anche chi ha i soldi per comprare i pochi beni che servono per sopravvivere non può accedere al proprio conto in banca: le autorità hanno bloccato e confiscato tutto a milioni di persone, e la crisi si è trasformata in povertà estrema, e da questa in miseria e disperazione: la fame sta spingendo molte donne e ragazze a prostituirsi per sopravvivere, ma alcuni report parlano anche di un considerevole aumento dei suicidi. L’invito degli inviati dell’Ue e degli Stati Uniti rivolto al governo etiope di riprendere rapidamente i servizi e revocare le restrizioni sul carburante (essenziale per la distribuzione degli aiuti) è rimasto inascoltato.
Fino a qualche mese fa, l’unico denaro circolante era quello trasportato dai contrabbandieri: ne trattenevano dal 30% al 50% e consegnavano il resto al destinatario. Nell’ultimo periodo però anche questo canale è stato chiuso. I trafficanti accusano le autorità del Tigrè di allestire posti di blocco con agenti che confiscano il denaro. “Cercare di portare soldi nel Tigrè è un lavoro frustrante e rischioso”, ha detto un ex trafficante. “Non è consentito dal governo federale. Lo facciamo corrompendo gli ufficiali. Ecco perché prendiamo fino al 50% della rimessa”. “Questo è un affare per noi, ma salva la vita alle persone che muoiono di fame. Non so perché le autorità stanno creando tali restrizioni su di noi mentre milioni muoiono di fame. In precedenza il flusso era regolare una volta raggiunto il confine con il Tigrè. Ma da aprile è diventato un incubo”, ha aggiunto. Un portavoce del governo del Tigrè ha negato questa situazione, ma un recente decreto, firmato da Fetlework Gebregziabher, vicepresidente del governo del Tigrè, definisce illegale trasportare più di 100mila birr (circa 1.900 euro) e impone di segnalare i contanti che entrano nella regione ai posti di frontiera. Chi viola questa norma è accusato di aver commesso un reato e il governo del Tigrè può confiscare il denaro, sulla base della decisione di un comitato presieduto da Fetelework.
Senza soldi per molti è impossibile sopravvivere. Eppure fino a non molto tempo fa non era così. In una recente intervista, Anin (per motivi di privacy è stato utilizzato un nome di fantasia), una ragazza di 27 anni del Tigrè, ha raccontato la propria vita. É una delle poche che ha potuto studiare: ha un master in project management e grazie ad un corso per dottorato di ricerca sperava in un futuro prospero, in una brillante carriera. Guadagnava bene. Ora tutto è cambiato: è costretta a vendere il proprio corpo per sopravvivere alla fame. “Ho visto mio padre morire di malnutrizione. È morto nelle mie mani. Mia madre è tutta ossa”, ha dichiarato. “Le persone muoiono per non avere ricevuto l’aiuto a cui hanno diritto. Dopo aver perso mio padre per fame, dovevo fare qualcosa per salvare la mia vita e quella di mia madre. La fame non ti dà tempo. Ho provato a chiedere l’elemosina. Ma non funziona perché ci sono molti mendicanti. Sono diventata una prostituta”. La cosa più assurda è che Anin non sarebbe povera: ha dei soldi nel proprio conto in banca. Ma non può prelevarli: le banche del Tigrè, tagliate fuori dal sistema federale centrale, hanno bloccato l’accesso ai conti correnti.
Come spesso avviene in questi casi, a pagare il prezzo più caro sono i bambini. Nel Tigrè quasi un bambino su tre sotto i cinque anni è malnutrito. Secondo le stime del Programma Alimentare Mondiale (WFP), il 29% dei bambini soffre di malnutrizione acuta globale (GAM). Un problema che inizia mentre sono ancora nel grembo materno: più della metà delle donne in gravidanza sono malnutrite. In genere tassi di malnutrizione del 15% sono considerati indicativi di una situazione di emergenza. Nel Tigrè la percentuale di bambini sotto i cinque anni in condizioni di malnutrizione è del 65%! E un bambino malnutrito ha una probabilità 12 volte più elevata di morire rispetto ad un coetaneo in buona salute.
Recentemente le Nazioni Unite hanno lanciato un accorato appello chiedendo fondi per un’azione urgente. Il cessate-il-fuoco, arrivato dopo 21 mesi di guerra, non è bastato al Tigrè per riprendersi. La tregua tra le forze del tigrino e le truppe fedeli al primo ministro Abiy Ahmed non è servita a molto. Gli aiuti stentano ad arrivare: come in molte altre regioni dell’Etiopia le catene di approvvigionamento rimangono interrotte e i prezzi di prodotti di base (come il sorgo e il teff) sono “saliti alle stelle” rispetto a quelli dall’inizio del conflitto, nel novembre 2020.
L’alto livello di malnutrizione nel Tigrè “richiede un’azione urgente per rafforzare gli interventi di trattamento del deperimento (nella regione) per prevenire l’eccesso di mortalità dovuto alla malnutrizione”, ha dichiarato in un rapporto del WFP, Claire Nevill, portavoce del WFP in Etiopia. Una situazione destinata a peggiorare a causa della mancanza di fondi visto che l’ONU dovrà far fronte a una stretta finanziaria, in parte dovuta alla guerra in Ucraina. I finanziamenti del WFP per curare la malnutrizione in tutto il nord dell’Etiopia si stanno “esaurendo rapidamente”, ha aggiunto Nevill.
Oggi nel Tigrè quasi il 90% della popolazione (5,2 milioni di persone) è in condizioni “insicure dal punto di vista alimentare”. Il 47% di loro (2,4 milioni di persone) è “gravemente insicura dal punto di vista alimentare”. Eppure, nonostante questi numeri, inspiegabilmente mancano dati ufficiali sulla mortalità. Per questo non sarebbe possibile emettere una dichiarazione di “carestia”. “Semplicemente non lo sappiamo”, ha detto Nevill. “Se non aumentiamo la nostra risposta e non portiamo questo cibo nelle mani delle comunità ora che la stagione magra si avvicina, le persone si avvicineranno sicuramente al limite”.
Un appello accorato ma del quale nessun telegiornale ha parlato. Di milioni di persone che vivono nel Tigrè non parla nessuno. Pochi sanno cosa sta avvenendo in questa parte del pianeta. Una valutazione del WFP effettuata nel Tigrai nel giugno scorso parla di un’intera parte della regione, il Tigrè occidentale, inaccessibile anche alle Nazioni unite. E mentre i telegiornali non fanno altro che parlare di Ucraina e mostrano la foto del suo leader sulla copertina di Vouge o su altri giornali, nel Tigrè si continua a morire di indifferenza.